Cronache da Truna Sorgazza

di Francesco Pompoli


Sabato 8 febbraio 2014. Nevica, nevica, nevica …
... al telefono Mauri mi descrive scenari himalayani ed è ora di andare a vedere con i miei occhi!
A Malga Sorgazza sono bloccati da venticinque giorni dalla solita valanga del Boalon, Carla consuma la sua nutrita dispensa e spedizioni di supporto portano quello che manca ed aiutano a spalare la neve.
Parto da solo sabato mattina, alle 8:30 sono a Pieve per prendere giornali e pelati, è nevicato anche qui nella notte ed il cielo è plumbeo; parcheggio la macchina poco prima delle casette, inforco gli sci e lo zaino e salgo verso la Malga. La valanga non è enorme, sembra che ripetute scariche abbiano scavato un fiume con due argini laterali che bloccano il passaggio.

Superata la valanga, risalgo la strada e la neve aumenta di spessore passo dopo passo.
Esco anche dalle nubi basse e quando arrivo nella radura della malga uno splendido sole mi saluta, mostrandomi un cielo blu cobalto e tutte le cime e gli alberi incredibilmente carichi di neve.
Da solo questo istante vale il viaggio e l’alzataccia a Ferrara, dopo un mese di maltempo pressoché continuo. Respiro a pieni polmoni, mi godo la pace, poi taglio per il pendio per arrivare alla malga da una direzione insolita.

Tra la neve quasi non si distingue, il tetto è coperto da uno spessore di neve incredibile, la neve al suolo arriva quasi ad attaccarsi al tetto e l’effetto è quello di una grande truna!
Carla mi viene incontro camminando in un tunnel e realizzo che i miei sci sono sopra alla sua testa!
Mauri e Giorgio sono già al lavoro, stanno spalando una piazzola al sole davanti alla tettoia, dove d’estate c’è un prato che degrada decisamente verso valle.

“Questo sarà il Solarium!”, urla Carla mentre va a recuperare due sdrai per godersi il bellissimo sole.
Intanto mi tolgo gli sci e mi aggiro incredulo, l’unico modo di muoversi è seguire le trincee scavate da Mauri con la fresa, ciascuna porta in un posto in particolare (la compostiera, il pollaio, il bagno esterno ….); a fianco, un muro di neve ben più alto della mia testa che impedisce addirittura di guardarsi in giro!

Scatto qualche foto e mi metto a disposizione di Mauri per i lavori!
Cominciamo con una spedizione alla sorgente, per verificare come mai l’acqua abbia perso pressione.
Appena uscito dalla traccia, la neve mi arriva alla pancia e spesso i piedi non trovano comunque una base solida per avanzare; sembra quasi di nuotare nella neve, sfrutto la pala per fare leva mentre dietro di me Mauri e Giorgio perfezionano meticolosamente la mia traccia sommaria per rendere il percorso perfettamente battuto.
Arriviamo alla sorgente, o meglio ad un mucchio di neve che Mauri ci dice trovarsi sopra la sorgente.

Scaviamo fino ad arrivare alle piastre, in tre lavoriamo un’ora abbondante per togliere più di due metri di spessore, spesso spalando due o tre volte la stessa neve dato che dopo un po’ lanciarla è impossibile.
Sistemata la sorgente rientriamo in Malga, il cielo si è già coperto e riprende a nevicare, che novità!
Cominciamo a liberare il passaggio per il “Cubiello”: se mai arriverà lo spazzaneve a pulire la strada non potrà certo arrivare fino alla tettoia… Carla intanto emana buoni profumini dalla cucina, la colazione delle 5:30 comincia ad essere lontana e l’efficacia della mia pala peggiora a vista d’occhio!
“Pronto!” grida Carla, e ci presenta una spettacolare ribollita calda.
Nel pomeriggio cominciamo a sgombrare una tettoia, poi ci prendo gusto e salgo sul tetto principale e comincio a scaricare verso il basso metri cubi di neve, riempiendo nuovamente lo spazio sgombrato la mattina; la cosa più impressionante di questa neve è il volume che occupa ed il numero di volte che devi spostarla da una parte all’altra fino a scaricarla in una zona che non sia di passaggio.

