Insolitario anello delle Dolomiti Friulane
di Francesco Galli
Per una strana serie di coincidenze, mi
sono ritrovato con dei giorni di ferie non previsti.
Ero appena rientrato da un trekking in Val Formazza con il CAI di Rovigo e,
dopo un lunedì di rientro al lavoro, mi sono ritrovato con quattro giorni
liberi. Le idee per un trekking non mancavano, ma avevo dei dubbi sulla
fattibilità di un'escursione in solitaria, soprattutto per quanto riguardava
i sentieri e il viaggio in auto.
Dopo aver scartato le zone più lontane da raggiungere, la scelta è caduta
sull’anello delle Dolomiti Friulane, già da tempo nella lunga lista dei
trekking da fare. Prenotare i rifugi era il passo successivo.
Sapevo che trovare posto al Rifugio Flaiban-Pacherini non sarebbe stato
facile e, infatti, l'unica disponibilità era per il sabato sera. Di
conseguenza, il rifugio Pordenone sarebbe stato il punto di partenza e
arrivo.
Una volta completate le prenotazioni, sarebbe stata solo questione di
preparare lo zaino.
Mi aspettavano quattro giorni di discese impegnative, paesaggi mozzafiato,
rifugi accoglienti e incontri speciali.
Un’esperienza indimenticabile tra ghiaioni e forcelle in una delle zone più
selvagge delle Dolomiti.
Primo giorno: Dal Rifugio Pordenone
al Rifugio Padova
Si parte! Poco prima delle 6:00 sono in
auto, con il primo obiettivo di fare una sosta per un caffè alla solita
pasticceria di Longarone. A Vittorio Veneto, la pioggia cadeva a dirotto, ma
per fortuna il temporale è durato solo pochi chilometri. Già all’altezza del
Lago di Santa Croce, il cielo si stava schiarendo.
Dopo la pausa a Longarone, mi sono rimesso in viaggio verso il Rifugio
Pordenone. Passando per Erto, ho dovuto attendere il semaforo della diga,
che ogni volta lascia il tempo per riflettere su quanto accaduto più di
settanta anni fa durante il disastro del Vajont. Superata la diga, si
prosegue fino a Cimolais e poi su verso il rifugio.
Guidando sulla stradina stretta e a volte sterrata, che attraversa spesso il
torrente Cellina con guadi carrabili, si capisce la frase sul sito del
rifugio: “Fate attenzione se entrate in Valle con il brutto tempo. Se il
guado si rovina con una macchina normale è difficile uscire”.
Parcheggiata l’auto, ho salutato in rifugio e, con lo zaino in spalla, sono
partito. La salita è subito ripida, con ghiaione, nuvole basse e un caldo
afoso che rendevano tutto più faticoso. In mezzo al ghiaione, ho iniziato a
seguire una coppia di padre e figlio, ma presto mi sono accorto che c’era un
sentiero migliore più in alto. Con un taglio deciso, mi sono rimesso sul
sentiero giusto.
Finito il ghiaione, il sentiero inizia a
tornare a zig-zag e, all’improvviso, appare il Campanile di Val Montanaia,
una maestosa torre di roccia alta quasi trecento metri, simbolo delle Dolomiti
Friulane.
La sua sagoma, che si staglia solitaria nel centro della valle,
trasmette un profondo senso di sfida e isolamento. Qualche altro tornante e
sono arrivato al Bivacco G. Perugini, dove la tappa è obbligatoria per
ammirare le cordate impegnate nella salita del campanile.
Dopo uno snack veloce, ho ripreso la
salita verso la Forcella Montanaia, dove ho deciso di fermarmi per il
pranzo. Dalla forcella, la vista verso il canalone sottostante era
impressionante. La discesa è iniziata con cautela, data la pendenza e la
natura instabile del ghiaione. La traccia si snodava vicino alla parete di
sinistra, e con attenzione ho perso i primi cento metri di quota. Poi, una
volta che il canalone si è aperto, ho potuto lasciarmi andare e divertirmi a
scendere velocemente per il ghiaione, perdendo quattrocento metri di dislivello in
pochi minuti.
Arrivato alla fine del ghiaione, ho
salutato un gruppo di ragazzi che si riposava e ho proseguito nel bosco,
dove la pendenza del sentiero finalmente iniziava a diminuire. Dopo aver
superato i bivi per la Forcella dei Monfalconi di Forni e la Forcella
Scodavacca (possibili alternative per il giorno seguente) ho continuato a
scendere fino a quando una serie di sculture in legno ha preannunciato
l’arrivo al Rifugio Padova. Erano quasi le due del pomeriggio e il
rifugio era pieno di famiglie impegnate nel pranzo della domenica. Ho deciso
di tenere le distanze e mi sono goduto una meritata pausa su una sdraio
all’ombra, rilassandomi davanti alle mille guglie degli Spalti di Toro.
