D'autunno sul Col Duro, tra Yack e panorami

di Gabriele Villa



C'è una montagna della bassa Val di Zoldo che mi sta entrando nelle simpatie, una di quelle che arrivano appena a duemila metri di quota, che sono in prevalenza se non esclusivamente boscose, ma che per la loro posizione un poco isolata non hanno "antagonisti" e di conseguenza offrono dalla loro cima quei panorami che, oramai con frase stucchevole e abusata, vengono definiti a "360 gradi". Si chiama Col Duro e la sua quota è di 2.033 metri.

I motivi del mio crescente affetto per questa cima sono ben descritti in una relazione che ho trovato in rete e precisamente su "TrekkinGO.it" e per comodità la riporto fedelmente.

La salita al Col Duro è consigliata solo ad escursionisti esperti di montagna, in quanto la traccia del sentiero è flebile e spesso assente. Bisognerà pertanto mettere in campo buone capacità di orientamento, nell’individuare la giusta via da prendere ed arrivare così alla sommità di questo colle, poiché prendere una traccia sbagliata può condurvi all’improvviso in impraticabili dirupi. E’ da evitare la percorrenza in inverno, quando c’è neve poiché non si vedono più le tracce; o in primavera, per via della precarietà del sentiero a conseguenza del disgelo, come ad esempio alberi caduti, oppure il pericolo che si verifichino frane.
Detto ciò, è comunque un’escursione da intraprendere, per chi ha le capacità necessarie, in quanto la solitudine del luogo è garantita, infatti, difficilmente incontrerete qualcuno disposto a salire su un sentiero così selvaggio, la maggior parte degli escursionisti invero predilige il vicino Monte Rite, a discapito di questo colle, che rimane sconosciuto ai più. Un’esperienza solitaria a totale contatto con la selvaggia natura alpina, che spesso regala incontri con scoiattoli, camosci, caprioli e stambecchi. In ultima e non di meno, dalla sommità del colle si ha una vista magnifica sulla parte settentrionale della Val Zoldana, sul Civetta e ancor di più sul Pelmo.

Il Col Duro l'ho già salito cinque volte, due volte in estate, due d'inverno con le ciaspole e l'ultima pochi giorni fa trovando la montagna in veste autunnale, probabilmente la migliore. Devo la scoperta di questa escursione all'amico Pompeo De Pellegrin, che ci accompagnò la prima volta alla scoperta di questo "colle", come lo chiama qualcuno, che pareva quasi una seconda scelta, tanto per riempire una giornata per fare la gamba per qualcosa di più impegnativo. Invece mi regalò belle sensazioni, quelle che te lo fanno ripetere senza stancarti.

Prendo a prestito la descrizione dell'itinerario di salita al Col Duro da "dolomitifacili.it", intercalando le foto fatte nell'ultima escursione, con la montagna in veste autunnale e una eccezionale limpidezza dell'aria.   

Quattro Tabià (1.475 metri), località un chilometro ad ovest della Forcella Cibiana. Uno slargo, sul lato opposto della strada, permette la sosta ad un paio di macchine. Vi parte il sentiero 494, parallelo alla Val Inferna che si riesce solo ad immaginare sul fondo dell’impluvio. Taglia le ripide coste boscose del Col d’Orlando, senza tornanti e senza problemi oltrepassa un breve cono franoso. Superiamo anche panche di legno ed un rigolo d’acqua con bicchiere a disposizione. Una mulattiera frequentata e gradevole, la scarsa pendenza tradisce origini militari.
Arriviamo ad una prima possibile deviazione che va a scendere la Val Inferna e le antiche miniere abbandonate.
Di seguito la Forcella Val Inferna (1.748 metri), il crocevia fondamentale che indirizza l’escursionista incontro all’obiettivo desiderato. A sinistra il Col Duro, a destra il Monte Rite, dritti si cala al Rifugio Talamini.

Per il Col Duro c’incamminiamo sempre dentro il bosco, lungo una buona traccia senza numero. In falso piano tra formicai, alberi sradicati e con qualche piccolo strappo avanziamo attenti sul sommo di due opposte vallate.
Non s’incontra anima viva, si avverte però la presenza degli animali.

Gli arbusti diminuiscono in prossimità di una bella radura, finalmente l’aria in faccia. Scompare la pista, si confonde tra l’erba pettinata dal vento. La nostra meta è davanti a noi, anche se non mettiamo a fuoco la giusta via per arrivarci. Non molliamo per nessun motivo, la soluzione va cercata sulla destra dentro un’ultima fascia alberata e ritroviamo la traccia rassicurante. Aggiriamo l’ultimo avancorpo e vinciamo la rampa di rododendri che porta sul punto più alto. Siamo un puntino nel verde sulla cima del Col Duro a 2.033 metri.

Di mio aggiungo qualche annotazione di colore e qualche informazione integrativa.

A proposito di panorama a "360 gradi", direi di non trascurare la vista della imponente piramide dell'Antelao e nemmeno la visione completa del versate Est del massiccio del Civetta.

Se invece vi capita una giornata con un poco di umidità negli altostrati, stando sdraiati comodamente sulla cima, potrete immaginare di giocare a Tris con le scie degli aerei, o magari ripassare qualche figura geometrica come ad esempio il triangolo equilatero.

Prestate invece attenzione se incontrate gli Yack al pascolo. Sono animali abbastanza mansueti e vi lasceranno passare se camminerete tranquilli senza vociare e a una certa distanza da loro. Fate solo attenzione a qualche giovane animale perché probabilmente sarà curioso e potrebbe venirvi incontro e subito la madre arriverà per proteggerlo, come tutte le madri con i propri cuccioli, anche se in questo caso sono di dimensioni non trascurabili.
Non vi sarà difficile fare qualche passo indietro e girare prudentemente più in largo, evitando complicazioni.

Infine, un suggerimento. Prima di partire per fare ritorno verso la pianura non mancate di salire al Passo Cibiana (è solo un chilometro di strada) per ammirare la stupenda piramide di roccia del Sassolungo. Se sarete fortunati vi regalerà anche uno spicchio di luna prima che arrivi il tramonto.

Gabriele Villa
D'autunno sul Col Duro, tra Yack e panorami
Col Duro (Cibiana), 28 ottobre 2017