Ormai anche la fresa non riesce più ad espellere la neve oltre i bordi delle trincee, troppo alte, e quindi bisogna salire sui bordi e scavare anche quelli per permettere l’evacuazione della neve.
Lavoriamo fino a sera, senza sosta sotto una nuova nevicata.
Con il buio ci rintaniamo al calduccio, si chiacchiera, si guardano foto, si mangia (tantissimo! … ma quante scorte aveva Carla se dopo venticinque giorni prepara cene luculliane? …).
Mauri e Carla affrontano questa avventura con estrema tranquillità, si godono i vantaggi di questo isolamento (in parte cercato trasferendosi qui dalla città) ma non nascondono un po’ di preoccupazione per il lavoro che in queste condizioni è pressoché scomparso e compromette la stagione invernale; alla fine si va a nanna mentre la neve silenziosa continua a cadere!

Domenica 9 febbraio 2014. Al mattino Mauri attende una squadra di spalatori vicentini, io mi prendo un momento di libertà e preso dalla curiosità salgo verso la teleferica nella neve ancora intonsa.
Gli sci non sfondano troppo però la neve è pesante, avanzo lentamente e prendo fiato liberando alcune piante dalla neve e facendo fotografie.
Camminando sulla strada non ci si rende conto dello spessore di neve presente, ma quando arrivo al ponte di Val Vendrame e lo cerco mi accorgo che sto camminando a circa tre metri di altezza!

Proseguo fino alla teleferica, miracolosamente ancora in piedi: il cavo esce dalla neve, sul tetto uno spessore di neve superiore ai tre metri, i miei sci si trovano mezzo metro sopra la tettoia.
Smette di nevicare ma le nubi restano basse, non si vedono bene le montagne, sento una grossa scarica lontana scendere dai canali della Campagnassa.
E’ ora di rientrare, il cantiere sarà in piena attività con la nuova squadra!
Pochi minuti di discesa e mi ritrovo, pala in mano, a lanciare neve dal tunnel dei tacchini!
Ormai il lavoro è terminato, Mauri fatica a immaginarsi nuovi compiti e Carla dichiara chiuse le ostilità chiamandoci a pranzo!

Nel pomeriggio arriva Christian, improvvisamente si alza un vento forte e partiamo nuovamente per la teleferica, il cielo si sgombera in un attimo diventando sereno, sembra di rinascere con questi nuovi colori, con tutte queste cime cariche di neve all’inverosimile, un versante ci ricorda l’Himalaya, una guglia la Patagonia, una cima le Ande…

Christian rileva con la sonda gli spessori di neve, 2.60 metri al ponte di Val Vendrame e 3.30 metri alla teleferica. Da qui, dapprima un po’ sfocata dalla neve sparata dal vento dalle creste e poi perfettamente nitida, riusciamo a vedere la croce di vetta, il bivacco della cima ed il rifugio Brentari più sotto.
Possiamo solo immaginare la quantità di neve presente in quota, per ora il rischio valanghe è troppo elevato per salire e verificare…

Rientriamo con uno splendido tramonto, chiacchieriamo ancora un po’ con Mauri e nella penombra ci lanciamo in discesa fino alla macchina, correndo come treni impazziti sulla profonda traccia di salita che ci impedisce di rallentare.
Alla macchina mi sembra di rientrare nella realtà, per due giorni ho vissuto in un sogno fatto di neve, luce, nebbia, amicizia, fatica, solidarietà, calore.
Peccato dover rientrare… ci avevo proprio preso gusto!

Francesco Pompoli
Truna Sorgazza, 8 e 9 febbraio 2014