Adotta un sentiero: n° 479 per Col d'Orlando e Monte Rite
di Gabriele Villa
Giovedì 27 dicembre 2018.
Era stata una giornata di sole troppo bella per vederla finire dentro al
rifugio Remauro quando ancora rimaneva più di un'ora di luce da
poter sfruttare. Così ci incamminammo per la stradina che da Passo
Cibiana porta al Monte Rite e, arrivati al primo tornante, attirati dal
segnale del sentiero CAI numero 479, (detto anche il sentiero del Col
d'Orlando) lo imboccammo, entrando nel bosco.
C'era la curiosità di vedere se anche qui il vento di fine ottobre avesse
lasciato segni di devastazione e dopo appena una decina di metri ecco il
primo albero rovesciato proprio a ostruire il tornantino del sentiero.
Tagliammo con il seghetto qualche ramo che intralciava il passaggio e
proseguimmo fino a trovare un giovane abete rovesciato sul sentiero poco
oltre e ne tagliammo la punta facendola rotolare poco sotto. Si capiva
che qualcuno era già passato, ma certamente senza strumenti da taglio,
solo rompendo qualche ramo qua e là per farsi largo.
Seguì un buon tratto senza ostacoli e poi ecco un groviglio di vari
alberi caduti ad ostruire il passaggio, si vedevano
chiaramente le tracce di chi era passato in precedenza aggirando l'imponente intrico
di rami, così decidemmo rientrare ed eventualmente
dedicare tempo nei prossimi giorni per una
ricognizione di approfondimento.
La giornata si stava spegnendo in un tramonto dai colori suggestivi e noi ne rimanemmo affascinati.
Venerdì 28 dicembre 2018. Quella giornata l'avevamo spesa a cercare qualche torrentello ghiacciato e lo avevamo trovato vicino al rifugio, divertendoci a risalirlo con i ramponi ai piedi, rimuovendo piccoli tronchi e rami secchi che ostacolavano il passaggio, oltre a segare qua e là qualche ramo invadente.
Come la sera precedente eravamo arrivati presto al rifugio e non ci
pensammo due volte a ritornare con passo spedito fino al groviglio di
tronchi e rami davanti al quale altri avevano aggirato uscendo dal
sentiero, cominciando subito a segare tutto ciò che ci consentiva la
"portata" del nostro seghetto, ricavando un buon passaggio.
Ci fermò l'imminenza del buio, ma oramai la sfida era stata lanciata e
decidemmo che il giorno seguente saremmo tornati per andare avanti fin
dove le forze e gli strumenti limitati ci avrebbero consentito.
Sabato 29 dicembre 2018. Non ci siamo chiesti a cosa potrà
servire il nostro modesto lavoro, come nemmeno sappiamo che cosa
troveremo, forse degli sradicamenti di alberi ai quali si potrà tagliare
qualche ramo per agevolare eventuali scavalcamenti o consentire di
passare sotto al tronco se c'è spazio sufficiente per chinarsi.
Sappiamo anche che, prima o poi, passeranno le squadre locali della
Protezione Civile con motoseghe e ben altri mezzi, ma il nostro lavoro
agevolerà il loro muoversi per raggiungere i luoghi da bonificare con le
attrezzature al seguito. Insomma, ci accontentiamo di sentirci utili per
quel pochino che potremo fare.
E' sabato, la giornata è molto bella, il versante è a Sud e il sentiero è bello e raggiunge una delle cime più panoramiche della zona: il monte Rite. Ci rendiamo conto quasi subito che c'è movimento e varie piccole comitive, famigliole o anche coppie ci raggiungeranno e supereranno. Bisogna dire che tutti quelli che ci hanno visto lavorare ci hanno ringraziato per avere facilitato il passaggio e queste piccole gratificazioni sono state gradite.
All'inizio siamo anche fortunati, miglioriamo qualche scavalcamento e riusciamo a spostare un tronco secco che è appoggiato su un masso, facendo leva sul quale, riusciamo a metterlo di lato a mo' di parapetto.
