Il mio assaggio di Tor des Géants

di Francesco Pompoli


Provo a vincere la delusione del ritiro per rivivere i bei momenti vissuti durante il Tor des Géants della Valle d'Aosta, prima che alcuni dettagli scompaiano dai ricordi…
La mattina della partenza mi sento sereno, calmo e molto carico, risalgo la strada principale di Courmayeur già invasa di trailers fino alla piazzetta della chiesa, con i suoi striscioni colorati illuminati dal sole e la musica che carica sempre più all’avvicinarsi del via.
Trovo Barbara e conosco il suo compagno Guido, è subito amicizia e ci si scambia le ultime idee su come affrontare questa corsa. Il tempo vola e siamo già pronti per partire, un po’ defilati nel gruppo tanto non ci sarà bisogno di partire troppo forte….

VIA!
Si attraversa il centro di Courmayeur tra due ali di folla, con campanacci, bandiere, urla di incoraggiamento, si scende a fondo valle e si risale verso il Col d’Arp.
Dopo poco si imbocca un ripido sentiero nel bosco, tutti al passo, in fila indiana, con qualche irrequieto che prova a superare pestandoti i piedi… meglio aspettare tranquilli, presto saremo meno fitti e poi forse ci cercheremo in mezzo alle montagne solitarie…

Si prende rapidamente quota, fino all’ampio vallone erboso che ci introduce al primo colle (Col d’Arp, 2571 metri). Incontro qui alcuni volti noti del team Tecnica, in particolare Cinzia e Roberto con i quali il ritmo di gara è stato spesso simile; li saluto, e penso che potrebbero essere un buon riferimento data la loro grande esperienza nei trail.
Giunti al colle, presidiato come nel western da tanti “indiani” urlanti che però fanno il tifo per noi, affronto la prima discesa, con corsa molto controllata.

Mi sono ripromesso di limitarmi soprattutto in discesa, per buona parte della gara, per evitare di sollecitare troppo i quadricipiti, i legamenti e le cartilagini delle ginocchia già usurate, ed infatti in breve i “tecnici” (i ragazzi del team Tecnica) mi superano allungando leggermente.
In lontananza i ghiacciai del Rutor, il vallone di Youlaz è splendido, dapprima erboso e verdeggiante, molto dolce, poi più ripido e boscoso nella discesa finale verso La Thuile, dove con “i tecnici” ci superiamo a vicenda tra battute e chiacchiere.

L’ingresso a La Thuile è trionfale, tra tanta gente, campanacci, urla di incoraggiamento; il cuore inevitabilmente accelera per l’emozione ed il passo anche, per fare bella figura davanti a tanto tifo!
Entro al primo punto di controllo e ristoro, sono circa 50esimo, mangio con calma un po’ di Mocetta, grana, albicocche secche, riempio la borraccia e riparto all’inseguimento dei “tecnici” che se ne sono già andati.
Sono soddisfatto perchè l’appetito non manca, segno che il ritmo è quello giusto per lasciare aperto lo stomaco e reintegrare le calorie che consumerò durante questo viaggio.
Un tratto un po’ noioso nel paese e nei suoi dintorni, poi si imbocca il sentiero delle cascate per salire al rifugio Deffeyes ed al Passo Alto (2857 metri).

Supero "i tecnici" impegnati a farsi fotografare davanti ad una cascata, poi gli scatto qualche foto dall’alto, salgo di buon passo godendo del sole, del bellissimo paesaggio, del ghiacciaio del Rutor davanti a me, del Lac du Glacier in una splendida conca verde, del continuo incoraggiamento di chi è salito fin quassù per vedere la corsa ed incita allo stesso modo il primo come l’ultimo.
Questo evento è incredibile, pensare di unire in un percorso a piedi l’intera Valle d’Aosta, di coinvolgerla per una settimana nell’assistenza, nel tifo, nella sfida di attraversarla; trovo la cosa bellissima ed entusiasmante!

