Kalimera
di Francesco Pompoli
Vi voglio portare in un luogo insolito, che spero aiuti ad aprire i nostri
orizzonti, facendoci uscire non solo dalle quattro mura in cui siamo stati reclusi
a lungo, ma anche
dagli steccati entro i quali ci piace isolarci senza mettere in dubbio le
nostre convinzioni... Oggi andiamo in una splendida isoletta greca, situata
nell’arcipelago delle Cicladi per una piccola avventura che mi ha lasciato
ricordi indelebili e che risale al mese di Luglio del 2019.
Siamo ad Amorgos per la prima volta, le
vacanze in Grecia sono ormai una consuetudine da quando nel 2012 abbiamo
scoperto questi piccoli paradisi, isolette sperdute nel mezzo del mar Egeo
dove il turismo di massa sembra lontanissimo e gli abitanti ti affittano le
loro camere spartane salutandoti ogni mattina con il loro squillante
"kalimera" ed una tazza di caffè greco, oppure un piatto di fichi appena
raccolti.
Ogni anno il dubbio amletico riguarda la scelta del nuovo
itinerario… esplorare nuove isole o tornare nelle preferite, a salutare gli
amici greci conosciuti in passato?
Quest’anno tocca a nuovi orizzonti, e dopo un viaggio piuttosto articolato (volo Bologna-Atene, notte al Pireo e poi lunga tratta in aliscafo) sbarchiamo finalmente ad Amorgos, un’isola con meno di 2000 abitanti ma piuttosto estesa, una specie di cavalluccio di mare in posizione aerodinamica disteso nell’immenso blu del mediterraneo. Come al solito, la prima operazione riguarda il noleggio di un fido motorino (fortunatamente 80 cc, spesso uno sbuffante 50cc piuttosto asmatico…) che ci porterà ad esplorare l’isola annaspando sulle lunghe salite che portano fino a 500 metri. L’isola infatti è piccola, ma decisamente montuosa, ed una montagna la divide in due con un picco di calcare alto 700 metri che sul versante sud presenta pareti verticali degne delle Dolomiti alla cui base brilla però il blu cobalto del mare profondo.
Ogni mattina delle poche giornate a
disposizione (solo cinque, poi via verso altre tre isole!) mi sveglio prima
dell’alba, infilo le scarpe da trail e parto in esplorazione dei sentieri
utilizzando la carta topografica dell’isola, altro acquisto fondamentale da
effettuare appena sbarcati.
Riesco a correre almeno tre ore vincendo le crisi di
zuccheri con ampie scorpacciate di fichi quando trovo una pianta sul mio
percorso, prima che Margherita si svegli (o meglio, accetti di essere
svegliata con le paste recuperate al forno…).
Un progetto mi ronza in testa da questa
primavera, quando nella mia ricerca di informazioni sulle varie isole trovo
il link ad una gara trail che si tiene ad Amorgos: un percorso che promette
di essere splendido, e che attraversa più di metà dell’isola sulla sua
dorsale principale partendo dal nucleo storico di Chora (paese arroccato con
un’antica rocca veneziana nel quale la popolazione viveva per sfuggire alle
incursioni dei pirati che infestavano l’Egeo) e la baia di Aegiali con la
sua splendida spiaggia ed il piccolo nucleo turistico.
La logistica (mai
banale quando si tratta di traversate) mi si fa chiara nei primi giorni di
vacanza, c’è un pullman scassatissimo che garantisce il collegamento tra
Aegiali e Chora con la prima corsa alle 9:30, se riesco ad effettuare tutto
il percorso prima di quell’orario posso rientrare alla base senza togliere
nemmeno un secondo alla giornata di mare che Margherita giustamente si
aspetta.
L’orario di partenza è invece deciso dall’orario dell’alba, uscirò di casa
nel buio per raggiungere in motorino Chora e partire di corsa quando il
cielo comincerà a schiarire, in modo da godere dell’alba sul mare nel primo
spettacolare tratto di percorso. Con me ho solo la cintura portaborraccia,
nella quale infilo mezzo litro d’acqua, il cellulare, un po’ di frutta secca
e una ventina di euro. Indosso il costume, un paio di pantaloncini da
running ultralight ed una maglietta che tolgo il prima possibile per non
impregnarla di sudore e utilizzarla per il ritorno in autobus.
Parcheggiato il fido destriero, parto
alle 6:00 nella semi-oscurità percorrendo le silenziose viuzze del paese, un
dedalo di stradine strette tra case bianchissime con splendide piante
rampicanti fiorite.
