A volte ritornano ... ad arrampicare ai Sassi di Castelnuovo

di Gabriele Villa


C'era una volta ... negli anni '70
La storia che voglio raccontare è cominciata oltre trent'anni fa e pare non essere ancora finita.
E' ambientata ai Colli Euganei nei pressi del paese di Teolo e della vicina Rocca Pendice, posta in cima all'omonimo monte, sulla cui parete Est (alta poco più di un centinaio di metri) si trovano vari itinerari di arrampicata che compongono una delle più famose palestre di roccia del basso Veneto.
Sulla parete Ovest, invece, si trovano le famose "Numerate", frequentatissima palestra di arrampicata all'aperto, utilizzata, in anni passati, come luogo ideale per corsi di svariate sezioni del Club Alpino Italiano, non solo del Veneto, ma anche dell'Emilia Romagna.
Anche gli appassionati della sezione di Ferrara la frequentavano sistematicamente, perchè era il luogo più vicino dove si potesse arrampicare su roccia al tempo in cui le palestre indoor erano ancora di là da venire.
I corsi roccia se le "litigavano" quelle rocce di trachite di origine vulcanica e in più c'erano le frequentazioni spontanee con cui dover fare i conti, insomma, erano il luogo ideale per insegnare l'arrampicata, ma non certo dal punto di vista della tranquillità e della disponibilità di accesso.
Fu proprio per quello che un gruppo di arrampicatori del CAI Ferrara iniziò a spingersi alla ricerca di luoghi più isolati in cui poter svolgere i corsi roccia della sezione, andando a perlustrare varie zone con affioramenti rocciosi, più o meno grandi, alla ricerca di un posto più tranquillo e pienamente fruibile.

Così nel racconto di chi ne ha vissuto gli inizi
[Notammo quei “denti” di roccia affiorare dalla dorsale di Castelnuovo perché i contadini della zona, proprio quell’anno, avevano effettuato il taglio periodico del bosco ceduo: era il 1981.
Un giorno salimmo a guardare da vicino e ne avemmo buona impressione: erano tre sassoni di trachite (roccia di origine vulcanica), alti non più di dieci metri sui versanti sud, ma il più grande raggiungeva i venti metri di altezza sul suo lato nord; le rocce erano abbastanza pulite da muschi e licheni, mentre intorno e in qualche fessura della roccia ci sarebbe stato da eliminare qualche rovo e contrastare l’avanzata della rigogliosa “macchia mediterranea” e di qualche fronzuto castagno troppo vicino alle rocce.
Trovammo pure alcuni anelli cementati, segno di lontane frequentazioni.
Sassi del Prete, quello sembrava essere il nome del luogo della nostra “scoperta” e ci parve di avere trovato il luogo ideale per i nostri corsi di roccia perché quelle vie “troppo corte”, che facevano aumentare la voglia di arrampicare piuttosto che saziarla, erano la migliore garanzia del fatto che sarebbe rimasto luogo tranquillo così come noi lo volevamo e alla fine diventarono e rimasero per noi, semplicemente “I SASSI”.
Cominciarono le visite per la pulizia sistematica, ma soprattutto per l’arrampicata, anche perché, quasi in una gara tra noi, salivamo le “minuscole” linee più logiche dando loro un nome come fossero autentiche vie di montagna ed ognuno voleva lasciare la sua firma su quelle rocce di bella trachite, in un gioco fanciullesco e spontaneo.
Nacquero così la via “dello Scivolo” (una rampa inclinata povera di appigli da fare in aderenza), la via “Magilla” (che per chi non lo ricordasse era un gorilla dei cartoni animati di quegli anni) cui fu aggiunta una variante “Cita”, la via “Soft Climb” (forse la più bella di tutte, un dulfer morbido fatto di tecnica ed equilibrio più che di forza), la fessura della “Serpe Fuggente” (nel nome analogie ed assonanze con la Val di Mello, nella salita una castigante opposizione schiena-piedi in stile anni ’30), il “Naso dell’ippopotamo” (per la caratteristica forma del tetto che aggirava), lo “Spigolo dello gnomo”, la “traversata del Dottore”, così come non poterono mancare le vie “Ave Ninchi nuda a cavallo” e nemmeno la “Supercazzola” (erano i tempi di Alto Gradimento di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni e dei primi film della serie “Amici miei”). Avevamo attrezzato anche una piccola “via ferrata” con una trentina di metri di cavo d’acciaio che veniva montato ad inizio corso e smontato al termine delle esercitazioni.
Fino all’anno 2000 “I SASSI” sono stati la palestra ”ufficiale” del CAI di Ferrara in cui si succedettero 19 corsi roccia e 13 corsi di alpinismo e vi mossero i primi passi decine e decine di aspiranti alpinisti ferraresi, favoriti da quell’ambiente tranquillo e ameno immerso nel verde dei Colli Euganei, dalla contenuta esposizione che lasciava i principianti relativamente tranquilli di sperimentare l’arrampicata e le calate con la corda doppia.
Finita la frequentazione ufficiale da parte dei corsi quel micromondo di trachite solida e rugosa è rimasto comunque un riferimento per chi lo aveva conosciuto, sicché non è stato infrequente vedere ex allievi che andavano a ripercorrere le viette che li avevano visti muovere i primi passi, così come qualcuno non ha mai perso l’abitudine di andare ogni tanto a trascorrere una giornata all’aria aperta non dimenticando di portare con sé la forbice da potatore, la sega e il falcetto ed un robusto paio di guanti da lavoro.]

