C.A.I. Zombie
di Angelo Bolognesi
Premesso che per far parte del C.A.I. Zombie è indispensabile essere nati
prima dell'anno mille, alla gita sul Monte Pizzoc c'era qualcuno che
aveva frequentato il primo corso di alpinismo indetto dal Magister
Gabriellus.
Allo scopo di dare una collocazione temporale a quel corso, intitolato:
“Quo modo scandere sine culo in terra impingere” (come
arrampicare senza sbattere il culo per terra) si tenga presente che tra
gli iscritti c'era anche il giovanetto Giulio Cesare, trasferitosi in
seguito al CAI degli Stati Uniti come si può facilmente evincere dai
numerosi reperti archeologici e testimonianze storiche nelle quali viene
citato come CAI US JULIUS CAESAR.
Precisato ciò, passiamo alla gita seniores al Bosco del Cansiglio.
Prima che la canea ululante si mettesse in moto, il direttore di gita,
Feld-Maresciallo Boni-Lauri, un raro esemplare di doberwoman selezionato
incrociando un serial killer con Satanik, in modo ben più stringato di
Lutero e delle sue 96 tesi, ci ha impartito le rigorose e inderogabili
norme da seguire in caso di urgenti necessità fisiologiche.
Alla partenza, nel coacervo di esseri appartenuti in tempi remoti alla
razza umana, si notavano maschi pluricentenari bardati come Rambo e
donne uscite dalla formalina e cofanate come olgettine.
Qualcuno sembrava un orcio pugliese dotato di vita mentre altri avevano
le sembianze di un Moai dell'isola di Pasqua, i ceroni erano spessi come
parquet e il pallido sole risaltava le dentiere, bianche come bidet
Richard-Ginori. Secoli di abusi di grassi saturi, zuccheri e alcol
avevano eroso i gitanti come i piloni di un molo.
Nel suo insieme, il gruppo esprimeva la vitalità dell'impero romano
d'occidente un mesetto prima della sua dissoluzione. Si preconizzava un
disastro alla greca.
Indipendentemente da tutto, chi avanzando rigido come un nasello
congelato, chi tirando e cacciando aria come una pompa per canotti e chi
sfiatando dalle narici come una lontra dopo un'apnea, ci si è inoltrati
nel maestoso bosco di faggi dando prova di una dedizione commovente.
Il rifugio Vittorio Veneto, miracolosamente raggiunto, era immerso nelle
nubi.
Urlando per richiamare i resti dell'invisibile gruppo zombie
orrendamente sfilacciato, non si udiva risposta né si vedeva nulla. Ci
si trovava nelle stesse condizioni del palo della banda dell'ortica (che
per vederci non vedeva un'autobotte ma per sentirci ghe sentiva un
acident). E si era a dieci metri dall'altrettanto invisibile
rifugio.
Seduti all'aperto, immaginando lo spettacolare panorama senza riuscire a
individuare il proprio vicino di tavolo, si è consumato il pranzo con la
voracità di una mietitrebbia.
Ripartiti, a parte chi sbandando e incespicando come i tori a Pamplona
si è scorticato come un San Bartolomeo, molto velocemente siamo
rientrati alla base dove ci attendeva un simpatico rituale di
ringraziamento per essere tornati quasi tutti. Al termine del rituale,
gonfi come rospi e con i volti del colore di una stufa elettrica, i
diversi casi di coma etilico sono stati giudicati nella norma.
Già durante la gita la presenza nel gruppo della variante Homo Digitans
era apparsa nettamente in maggioranza.
Nel viaggio di ritorno il numero di cliccatori è risultato allarmante.
Ora, nell'impossibilità di rispondere alle grandi domande della vita ci
si accontenterebbe anche di quelle piccole ma, anche scendendo di
calibro, non è facile rispondere.
Come spiegare, per esempio, il fatto che durante il viaggio di rientro
mi siano arrivate sul telefono qualcosa come un centinaio di foto della
gita stessa scattate dagli stessi partecipanti?
Questi, nell'oscurità accogliente del pullman, più rapidi dello scorrere
dei grani del rosario tra le dita di un prete debole di vescica, se le
inviavano a vicenda.
Sicuramente l'argomento ha la stessa freschezza del caso Dreyfuss
essendo però decisamente meno interessante. Ci troviamo, infatti, in
quella zona grigia tra costume, psicopatie e fanatismo percepibile anche
ai non addetti.
Pare che nessuna esperienza possa darsi se non ha la sua vidimazione
social, come se non fosse vissuta se non impaginata nei miliardi di
quadratini che ognuno di noi porta in tasca.
Secondo i criminologi, gli psichiatri e altre soccorrevoli categorie,
sembra che il problema risieda nella progressiva erosione del margine di
indicibilità, di preziosa solitudine, di silenzio e di segreto che
chiamiamo serenamente “privacy”. L'assenza dai social sta diventando un
lusso per pochi. Chi non guarda lo smartphone per un'ora di fila sarà
presto sospettato di snobismo, chiedendoci chi si crederà mai di essere.
Il fatto che in Francia si sia deciso di stabilire per legge un “diritto
alla sconnessione” al di fuori dell'orario di lavoro, dovrebbe far
riflettere. Rinunciare ai social è facilissimo, basta non cominciare,
come con le droghe di ogni tipo. Oltretutto la sconnessione è gratuita.
Quando i poteri twittatoriali metteranno una tassa sull'assenza
diventerò fuorilegge e mi darò alla macchia.
“Scusami, ma non ho neanche un minuto per cliccare con te perchè ho
cose più importanti da fare” sarà lo slogan rivoluzionario del
futuro.
Vamolà!
Bibò
C.A.I. Zombie
Bosco del Cansiglio, ottobre 2023