Con il passare delle ore, il rifugio
inizia a spopolarsi e piano piano rimangono solo le persone che passeranno
la notte in rifugio. Dopo quattro chiacchiere con il gruppo che avevo
incrociato in discesa, finiamo per cenare assieme. Alcuni di loro sono alla
fine dell'anello, per cui ne approfitto per avere qualche informazione in
più sulle altre tappe. Alla coppia di Conegliano, invece, manca l’ultima
tappa, dal rifugio Padova al Rifugio Giaf, che avrebbero affrontato il
giorno dopo, passando però per la forcella Scodavacca, non quella che avrei
voluto fare io.
Secondo giorno: Dal Rifugio Padova al
Rifugio Giaf
Dopo una buona colazione al rifugio, si
inizia a preparare gli zaini per la giornata. La coppia di Conegliano saluta
rapidamente e parte, mentre gli altri compagni di cena si prendono tutto il
tempo necessario, tanto devono tornare a casa. Mentre riempio la borraccia,
inizio a chiacchierare con una giovane coppia di Lecco, scoprendo che hanno
intenzione di seguire lo stesso percorso fino al Rifugio Giaf, passando per
la Forcella Monfalconi. Perfetto!
Ci sarà qualcuno lungo il tragitto che
farà la mia stessa strada.
Sistemato lo zaino, saluto i ragazzi di
Lecco e ci diamo appuntamento lungo il sentiero.
La tappa inizia
ripercorrendo una parte del percorso del giorno precedente.
Superato il
bivio per la Forcella Scodavacca, continuo in salita fino al bivio per la
Forcella Monfalconi di Forni.
Da qui parte un breve tratto ripido che
conduce nell'affascinante anfiteatro del Monfalconi di Forni, una zona
caratterizzata da cime frastagliate e una larga forcella al centro.
Il sentiero cambia completamente
carattere e, dopo aver attraversato un guado asciutto, si passa sul versante
opposto della valle, dove il sole caldo illumina l'ultimo tratto di salita.
In forcella arrivano anche i due ragazzi di Lecco e, sebbene le nuvole
limitino la visibilità, il panorama rimane spettacolare.
Dalla forcella, si intravede il Bivacco
Marchi-Granzotto, che diventa un ottimo punto per una pausa pranzo.
La
discesa comincia tranquilla, con un facile traverso verso la Forcella Las Busas, seguito da alcuni ripidi tornanti e l'ultimo tratto fino al bivacco.
Secondo la relazione del Parco, la discesa dalla Forcella Las Busas verso il
bivacco doveva essere impegnativa, ma non sembra esserlo stata. È comunque
il momento di una pausa.
Dopo essermi riposato, riparto con una breve risalita fino alla Forcella Cason. Qui la
situazione si fa più complessa: nuvole basse risalgono la valle e limitano
la visibilità, e il ghiaione appare ripido come quello della Forcella
Montanaia. Ecco la discesa impegnativa indicata nella relazione! Dopo alcuni
zigzag tra i pochi segnavia, si supera il tratto più ripido, permettendo di
scendere rapidamente lungo il ghiaione. Ignorando il bivio per l’Anello Bianchi,
si continua a scendere tra i mughi fino al bivio che offre due possibilità:
una discesa tranquilla o una più ripida. La scelta cade su quella ripida,
perché una birra fresca attende al rifugio!
Come il giorno precedente, aspetto che
le famiglie terminino il pranzo prima di entrare in rifugio.
Dopo aver
sistemato il letto, ordino una birra fresca e recupero un libro dalla
biblioteca del rifugio, "La morte sospesa”: la storia di una drammatica
avventura d’alpinismo in Perù, una scelta perfetta in attesa della cena.
Dopo cena il rifugista accende un falò
fuori dal rifugio e si crea un bel momento di convivialità sotto le stelle.
Terzo giorno: Dal Rifugio Giaf al
Rifugio Flaiban-Pacherini
Il terzo giorno si presenta, almeno
sulla carta, come il meno impegnativo, con un percorso dal Rifugio Giaf al
Rifugio Flaiban-Pacherini attraverso tre forcelle: Urtisiel, Val Brica e Val
Inferno. Dopo la colazione, si riparte
attraversando l'ultimo tratto tra i mughi del giorno precedente e al primo
bivio si imbocca il sentiero per la Forcella Urtisiel.
La salita verso la forcella è dolce e
consente di godere appieno del paesaggio circostante.
In forcella una breve
sosta per la foto di rito, poi la discesa inizia con un tratto ripido, che
si trasforma gradualmente in un lungo traverso che entra nel bosco e conduce
fino alla Casera Val Binon.
Qui, seguendo il consiglio del rifugista
del Giaf, è il momento di prendersi un caffè e riempire le borracce, anche
in vista del giorno successivo, poiché il rifugio sarà senza acqua. Dopo un
ottimo caffè fatto con la moka, si riparte. La salita verso la Forcella Val
Brica inizia nel bosco e prosegue tra i mughi senza particolari strappi.
Anche qui, una foto veloce in forcella e si riprende in discesa, che
attraversa tutta la Val di Brica e porta alla base della Forcella Val
Inferno. L'ultima salita della giornata si fa
sentire, complice il caldo e la fatica accumulata nei giorni precedenti. La
pendenza è sostenuta, ma offre occasionalmente punti panoramici dove
fermarsi a respirare e ammirare le cime dei giorni precedenti, dai
Monfalconi di Forni agli Spalti di Toro.