A riguardarli oggi sembra impossibile...
Sì, sembra davvero impossibile che su quelle rocce di trachite ci potessero andare corsi di alpinismo con non meno di ventiquattro allievi e una quindicina di istruttori e aiuto-istruttori.
Erano altri tempi, da ricordare con distaccata nostalgia, almeno per quanto riguarda me che li ho vissuti da vicino.
Nostalgia verso lo spirito che contrassegnava quei tempi che a me piace definire "semplici" per lo spirito che animava gran parte delle persone che si avvicinavano all'arrampicata, distaccata per non cadere nella retorica del passato, perchè se si indugia a rimpiangerlo non si riesce a vivere pienamente il presente.
Dunque, quando vado ai Sassi (e ci vado tutti gli anni nella stagione primaverile) non è per guardare all'indietro, ma per godere della tranquillità del luogo e ritrovare il piacere del movimento su quella trachite solida e parca di appigli, che racchiude tra le sue rocce un campionario di movimenti tecnici che, pur nell'esiguità della lunghezza dei percorsi, rappresenta un piccolo campionario di quella che si definisce "tecnica individuale di arrampicata".
Ho sempre cercato di coinvolgere qualche amico nelle mie uscite, e fino a dieci anni fa era anche facile trovare compagnia, poi gli arrampicatori sono progressivamente calati in sezione, forse più attirati dall'arrampicata sportiva a portata di mano nelle palestre indoor sorte (anche) nella nostra città.
Sono aumentati nel contempo gli escursionisti e qualcuno tra loro, mosso da spirito di curiosità e con un poco di intraprendenza, si lasciava coinvolgere anche perchè i corsi di escursionismo della sezione vanno a svolgere esercitazioni di "camminata su terreno impervio" proprio ai Sassi, che si trovano sul percorso dell'Alta via dei Colli Euganei, una delle uscite consolidate del Corso di escursionismo avanzato.
Il fatto di esserci passati e avere visto di persona quelle rocce, probabilmente incentiva la curiosità, anche se non è mai stato scontato che ci fosse qualcuno a raccogliere la proposta, ma ogni tanto succedeva, come anche è capitato e capita che ci sia qualcuno, conosciuto nella palestra indoor, che si lasci tentare dalla semplice frase "vado ad arrampicare ai Sassi". Così quel sottile filo affettivo che mi lega ai Sassi non si è mai strappato e ogni tanto succede che funzioni il passa parola, che ci sia qualcuno in più che si aggrega per venire a vedere "che cosa succede" e anche che ci sia la giornata al momento giusto, in una domenica di bel tempo primaverile.

