Il primo giorno di corso
Diario del 36° Corso di alpinismo del CAI Piacenza
di Mara Pedrazzini
Una stanza non troppo grande, tanti visi sconosciuti, una scrivania e
una lavagna ... la prima sera del Corso di Alpinismo è come il primo
giorno di scuola!
Ci si guarda appena, non per diffidenza, non per timore, ma solo perché
è ancora tutto da scoprire: il gioco, le regole e i giocatori.
Una cosa è certa ed è il confine invisibile tra la scrivania e le sedie,
il confine che unisce (non divide!) Istruttori ed Allievi. Lungo il
confine non corrono fili spinati, non ci sono divieti di accesso, ma c'è
una sentinella che ha tutta l'aria di essere colui che ci spiegherà come
si dovrà giocare, senza barare.
Così è. Prende la parola Lucio. È il direttore della Scuola di Alpinismo
‘Bruno Dodi’, ma è soprattutto un uomo che trasuda montagna.
Non so perché, ma per me gli alpinisti hanno qualcosa che li
caratterizza nel fisico e che li rende riconoscibili ancor prima che
aprano bocca. Tengono le gambe leggermente divaricate, come se dovessero
piantarsi ben a terra, hanno le spalle larghe e spesso inarcano
lievemente la schiena, facendo rientrare l'addome in maniera quasi
impercettibile, come avessero sempre uno zaino o una corda che gli grava
addosso; quando le braccia non gli stanno appese lungo il corpo, portano
le mani sui fianchi, una posa che, pur non essendo militaresca, è un
equilibrio di arti che esprime forza e sicurezza. Poi c'è la pelle, che
il sole e l'aria dipingono di quel colorito tipico, che non ha niente a
che vedere con l'abbronzatura, ricorda piuttosto la crosta del pane
cotto nel forno a legna e la corteccia degli alberi. E infine le mani,
mani così belle perché così poco delicate ... sembrano tutte grandi e
forti le mani degli alpinisti! Sono mani che afferrano, legano, tirano e
spaccano, che si
feriscono, si intorpidiscono, arrivano a bruciare per
il freddo e per il caldo. Mani che a guardarle penseresti non possano
avvicinarsi ad un fiore o ad un cristallo senza frantumarli, ma che poi
intuisci essere capaci di tocchi lievi, carezze inaspettate.
Thoreau scriveva: 'Vivere molto all'aperto, nel sole e nel vento, può
senza dubbio produrre una certa ruvidezza di carattere, può far crescere
uno strato di pelle più spessa non solo sul viso e sulle mani, ma anche
su alcune delle qualità più squisite della nostra natura ... Le palme
callose del lavoratore, il cui tocco esalta il cuore più di quanto non
facciano le languide dita dell'ozio, hanno dimestichezza col sottile
tessuto del rispetto di sé e dell'eroismo'.
Torniamo al Nostro Direttore, che ci spiega 'le regole'. Chiede serietà
in cambio di serietà, ma si capisce subito che ci sarà spazio per tante
risate e allegria; vuole impegno in cambio di impegno, perché solo così
arriveremo fino in fondo, stanchi ma soddisfatti.
Oggi, primo giorno di
corso, Lucio fa l'appello, e lo rifarà ogni volta, chino sui suoi fogli,
con gli occhi che saltano oltre gli occhiali, scrutano le righe e poi la
stanza, per dare un volto ai nomi.
E noi allievi non mancheremo mai di
rispondere, oggi più intimoriti, ma poi, con il tempo, anche un po'
mascalzoni e scanzonati, mai irrispettosi.
Lucio ci sarà sempre, ad ogni
lezione teorica e ad ogni uscita in ambiente (uscite che, ci spiega un
poco burbero, una volta fissate in calendario, richiederanno la nostra
presenza al punto di ritrovo CQT, ovvero Con Qualsiasi Tempo).
Oltre a lui, ad affollare la stanza, c’è una nutrita schiera di
Istruttori, una bella litania di nomi che impareremo a conoscere:
Claudio, Elisa, Emanuele, Lino, Giuseppe, Maurizio, Gianfranco, Andrea.