Dal rumore dei campanacci capisco che mi sto avvicinando al rifugio Deffeyes, qui tra ali di folla il ristoro è all’aperto, un the veloce, qualche albicocca secca, una banana e via di nuovo per continuare a salire.
Salendo verso il Passo sento qualcuno arrivare alle mie spalle e mettersi al traino, chiedo se vuole passare ma dice di no; la voce mi sembra familiare, gli chiedo da dove viene: Vicenza.
Allora mi giro e scopro che stamattina in albergo ci siamo conosciuti a colazione, abbiamo fatto due chiacchiere e ci siamo salutati velocemente. Si tratta di Enrico, un tipo alto, dallo sguardo tranquillo, che evidentemente non scherza se mi ha raggiunto! Proseguiamo insieme e cominciamo a chiacchierare, inizialmente di corse in montagna poi anche di altro, del lavoro, della bellezza dei luoghi, delle strategie di corsa.
In un attimo siamo al Passo Alto (15:15), seconda ascesa di giornata, e cominciamo la discesa in una pietraia infinita. Enrico allunga un po’, io rispetto le mie intenzioni sulla discesa, il Vallone di Haut è estremamente selvaggio e non si vede nessun segno umano nei paraggi.
Anche i “tecnici” mi superano, certo che andare in discesa così piano è esasperante… vabbè resisto …
No competition today!

Al ristoro di Promoud grandi festeggiamenti, campanacci, tifo da stadio, chiamano anche il mio nome (chissà come lo sanno ????), sfottono un po’ i “tecnici” tutti in divisa, sponsorizzati, in confronto a me ed Enrico vestiti un po’ come capita, con maglie bianche NO-LOGO; io ho addirittura dei normali pantaloni da trekking corti, scelti per le grosse tasche nelle quali infilo la macchina fotografica, pesante ma irrinunciabile attrezzo per immortalare questa galoppata tra le montagne valdostane.

Si ricomincia a salire verso il terzo colle (Col della Crosatie, 2826 metri), di cui mi hanno parlato per il difficile tratto finale; in effetti dal basso non si capisce dove si passerà, una zona rocciosa chiude il percorso e non presenta sentieri evidenti; intanto supero nuovamente i “tecnici”, in salita mi sento alla grande e mi piace sentire gambe, muscoli e cuore che lavorano in armonia. Enrico invece è sempre con me, ci troviamo molto bene insieme e chiacchieriamo di continuo. E’ esaltante sentirsi così bene in un posto così bello, e sapere che il gioco non finirà tanto presto e quindi ci sarà modo di vivere un crescendo di emozioni.
Scherzando tiro fuori l’esempio del Titanic, tutto andava bene a bordo ed i motori andavano al massimo per tentare il record di traversata atlantica, ma sulla rotta c’era un iceberg… anche noi stiamo facendo baldoria con un iceberg sulla rotta?
Ogni tanto ci chiediamo se sentiamo l’orchestrina suonare sul ponte, ed in effetti ora, tra queste rocce a lastroni posate una ad una e fissate con grossi ferri sulle rocce inclinate sentiamo un flauto peruviano… uno spettatore è salito fin qui per incoraggiarci a modo suo, molto suggestivo ma per un attimo ho pensato ad una falla!

Tra una distrazione e l’altra eccoci anche al terzo colle, sono le 17:10 e tutto gira come meglio non potrebbe.
Ora ci aspetta la discesa a Valgrisanche, verso la prima Base Vita.
Subito dopo il colle, una brutta sorpresa; incontriamo Marco Gazzola, favorito della gara, che cammina lentamente un po’ sconsolato; ci fermiamo, lo salutiamo, gli offriamo aiuto ma ha problemi di stomaco, rimette qualsiasi cosa ed ora scenderà lentamente a valle per ritirarsi. Peccato, proviamo a incoraggiarlo e riprendiamo la discesa un po’ più silenziosi, contenti di riuscire a mangiare bene e volentieri e quindi di non correre per ora rischi di questo tipo. Intanto passiamo il Lac de Fond e ci passano “i tecnici”.

