Corso Boschi & Alberi, tra Campigna, Burraia e Passo della Calla
di Gabriele Villa
Arriva ottobre ed ecco che ricordi un appuntamento che quasi avevi
scordato, l'ultima uscita del Corso Naturalistico della sezione del CAI
di Ferrara, quello che molti di noi ancora chiamano con affetto "Corso
Boschi & Alberi", proprio con la "e commerciale" come si confà ad un
binomio inscindibile.
La gran parte del Corso si svolge, in effetti, tra aprile e giugno, sia per
la parte teorica che per le uscite in ambiente; così rimane un'appendice
ottobrina con una lezione teorica e una uscita pratica, di solito alle Foreste
Casentinesi, ma i mesi estivi e le ferie costituiscono uno stacco netto
al punto che il corso perde la continuità.
Forse è per questo che molti si sono presentati puntuali
all'appuntamento con spirito leggero, come fosse una gita autunnale
spensierata e non l'ultima fase di un corso con tanto di
accompagnatori-docenti.
Partiti puntuali alle sei del mattino in ventinove ci siamo fermati a
Campigna per caricarne altri sei e riprendere il viaggio fino al Passo
della Calla e risparmiato con il pullman tre chilometri di sentiero da
fare altrimenti a piedi.
Vestizioni di rito, calzati gli scarponi, sistemati gli zaini, eccoci
pronti a partire, mentre manca una manciata di minuti alle dieci. Segue
la presentazione dell'accompagnatore-docente di oggi; Dario Gasparo,
Operatore Naturalistico Culturale della sezione CAI XXX ottobre di
Trieste, ma non manca nemmeno Giovanni Morelli, agronomo arboricoltore,
a sua volta ONC ma della sezione CAI di Argenta. Giovanni lo conosciamo
bene, di Dario scopriremo la bravura e le capacità didattiche durante
l'escursione della giornata.
Il pieghevole del IV Corso Naturalistico presentava l'escursione come "Verdi oscurità: la foresta vetusta di Sasso Fratino" ed è sul termine "vetusta" applicato agli alberi che iniziano le spiegazioni. In pullman però già ci era stato comunicato che l'accesso alla riserva di Sasso Fratino è consentito solo a gruppi di studio e quindi al nostro gruppo era stato negato; ci saremmo dovuti accontentare di lambirne i confini, ma senza inoltrarci tra gli alberi vetusti.
A dire il vero nessuno si era stracciato le vesti che tanto la giornata era comunque molto bella e i colori dell'autunno in cui ci stavamo immergendo avevano oramai catturato la nostra attenzione.
Uno degli aspetti positivi delle escursioni del Corso Naturalistico è che
le soste didattiche interrompono ogni tanto la camminata così che anche
i meno allenati possono affrontare percorsi di una certa lunghezza.
Se poi l'accompagnatore ci sa fare non insorge nemmeno la noia delle
spiegazioni e bisogna dire che quasi mai succede perchè questi
accompagnatori naturalistici sono veramente appassionati e raccontano
non solo nozioni teoriche o concetti astratti, ma attingono ad
esperienze sul campo ricche di aneddoti e di vita vissuta.
Arriviamo ai prati della Burraia che si offrono in una visione metafisica, un gruppo di ciclisti che passa con le mountain bike non fa altro che aumentare la sensazione di stare attraversando una sorta di sogno.
Diamo un'occhiata alla Toscana e poi scendiamo per ritornare al sentiero che ci riporterà al Passo della Calla attraversando un bosco di faggi ricco di suggestioni.
Quando ci ritroviamo nuovamente al Passo della Calla sono da poco passate le undici; abbiamo camminato nemmeno un'ora e mezza e sembrano trascorsi si e no venti minuti.
Siamo passati dal silenzio del bosco ai rumori della strada e della gente.
Al Passo della Calla si intersecano mondi diversi e una fauna umana
ricca di esemplari tra loro spesso antitetici, dediti a varie attività.
Ci sono i turisti della domenica perfettamente vestiti da città,
ciclisti in mountain bike in cerca di sentieri e prati da attraversare,
escursionisti a gruppetti bi e tri familiari che fanno due passi fino al
primo rifugio nel quale sedersi a tavola, cazzeggiatori della domenica
in auto ribassate che vanno dove non dovrebbero a sbattere le coppe
dell'olio sui sassi di strade vietate al transito e, immancabili, i
gruppi di motociclisti, affiancati in rigorosa fila, con le moto accese
e rombanti in attesa di un segnale di partenza che spesso coincide con
un "ma vaffan..." bene augurante.
Ci attende ora la seconda parte del percorso, quello che avrebbe dovuto
portarci alla riserva di Sasso Fratino al quale però è stato negato
l'accesso e al quale si è dovuto giocoforza rinunciare. Però ci toccherà
fare una seconda rinuncia in quanto il sentiero che era stato prescelto
in sostituzione è stato interdetto al transito su ordinanza del sindaco
a causa della gran quantità di alberi che si sono schiantati sul
percorso nello scorso inverno.
Percorreremo una variante meno frequentata che scende più direttamente
nel bosco dopo avere abbandonato il sentiero 00; il fatto che il nuovo
percorso si possa presentare più accidentato crea curiosità nel gruppo e
la proposta viene così accolta quasi con euforia.