Con le piante sradicate di piccola taglia è quasi un giuoco perchè i denti della lama del seghetto mordono nel legno tenero e si fanno strada con rapidità; dopo facciamo rotolare la cima fuori dal sentiero e proseguiamo il cammino.
Ovviamente con una lama di sedici centimetri non si possono fare miracoli e i tronchi più grossi ci dobbiamo accontentare di sramarli per ricavare il passaggio sotto o poterli scavalcare da sopra. Oramai ci abbiamo fatto l'occhio e anche l'affiatamento tra chi sega e chi rimuove il cascame si sta affinando.
Ingaggiamo una lotta feroce con un alberone che è caduto sul sentiero sdraiandosi per il lungo. La difficoltà qui è doppia perchè il legno è un po' secco e quindi duro da tagliare, inoltre i rami più alti li dobbiamo tagliare a braccia quasi tese con la segatura che, naturalmente, ci viene addosso. Capiamo che questo lavoro ci sfiancherà, ma non molliamo fino a liberare completamente il passaggio. Subito dopo andiamo avanti sul sentiero per ritrovare il sole, dopo il bagno di fresco che abbiamo fatto nella zona d'ombra in cui abbiamo fatto l'ultima sramatura.
Ci rendiamo conto di essere arrivati al Col d'Orlando, anche se non ci
siamo mai stati prima; qualcuno ha segato i rami per passare e poter
ammirare il panorama sulla bassa val di Zoldo e sul Pelmo che appare tra
i rami dei larici.
Poco più avanti, oltre una cura del sentiero, un groviglio immane di
alberi caduti ci dice che non abbiamo speranza di andare oltre e,
siccome dobbiamo tornare a Ferrara in serata, giriamo i tacchi e ci
avviamo verso il basso, accontentandoci di quello che siamo riusciti a
fare fino al Col d'Orlando.
Sabato 12 gennaio 2019. Ancora non si decide a nevicare e il fine settimana è previsto bello, con temperature non eccessivamente basse, la voglia di tornare a mettere mano al sentiero 479 fa capolino, anche perchè la sua esposizione a Sud consentirebbe di godere un bel pomeriggio di sole.
Consumata la mattina nel viaggio a Forno di Zoldo, nella identificazione
di una cascatella ghiacciata (cui ci riserviamo di fare visita in una
prossima occasione se persevererà il freddo senza nevicare) e nel ritiro
di una decina di calendari del CAI Val di Zoldo (il ricavato sarà
devoluto a sovvenzionare la pulizia e manutenzione dei sentieri dopo il
disastro alluvionale di fine ottobre), eccoci sul nostro sentiero, oramai
adottato.
Salendo ritocco un paio di passaggi e il tratto con l'alberone che si è
rovesciato per il lungo quasi sul sentiero nei pressi del Col d'Orlando,
sapendo che, un centinaio di metri più avanti, ci sarà da fare sul
serio.
Senza indugio, mi inoltro nel groviglio di rami e comincio a tagliare senza tanto pensare e, ramo dopo ramo, in una mezzora di seghetto non-stop, ecco ricavato una bella "luce" per passare abbastanza agevolmente, lasciando anche un ramo cui attaccarsi per non rischiare di cadere durante lo scavalcamento. Soddisfatto proseguo oltre.
Poco dopo altri grovigli di alberi sradicati fanno capire che qui il vento è passato con violenza e l'unica cosa che si può fare è migliorare gli scavalcamenti in attesa che ci pensi la Protezione Civile, con ben altri mezzi e forze, a rimettere in sicurezza il sentiero. Con una buona motosega sarà più agevole tagliare a pezzi e rimuovere i tronchi.
Procediamo ed eccoci arrivare al luogo chiamato "le scalette", per via di un tratto ripido nel quale sono stati ricavati dei gradini con dei tronchi per facilitare la salita degli escursionisti. Impossibile mettere mano e allora si seguono le tracce delle deviazioni riuscendo a superare la zona completamente aggrovigliata per riprendere il sentiero poco più avanti e procedere verso l'alto. Sono passate le tre del pomeriggio, ma se non si trovano tante altre interruzioni abbiamo la possibilità di arrivare a forcella Deona e far rientro al rifugio Remauro prima del buio.