Alcuni bar stanno raccogliendo ora le sedie dopo la
lunga movida notturna, sentendo risuonare i miei passi occhi mi scrutano
increduli… cosa darei per leggere nel loro pensiero! Saluto con uno
squillante “Kalimera” anche l’anziana signora che sistema il piccolo orto
davanti a casa, ed il vecchio marinaio che proprio sul crinale scruta
l’orizzonte verso sud e ieri mi ha accennato alla sua vita passata in mare
come marinaio su grandi navi.
E’ ora di buttarsi sul versante sud, una
ripida discesa tra la macchia mediterranea profumatissima, tra fiori ed
elicriso, il mare come sfondo nel quale sembra possibile saltare
direttamente da qui.
Un piccolo tratto di asfalto e si raggiunge la
mulattiera che porta al luogo simbolo dell’isola, un incredibile monastero
costruito a picco sul mare ed addossato alla gialla parete strapiombante che
sale fino alla vetta più alta dell’isola, una macchia abbagliante
bianchissima nella quale alcuni monaci tuttora vivono e accolgono i
visitatori accaldati con un bicchiere di acqua ed uno, fortunatamente più
piccolo, di Raki, che dato il tenore alcolico potrebbe stendere chiunque
dopo una camminata in salita sotto il sole rovente.
Ora però la salita è fantastica, le
gambe cominciano a scaldarsi, il cuore a salire di giri; l’orizzonte verso
est si schiarisce sempre di più, il gatto davanti al monastero mi guarda
perplesso, supero il cancello che delimita la proprietà religiosa e proseguo
su uno splendido sentiero tra rocce e mare circondato da capre che, al mio
arrivo, dapprima mi scrutano e poi mi cedono il passaggio infilandosi nella
macchia mediterranea.
La bellezza che ho davanti agli occhi fa male al
cuore, respiro e cerco di fissare nella mia mente questi momenti, questi
odori, il vento tra i capelli e sulla pelle; per fissare ciò che vedo mi
aiuto con lo smartphone, conscio che nessuna ottica “smart” riuscirà a
restituire fedelmente questo spettacolo, ma forse mi aiuterà a ricordarlo.
Proseguo in lieve risalita fino al passo
che già conosco, per inoltrarmi da ora in poi su terreno sconosciuto.
Il
sole intanto esce dall’ultimo promontorio ad est dell’isola, purtroppo non
mi ha consentito di vedere l’alba sorgere dal mare ma va bene comunque. Le
rocce intorno a me esplodono di rosso, il mare riflette la luce del sole, a
parte il vento il silenzio è totale e la pace che provo infinita.
Il sentiero prosegue ora passando sul
versante nord, torno all’ombra, ogni tanto controllo la traccia gps
scaricata dal sito della gara e vedo che tutto prosegue come previsto, sono
ancora le 7:00 ed il tempo per l’autobus dovrebbe essere sufficiente. In
caso di ritardi, ho già definito il piano B che prevede di tagliare l’ultima
parte di percorso con una discesa diretta su Aegiali, ma cerco di rimandare
questa possibilità rilanciando su ogni falsopiano l’andatura e spingendo sui
quadricipiti ad ogni salita.
Tornato al sole, scendo verso un piccolo
agglomerato di case (non più di tre o quattro, eh…) ed incrocio un anziano contadino
in groppa ad un mulo, seduto di traverso, come usano qui, mentre raggiunge
probabilmente il suo orto o il suo recinto di capre.
Kalimera!
Lo saluto, e
lui ricambia con un sorriso come se fosse la cosa più naturale del mondo vedere
un pazzo in pantaloncini corti e senza maglietta correre in mezzo al nulla
alle sette della mattina…
Lasciate le poche case attraverso una serie di muretti
a secco e antichi ovili e abitazioni abbandonate, il segno che questa isola
deve aver vissuto periodi di grande prosperità e popolazioni ben più
numerose.
D’altronde, fin da subito, mi ha stupito il fatto che ampissimi versanti ora assolutamente disabitati presentano antichi terrazzamenti ormai appena visibili e ricoperti della bassa macchia mediterranea, ricordandomi una sorta di “Cinque Terre” abbandonate dall’uomo qualche centinaia di anni fa.