Arrivati in forcella, in compagnia di
quattro “local”, si decide di continuare a scendere per mangiare qualcosa in
una zona più riparata. Si riprende così la discesa verso la Forcella
Fantolina Alta e poi ancora giù per un sentiero ripido che finisce in una
bellissima conca verde, ideale per la pausa pranzo.
Mentre inizio a
mangiare, arrivano anche i quattro local e la coppia di Lecco. Tutti si
fermano a fare una sosta, approfittando delle "poltrone" di sasso presenti
nella conca.
Terminato il pranzo, i quattro locali ripartono per primi,
mentre io mi prendo qualche minuto in più per rilassarmi.
Oramai il rifugio è in vista, un ultimo
tratto in discesa tra mughi e ghiaioni e anche la tappa di oggi è
completata.
Al Rifugio Flaiban-Pacherini ci sono
meno famiglie rispetto al giorno precedente, ma anche meno spazi tranquilli
dove godersi un po' di pace.
Ordino una birra e tra una chiacchiera e
l’altra è ora di salire a sistemare il letto e prepararsi per la cena.
Quarto giorno: Dal Rifugio
Flaiban-Pacherini al Rifugio Pordenone
L'ultimo giorno del trekking comincia
presto. Con i ragazzi di Lecco, decidiamo di affrontare la tappa lunga che
ci porterà dal Rifugio Flaiban-Pacherini al Rifugio Pordenone, passando per
il Passo di Suola e le due forcelle successive: Rua Alta e Pramaggiore.
Sappiamo che ci attendono un paio di passaggi tecnici, come avevano
accennato alcuni escursionisti incontrati la prima sera.
Parto un po' prima dei ragazzi di Lecco,
poiché sono giovani e hanno la gamba lunga. La prima parte del percorso si
snoda tra i mughi, per poi aprirsi su una bellissima prateria alpina. La
salita al Passo di Suola procede senza intoppi, con la luna che tramonta
dietro il Torrione Comici e l'aria fresca che rende la camminata più
piacevole.
Quando raggiungo il passo, aspetto i ragazzi di Lecco, e poi
ripartiamo insieme verso la Forcella Rua Alta.
Il sentiero diventa subito più
interessante: un primo tratto di salita a zigzag, seguito da alcune cenge
esposte.
I passaggi su cenge richiedono attenzione, ma il panorama è
straordinario e, in breve tempo, arriviamo alla Forcella Rua Alta. Ci
fermiamo un momento per una breve pausa e per ammirare il paesaggio. Oggi il
cielo è limpido, e lo sguardo può spaziare fino alle Tre Cime di Lavaredo,
che si stagliano lontane all'orizzonte.
Rimessi in spalla gli zaini, riprendiamo
il cammino. Proseguiamo su altre cenge esposte, seguite da una ripida salita
fino alla Forcella Pramaggiore. Una volta in forcella, siamo premiati da un
altro panorama mozzafiato: davanti a noi si aprono le Dolomiti Bellunesi,
con le imponenti sagome del Civetta, Pelmo e Antelao.
Con un po' di
attenzione, si riesce a intravedere anche il ghiacciaio della Marmolada in
lontananza.
Da qui inizia la lunga discesa. Mentre
scendiamo, ci imbattiamo in uno stambecco che ci osserva dall'alto di un
masso. Quando si muove, fa cadere una scarica di sassi che rotola proprio
dietro di noi, creando un momento di tensione e adrenalina. Dopo qualche
minuto, lo stambecco si allontana, e noi riprendiamo a camminare.
La discesa continua lungo un sentiero
tortuoso che gradualmente si addentra nel bosco.
L'ombra degli alberi ci
offre un po' di sollievo dal sole del mezzogiorno, ma la fatica inizia a
farsi sentire.
Quando raggiungiamo il quasi secco letto del Rio Postegae,
decidiamo di fermarci per una meritata pausa.
Troviamo un grande salice
sotto cui sdraiarci; il suo fresco riparo è una vera benedizione.
Beviamo un
po' d'acqua, sgranocchiamo degli snack e godiamo del suono rilassante del
torrente.
Dopo una mezz'ora di riposo, è tempo di
ripartire. Mancano ancora alcuni chilometri e l'idea di raggiungere il
Rifugio Pordenone ci dà la forza di continuare. Quando arriviamo al bivio
per il rifugio, ci rendiamo conto che, prima di raggiungerlo, ci attende
un'ultima breve salita di circa cento metri di dislivello.
È la batosta finale
che non ti aspetti, quando pensi che sia tutto finito.
Finalmente arriviamo al rifugio, esausti
ma soddisfatti. Ordiniamo subito tre birre e ci sediamo su una panca
all'aperto, godendo della fresca brezza montana. Concludere il trekking con
una birra fresca, un piatto di frico fumante e un caffè al rifugio sembra il
modo perfetto per chiudere questa avventura nelle Dolomiti Friulane.
Francesco Galli
Insolitario anello delle Dolomiti Friulane
Ferrara, settembre 2024