C'era una volta ... due settimane fa
E' assai probabile che qualcuno di quelli che si sono lasciati tentare questa volta non si aspettasse di trovarsi a girare attorno alle pareti con i guanti da lavoro, una cesoia, un seghetto, un rastrello o una brusca metallica, ma è l'inizio obbligato perchè i Sassi hanno un avversario naturale che si chiama "macchia mediterranea", un nemico che arretra se lo affronti, ma che subito torna ad avanzare, Robinia in testa, non appena lo lasci stare per qualche mese. Al resto pensano i Castagni che con la loro ombra creano le condizioni ideali al diffondesi del muschio che così ricopre la trachite con morbidi cuscini verdi che non sono l'ideale per favorire l'aderenza delle scarpette. 
Dunque, occorre prima almeno un'oretta di lavoro per ripulire la zona che più interessa, dopo di che si può provare con un percorso facile sul quale fare arrampicata per poi scendere con la corda doppia.
Preparato il percorso di salita, mettendo le protezioni e sistemando gli ancoraggi, mi sono dedicato alla "rifinitura" del verde, lasciando che quelli che sanno fare i nodi e conoscono le manovre le spiegassero agli altri, in amichevole armonia e spirito di collaborazione.

Arrampicato sul castagno ho segato i rami che facevano ombra fin sulla parete, nel contempo guardando (quasi fossi in una tribuna) tutti che ripetevano il percorso assicurati sia dall'alto che dal basso, per poi scendere in corda doppia una volta raggiunto il terrazzino e rifarsi il giro una seconda volta. Davvero un bel gioco, facile e divertente.
Così la mattina è scorsa veloce tra arrampicate e corde doppie ed è stato davvero sorprendente vedere l'impegno e l'attenzione che tutti ci mettevano, mentre io, terminato di potare le fronde del castagno, ho girato sulla cresta del Sasso Uno a fare fotografie, a curiosare sulle varie operazioni, a dare qualche consiglio.

 

Peccato che nel primo pomeriggio Gianluca, Elisa e Francesco se ne sono dovuti andare per impegni, così siamo rimasti in cinque e io unico capocordata, ma non sembrava un problema perchè Chiara e Stefania mica se la sentivano di fare la Magilla, come io avevo proposto.
Alla fine hanno accettato però di provare almeno il primo tratto fin sotto al tettino.
Così siamo rimasti insieme e, uno alla volta, tutti sono arrivati al terrazzino senza problemi, perfino Stefania che dopo ogni passo ripeteva un "ecco" sconsolato, come a dire "più avanti di così non ce la posso fare".
Una decina di "ecco" e, finalmente, lo abbiamo detto noi: "Ecco, sei arrivata. Ce l'hai fatta!" ed eravamo contenti noi quasi più di lei, che già proponeva di essere calata alla base con la corda.

Siccome le cose non si lasciano a metà abbiamo salito anche il secondo tiro di corda che ha un passaggio ancora più difficile e qui Stefania, dopo alcuni tentativi vani, si è inventata un'opposizione fianco-piedi con una torsione del busto che al solo guardarla veniva il mal di schiena, però .... è stato il momento in cui ha fatto il sorriso più soddisfatto della giornata perchè è proprio vero che chi la dura la vince.
Rita poi ha chiuso la fila superando in bello stile il passaggio nel modo classico, dopo di che siamo scesi in doppia per andare a scalare, sempre insieme, lo spigolo del Sasso Due.

Non poteva mancare un'ultima "corsa" sulla Soft Climb, assieme ad un concentratissimo Alessandro, sui dieci metri di arrampicata più belli e divertenti di tutti i Sassi, per concludere in bellezza una giornata semplice e allo stesso tempo ricca di "buone" sensazioni.

Gabriele Villa
A volte ritornano ... ad arrampicare ai Sassi di Castelnuovo
Colli Euganei, domenica 13 aprile 2014



Nota della redazione.
Le foto del diario fotografico sono di Gabriele Villa, eccetto le tre in cui è presente che sono state scattate nell'ordine da Rita Vassalli, Alessandro Zerbini, Chiara Tivelli.

Panorama dalla cima dei Sassi: da sinistra Rocca Pendice, Sasso della Croce, Sasso di Castelnuovo.