Ma oggi è il Primo Giorno e non riesco ancora a districarmi tra i volti
e i nomi corrispondenti, ancora non so bene cosa aspettarmi da loro, da
me, dai prossimi mesi.
Ora siamo sul pullman, stiamo tornando a casa dopo l’ultima uscita. Quei
mesi sono passati e non posso nascondere che sono quasi triste, perché
so già che tra qualche giorno, quando anche gli attestati saranno stati
consegnati e avremo doverosamente festeggiato, so che allora mi
mancheranno i volti di tutti, allievi e istruttori, mi mancheranno gli
appuntamenti settimanali nella sede del CAI, gli appelli, i ritardi
accolti da risate e rimbrotti, i
silenzi che calano quando nessuno vuole
rispondere alle domande e sembra di tornare al tempo del liceo, quando
si roteavano gli occhi ovunque pur di non incrociare quelli del
professore. Mi mancheranno i pochi minuti di raccoglimento là dove tutto
comincia, al parcheggio dove ci si ritrova prima di partire, luogo quasi
sacro, centro del mondo dei corsi di alpinismo.
E poi i brindisi alla
fine di ogni ‘cima’ (anche metaforica) raggiunta, quando non si sentono
più piastrine che tintinnano, moschettoni che scattano, corde che
volano … quando a volare sono solo i tappi delle bottiglie di vino e gli
unici rumori di sfregamento sono quelli del coltello che affetta pane e
salame!
C’è qualcosa che non mi mancherà? A rischio di incappare nelle ire del
Nostro Direttore, devo ammettere che, almeno per un po’, non mi
mancheranno i paranchi e tutti quei calcoli che mi facevano girare la
testa, per capire i carichi di rottura di corde, cordini e moschettoni!
Mentre le ore di questo ultimo viaggio di ritorno scorrono via insieme
ai chilometri, ripenso a tante cose.
Sorrido quando ricordo la salita al Monte Penna, le nostre facce
intirizzite dal freddo ma ancora capaci di regalare espressioni
irresistibilmente comiche, con gli istruttori che, sornioni, ci
osservano mentre tentiamo di disseppellire la picca, che, giusto per
scrupolo, abbiamo ficcato ben in profondità e ricoperto con quintali di
neve. Un lavoro da muratore, più che da manuale!
Poi il primo incontro con nut, friend e chiodi … e non è stato amore a
prima vista! Cerca la fessura giusta, infila di qua, tira di là, trova
la clessidra, fai la sosta… e poi finalmente quel primo, agognato
contatto con la roccia.
Mani che afferrano, piedi che spingono, la paura
e la gioia, la titubanza e l’esaltazione …
Al Budellone prima e a Gaino
poi, non sono mancati momenti di esilarante follia, con nomi
ripetutamente chiamati a vuoto e persone estranee al gruppo che
rispondono da lontano, giusto per confonderci ancor di più le idee.
E vogliamo parlare di queste benedette corde?
Io in particolare devo
star loro molto antipatica, perché con me si ribellano, non si fanno
capire e finisce sempre che mi ritrovo con delle matasse informi accanto
ai piedi o arrotolate addosso!
Non dimentichiamoci le discese in corda doppia! Dal Budellone in avanti,
passando per la Torre dei Vigili del Fuoco, fino ad arrivare a Rocca del
Prete … corda doppia fino allo sfinimento! ‘E molla l’autobloccante’,
‘Non saltare’, ‘Vai, lasciati andare’, ‘Gambe perpendicolari alla
parete, giù il sedere’, ‘Vai, vai, vai’, ‘Segui la corda’.
Un’abbuffata
di adrenalina che ha coinvolto tutti, allievi ed istruttori. Tutti
esagitati! Loro ad incitare e noi pronti a scattare come dei soldatini,
nonostante ancora molto sospettosi verso quel totale affidamento al
‘materiale’!