L’unica cosa che spezza questa ritrovata wilderness sono le tipiche chiesette greche, grandi quanto una piccola stanza, completamente bianche e con un tetto azzurro mare, costruite per devozione nei posti più isolati ed impensati. Il loro interno invita alla riflessione, se non si è propensi alla preghiera: l’odore di incenso, le icone ortodosse in legno, i lumini a olio, la riverberante luce esterna attenuata dalle piccole finestre spesso realizzate con vetri colorati. Mi piace sempre entrarci nelle mie corse mattutine, trovare un attimo di pace e riflessione prima di ributtarmi nella luce e nell’azione!
Acqua niente, e la mia scarseggia… fa
parte di questi allenamenti greci abituarsi a centellinarla e non
consumarla, mantenendo un ritmo elevato ma che non incrementi eccessivamente
la sudorazione.
D'altronde l’aria secca ed il vento
onnipresente mantengono una buona temperatura corporea, anche se il sole
comincia a salire sull’orizzonte ed il suo calore invita ad un tuffo in
mare.
Mi sto ormai avvicinando ad Aegiali, sono le 7:50 ed ho percorso 14 chilometri, voglio assolutamente terminare il giro e quindi imbocco la risalita che mi porterà prima al paese di Langada, sulle montagne retrostanti la baia, e poi a percorrere un lungo arco di cerchio fino a raggiungere il borgo di Tholaria per poi scendere in picchiata verso la baia. Ora il caldo si fa più impegnativo, l’acqua è finita, nessuna fontana all’orizzonte, i sentieri si fanno un po’ più incerti e parzialmente coperti di vegetazione.
Qualche rovo mi taglia le gambe, un piccolo momento di stanchezza passa con un cambio improvviso di panorama, sono su una forcella che mi mostra finalmente l’infinità del mare verso est, verso nuove isole a me ancora sconosciute. Riprendo vigore, la mulattiera diventa piana, molto larga e ben tenuta, ed in lontananza vedo l’ultimo paese avvicinarsi sempre di più, le sue case bianche e la sua chiesa svettante, le sue vie strette ed i primi abitanti che si affaccendano per le prime commissioni della giornata.
Ora l’ultima discesa, a tutta verso la lingua di spiaggia coronata da splendide tamerici, l’acqua immobile della baia protetta che vira dall’azzurro chiaro, al verde fino al blu, alcuni ragazzi che dormono nel sacco a pelo in spiaggia, gli ultimi metri di corsa fino al momento in cui mi spoglio di tutto e mi butto in mare, gustando ogni secondo di questo tuffo… il fresco dell’acqua sulla pelle accaldata, l’apertura degli occhi sott’acqua con il colore azzurro del sole filtrato dal mare, il primo respiro fuori dall’acqua e poi una lunga nuotata che massaggia dolcemente i miei muscoli stanchi di impatti bruschi e desiderosi di tanta dolcezza, il sollievo per i piedi che un passo dopo l’altro mi hanno portato fino qui chiusi nelle scarpe da trail…
E’ un momento magico che vorrei non
finisse mai… un momento che non potrò mai dimenticare… un momento che spero
di rivivere non appena tutto questo finirà… adesso però è ora di scuotersi:
Via alla ricerca di un bar per un “Freddo Espresso” (una sorta di caffè
freddo alla greca anche denominato “il nostro vizietto mattutino”), una
spremuta fresca ed un fornaio per una enorme pasta alla crema.
Sono pronto per il momento più incerto
di tutta l’avventura: chissà se l’autobus ci sarà veramente e sarà puntuale?
Di certo anni di isole greche mi hanno insegnato che tutto e possibile, ma
la presenza alla fermata di un prete ortodosso con la sua immensa barba e la
sua caldissima veste nera mi fanno ben sperare… ecco che con soli
dieci minuti
di ritardo un vecchissimo Mercedes (prodotto probabilmente in Germania negli
anni sessanta…) è pronto a riportarmi ad Amorgos, al fido motorino con cui
mi godo i tornanti della discesa fino al mare ed alla nostra Titika Pension. Mi affretto come sempre pensando che
questa volta Margherita sarà sveglia ad aspettarmi ed invece... la camera è
chiusa, le finestre anche, e come al solito la sveglio sussurrandole
all’orecchio che il sole è già alto e ci aspetta una fantastica giornata di
mare ed avventure!
Francesco Pompoli
Kalimera
Amorgos (Grecia) luglio 2019
Traversata Chora-Aegiali (Amorgos Island) - 21,2 chilometri – 800 metri d+ -2 ore e 26 minuti