Verso la fine della lunghissima discesa Enrico allunga un po’ ed io mi tengo in retroguardia, ci ritroviamo al ristoro di Planaval e alla Base Vita di Valgrisanche dopo diversi chilometri un po’ noiosi nel fondovalle.
Ne approfitto per chiamare Margherita e Barbara, tutto va benissimo, sono in anticipo sui pronostici ma quel che mi fa ben sperare è che non sono stanco e mi sembra di aver risparmiato energie ovunque potevo farlo.
La gara è splendida e non vorrei essere in nessun altro posto al mondo!
Arrivo a Valgrisanche verso sera, nella base ancora non c’è molto traffico, sono sempre intorno alla cinquantesima posizione.
Il primo settore, con 49 chilometri e 3750 metri D+ è percorso.
Mangio subito, abbondantemente, pasta, brodo caldo, Mocetta, grana, qualche albicocca, una banana.
Cambio nello zaino alcuni vestiti per la notte, riempio il camel-bag e concordo con Enrico di ripartire subito e cercare di passare la notte viaggiando insieme.
“I tecnici” sono scappati subito, rimaniamo un po’ indietro rispetto a loro ma va benissimo così.
Verso le 20:00 usciamo dalla Base Vita, cominciamo la lunga salita verso il rifugio Chalet de l’Epèe ed il Colle Finestra (2840 metri). Accendiamo le frontali, la serata non è fredda anche se in lontananza cominciano a vedersi lampi un po’ preoccupanti. Una fila piuttosto rada di lucine in movimento ci indica dove dobbiamo arrivare, e da dove veniamo se ci giriamo un attimo. Niente luna stanotte, almeno per ora, ma un enorme quantità di stelle e diversi lampi in lontananza.
Arriviamo al rifugio alle 21:30, ci scaldiamo un po’ all’interno con qualche the caldo e ripartiamo subito per raggiungere il Colle Finestra, quarto Gran Premio della montagna di giornata.
Nuova discesa, stavolta rimaniamo insieme; arriviamo a Rheme Notre Dame alle 00:20 con tifo da stadio (una tromba risuona per tutta la valle), anche qui sosta breve, qualcosa di caldo e di energetico e si riparte per la lunga salita del colle dell’Entrelor (3007 metri). Ormai è piena notte ma il sonno e la stanchezza non arrivano; con Enrico continuiamo a parlare e scherzare, godendo del benessere che ci sta dando questa bellissima sfida.
E’ lunga fino al colle, ma il nostro ritmo è ottimo: all’01:50 arriviamo, 1 ora e 30 minuti per 1300 metri di dislivello compresa la sosta a Rheme Notre Dame di almeno dieci minuti!
Al colle due volontari sorvegliano la situazione, scambiamo due chiacchiere, sulla provenienza ferrarese scatta qualche ironia ma anche tanta ammirazione, ci fanno una foto e ci salutano con calore.