Attraversiamo un vallone con svariati ed evidenti segni di smottamenti,
ma il sentiero non è compromesso in maniera irrimediabile e gli esperti
valligiani sapranno fare portenti usando pali, tronchi e rami per i
consolidamenti.
Ora dovremmo essere attorno ai duemila metri di quota e la vegetazione
comincia a diradare, però ci sono tracce di neve ghiacciata calpestata
sulla quale bisogna prestare attenzione a non scivolare.
Siamo in un vallone erboso che si risale con ampi tornanti e concede uno
sguardo d'insieme sugli Sfornioi e sul gruppo del Bosconero, anche se
noi badiamo principalmente al ghiaccio che si trova proprio solo sul
sentiero.
Guadagniamo quota abbastanza rapidamente e oramai ci pare di essere
fuori dal bosco e dagli ostacoli.
Come non detto! Ecco un altro groviglio di giovani piante sradicate, ma una deviazione agevola la salita verticale e non ha senso stare a segare ancora quando oramai il sentiero si può lasciare per salire direttamente per il prato di erba gialla semi ghiacciata, evitando gli ultimi due tornanti del sentiero.
Eccoci, infine, a forcella Deona, presso la quale il sentiero si innesta sulla strada che porta alla cima del monte Rite, che non abbiamo il tempo di raggiungere se vogliamo evitare di rientrate con il buio. La vecchia strada militare sarebbe molto comoda ma è completamente ricoperta da uno strato di neve pestata, levigata dai tanti passaggi degli escursionisti e assolutamente ghiacciata. Non avendo con noi i ramponcini scegliamo di ritornare per il sentiero di salita che, tra l'altro, è assai più breve rispetto alla strada.
Iniziamo a scendere velocemente mentre la giornata si avvia al tramonto
che non è di quelli super colorati, ma disegna bene il profilo del
Castello di Moschesin, della Gardesana e del gruppo dei Tàmer.
Ovviamente mi astengo da altre "rifiniture" di seghetto perchè il tempo
è contato ed è meglio non mettere insieme l'escursione con il buio e il
ghiaccio sul sentiero.
Rientrare con il tramonto riserva sempre delle sorprese e così, pur se siamo ancora nel bosco, riusciamo a vedere il cielo e le nuvole diventare di tutti i colori dal giallo, al rosa, al rosso. Sarà che in città io non riesco a vederli i tramonti, in montagna mi rapiscono e non mi stancherei mai di fotografarli, anche se dal vivo, in più, si aggiunge anche l'emozione. Poi arriva il buio e tiri le somme della giornata con due sole parole: stanco, soddisfatto.
Domenica 13 gennaio 2019. Al mattino arriva la squadra locale della Protezione Civile e apprendo che il loro obiettivo di giornata è proprio il sentiero 479 del monte Rite. Mentre trascorriamo la giornata in un bel gruppetto di amici a risalire torrentelli ghiacciati e belle colatine di ghiaccio, sentiamo a lungo il rumore caratteristico delle motoseghe, su in alto, verso forcella Deona e nella zona delle "scalette". Penso che si muoveranno con maggiore facilità, passando nei varchi che abbiamo ricavato con il nostro lavoro di seghetto a più riprese. Un lavoro non risolutore, ma che possiamo definire di "agevolazione" e a me tanto basta per sentirmi soddisfatto e ripagato delle fatiche fatte in più giorni. A sera riesco a parlare con uno dei volontari che hanno operato, il quale mi racconta che sono state formate due squadre, una che è salita con il fuoristrada alla forcella Deona per scendere e un'altra che è salita dal basso, incontrandosi dopo avere liberato completamente il sentiero 479. A me rimane la curiosità di vedere il lavoro "finito", ma l'inverno è arrivato davvero e con la neve... se ne parlerà a tarda primavera.
Gabriele Villa
Adotta un sentiero: n° 479 per Col d'Orlando e Monte Rite
Monte Rite, dicembre 2018/gennaio 2019