La prima parte del sentiero si dipana tra faggi di notevole imponenza e il gruppo procede spedito. Poi il sentiero si fa più scosceso, attraversa qualche vallone, presenta qualche ripido con affioramenti rocciosi e così mi trovo a dare una mano su qualche passaggio scabroso a chi ha qualche titubanza. Così mi sento utile pure io.
In questo tratto i nostri accompagnatori si alternano nelle spiegazioni in base anche alle loro specifiche competenze ed è veramente stupefacente capire quante cose passerebbero inosservate senza il loro sapere.
Così Giovanni esprime le sue conoscenze sugli alberi e tutto quanto li riguarda, mentre Dario ci sorprende riproducendo i suoni degli animali della montagna, come il fischio della poiana, o quello della marmotta, piuttosto che il caratteristico richiamo del gufo.
Dario si aiuta anche con fili d'erba lamellari e tutti noi ci divertiamo alle sue abilità. Personalmente ne resto strabiliato perchè conosco bene sia il fischio della poiana che quello della marmotta, simili ma non uguali e mi accorgo di come lui riesca a riprodurli perfettamente nelle loro diverse tonalità.
Quando, infine, la nostra variante di sentiero sbuca su una radura erbosa termina la parte propriamente didattica dell'escursione e facciamo una meritata pausa pranzo che termina dopo poco più di dieci minuti con un perentorio "si parte!". Vabbè. L'ultimo tratto sarà per comoda strada, mentre il cielo si è un poco velato e i colori dell'autunno si attenuano. Godiamo gli ultimi scorci, oramai rilassati, fino a ritrovarci a Campigna dove il pullman ci attende.
Segue lo spuntino di rito, non proprio con i minuti contati ma quasi, la
foto di gruppo e poi si parte verso casa.
Il IV Corso naturalistico del CAI Ferrara è ufficialmente terminato con
una interessante e piacevole escursione.
Gabriele Villa
Corso Boschi & Alberi, tra Campigna, Burraia e Passo della
Calla
Foreste Casentinesi, domenica 14 ottobre 2018
Un'appendice didattica.
Cos’è una “foresta vetusta”?
Il termine old-growth forest ha
cominciato a diffondersi negli Stati Uniti negli anni ’70 del secolo scorso,
quando alcuni movimenti ambientalisti degli stati occidentali iniziarono a
battersi per impedire l’abbattimento di alcune maestose foreste e la
conseguente distruzione degli habitat di specie animali particolarmente
significative. Fino ad allora il concetto di vetustà possedeva
esclusivamente connotati economici, associato in selvicoltura al termine
“stramaturo”, così come il termine inglese growth indica il legame con
l’incremento del volume legnoso, mentre la coscienza scientifica e sociale
del ruolo ecologico svolto da questi ecosistemi è venuta solo in seguito. In
Italia l’espressione “foresta vetusta” venne introdotta negli anni ’90: per
quanto nel nostro territorio sia pressoché impossibile rinvenire lembi di
foresta vergine, dagli studi effettuati negli ultimi due decenni emerge come
questi popolamenti siano presenti in modo diffuso in Italia e alcuni di essi
ospitino gli alberi decidui più vecchi finora scoperti nell’emisfero
boreale. In una foresta vetusta, a differenza di quanto avviene in una
foresta gestita e coltivata, gli individui dominanti muoiono a causa di
disturbi naturali, provocando l’accumulo di grandi quantità di necromassa
sottoforma di alberi morti in piedi o di tronchi in piedi e a terra.
Contemporaneamente si aprono nella volta arborea buche di dimensioni tali da
non essere colmate dalla crescita degli alberi circostanti, che spesso sono
già di notevoli dimensioni. Una nuova corte di individui può così occupare
lo spazio liberato, contribuendo alla progressiva eterogeneità della
struttura per età e della struttura verticale e orizzontale. In popolamenti
non più utilizzati da diversi decenni, come la foresta di Sasso Fratino, la
mortalità si associa a una progressiva eterogeneizzazione strutturale. La
scalarità di questo processo, protratta per un lungo periodo in assenza di
disturbi di forte intensità, può portare a foreste strutturalmente molto
complesse anche alla scala di pochi ettari.
Perchè non entrare nella riserva integrale?
Di norma la creazione di un sito
Unesco comporta ovvi riflessi anche sull’economia turistica del territorio e
l’Italia, con i suoi attuali 53 siti (primo posto al mondo), ne sa qualcosa.
Ciò non varrà per Sasso Fratino, che è tutto fuorché luogo turistico. Come
noto, essendo Riserva Naturale Integrale, risulta accessibile solo per
ragioni di vigilanza e di studio. All'escursionista giustamente curioso e
che, non dubitiamo, sarebbe rispettosissimo dell’ambiente, si chiede
comunque una rinuncia, a ben vedere piccola, a fronte di un vantaggio
collettivo: quello di preservare Sasso Fratino come testimone assolutamente
integro, e incontaminato, dell’evoluzione di un habitat del tutto naturale.
Una curiosità spiegata in fotografia.