E nel frattempo sono arrivate anche le uscite di due giorni, quelle che
hanno compattato ulteriormente la truppa. In Rocca, poi a Capanna
Ventina e infine ai piedi della Marmolada … La montagna è anche questo:
la consapevolezza che si sta salendo insieme e che insieme ci si fermerà
a riposare, insieme ci sarà il momento del silenzio e quello della
risata. So che esistono diverse interpretazioni della ‘psicologia’ della
cordata, il perché ci si lega insieme, reali motivazioni, implicazioni,
etc. So che la montagna è anche competizione, voglia di primeggiare,
voglia di snocciolare gradi e vette, una personale epopea di fatiche
erculee …
Probabilmente è così per tutti, però credo si possa dire di
aver ‘scalato’ quando ci si siede con persone amiche attorno ad un
tavolo al rifugio, quando arrivati in cima ci si scambia una stretta di
mano.
Non servono molte parole, basta la presenza e la sensazione di
guardare tutti dalla stessa parte.
Che dire degli istruttori? Bisognerebbe scrivere un romanzo!
Il 36°
corso di alpinismo sono innanzitutto loro.
Nello zaino non si portano
soltanto un’infinità di ferraglia (Lucio perdonami!) e corde, ma
soprattutto passione, esperienza, conoscenza e voglia di trasmettere
tutto questo. Come sintetizzare in poche righe la bellezza (in tutti i
sensi!) di queste persone e, nello stesso tempo, la gratitudine per
averla messa ‘a disposizione’? Impossibile!
Lucio, Maurizio, Lino, Emanuele, Andrea, Elisa, Gianfranco, Giuseppe,
Claudio, ora questi nomi non ‘suonano’ più estranei come il primo giorno
di corso, ora sono dei volti amici, quei volti che ci hanno scrutato,
confortato, sorriso e a volte anche guardato con severità! Non si sono
mai stufati di ripetere lo stesso concetto per mille volte, sono stati
pazienti quando, all’ennesimo tentativo, invece di un mezzo barcaiolo
spuntava un nuovo nodo ancora da codificare, hanno faticato sotto il
sole e in mezzo alla neve per farci vedere concretamente tutto ciò che
si era già affrontato nelle lezioni teoriche.
Ma soprattutto sono stati con noi; non ci hanno donato solo tempo ed
energia, ma anche una parte più intima di loro stessi: vite, ricordi,
pensieri … e tante, tantissime risate.
Quando si ride insieme (ma anche
quando si condivide un cammino), ci si prende una tregua da tutto, dalle
brutture del mondo, ma anche dai propri piccoli grandi trambusti
interiori.
Dunque non c’è un grazie sufficientemente grande.
Ci sono montagne da
scalare e da vivere e se riusciremo a raggiungere le nostre cime ...
forse sarà questo il ‘grazie’ più sincero a tutti loro!
Detto questo, eccoci qua … alle conclusioni!
In fondo, i protagonisti di questa storia sono stati (e sono!) la
montagna, gli uomini e il loro mai risolto rapporto di amore e timore.
Un rapporto che in parte mi era già noto, ma il corso è stato un momento
di condivisione in più, di ulteriore riflessione, di tante belle
scoperte, di qualche nuovo dubbio.
La paura è un sentimento con cui si
viene a patti, non la si dovrebbe ingigantire fino al panico, né
ignorare fino a dimenticarla.
L’amore è multiforme e ognuno ha (ed avrà)
il suo modo di amare i sentieri su cui cammina, le rocce su cui
arrampica, il ghiaccio che morde con i ramponi. Raggiunta la cima, prima
si volgerà lo sguardo all’orizzonte e gli occhi non basteranno, il cuore
neanche, mancherà il fiato ma non per la fatica; poi si guarderà in
basso, perché bisogna scendere, tornare … e magari ricominciare.
Mara Pedrazzini
Il primo giorno di corso
Diario del 36° Corso di alpinismo del CAI Piacenza
Piacenza, marzo/giugno 2016