Ennesima discesa, questa volta verso la Valsavarenche; a metà mi devo fermare perché sento qualche movimento intestinale, ma non intuisco nemmeno lontanamente che sarà l’inizio della fine… improvvisamente, quando siamo già nel bosco, incontriamo Cinzia rannicchiata nella giacca a vento, sofferente.
Ci fermiamo, le offriamo aiuto, sta male e vomita continuamente. Preferisce stare ferma un po’ ma l’invitiamo a riprendere per non accumulare troppo freddo, da sola di notte. Cerchiamo di farle coraggio ma dobbiamo riprendere la nostra corsa. Io comincio ad avere crampi intestinali, non mi sento molto bene ma nemmeno mi preoccupo tanto.
Arrivati ad Eaux Rousse verso le 4:00, facciamo una buona pausa, avvisiamo della situazione di Cinzia, ci riposiamo dieci minuti nell’affollata tenda (una branda in due) ed io mi faccio dare due imodium dal dottore, sperando di poter bloccare la situazione.
Ripartiamo dopo aver visto Cinzia arrivare, molto provata.
Si ritirerà a breve, purtroppo.
Appena usciti dalla Base Vita mi coglie una scarica incontrollata.
Cominciamo con calma la salita al colle più alto del Tor des Géants: il Col di Loson (3299 metri).
La notte ormai sta per finire, non abbiamo preso temporali, siamo sereni ed affrontiamo decisi l’ultima salita prima della seconda base vita, di Cogne, dove ci godremo un po’ di riposo.
Verso metà salita di nuovo i crampi, mi devo fermare due volte e purtroppo le scariche peggiorano.
Mi accorgo anche che fatico sempre di più a tenere il passo, il cuore è sempre più in affanno e le gambe si fanno pesanti. Sono sensazioni che non conosco, il mio corpo sembra seguire nuove leggi a me sconosciute e la mia testa non riesce a riconoscere nessuno di questi sintomi.
Nella parte alta della valle invito Enrico ad andare avanti, lui mi dà appuntamento al Colle ma io capisco già che non ci rivedremo più. Purtroppo l’altimetro mi piazza a 2300 metri di quota, significa che in queste condizioni mi aspettano ancora 1000 metri di dislivello e guardando in lontananza la posizione del colle non mi conforta per nulla. Ho anche brividi di freddo, e comincio a vestirmi fino a mettere tutto ciò che ho nello zaino.
Ogni passo diventa più faticoso, spesso devo fermarmi e poi adotto uno stile himalayano, cinque passi e stop per respirare; il cuore è impazzito, a volte mi sembra perda colpi, mi sento quasi svenire ma fermarsi qui sarebbe pericoloso. Decine di concorrenti mi superano mentre affronto questa agonia, penso solo a fare un passo dopo l’altro ed uscire da quel maledetto colle per prendere il sole e scaldarmi un po’. Provo a mangiare, qualche barretta e qualche gel, ma le energie non arrivano; provo a bere, ma fatico a mandare giù acqua.
Alle 9:30, dopo quattro ore e mezza di agonia, arrivo finalmente al Colle, inondato dal sole, ma il lungo vallone che vedo sotto di me non mi rincuora per niente… rimango coperto, nonostante il sole caldo, e penso solo a fare un passo dopo l’altro, camminando lentissimo anche in discesa, sperando di arrivare prima possibile al ristoro del rifugio Sella e poi a Cogne.

Raggiungo il rifugio Sella in un tempo che mi pare infinito, provo a bere qualcosa e mi butto su un prato ma anche a terra sento il cuore pompare a velocità assurda. Comincio seriamente a pensare che sia finita, ma non ho ancora messo insieme tutti i sintomi con la grave disidratazione in corso.
Proseguo, controllo ogni tanto il campo per il telefono ma da stanotte non è possibile chiamare, né amici, né eventuali soccorsi. Proseguo fino ai pendii superiori della Valnontey, e da lì finalmente riesco a chiamare Margherita, Gabriele e Barbara.

Con Margherita, appena la sento, mi viene da piangere; la tensione per quanto superato stanotte, la delusione per un probabile ritiro, lo stato fisico veramente prostrato mi fa cedere quando sento la sua voce. Un po’ brusco tronco la comunicazione per non piangere a dirotto, aggiorno Gabriele sulla situazione e da lui ho un incoraggiamento a proseguire che però in cuor mio suona vano.
Sento di aver dato tutto quello che potevo dare su quel colle, di aver rischiato diverse volte di svenire, di aver consumato il mio organismo e la mia volontà fino all’ultima goccia per arrivare fin qui e mi sembra impossibile pensare di poter fare altro oltre a questo.
Arrivo a Cogne dopo una discesa infinita, la gente che incontro mi incita ma io scuoto la testa per manifestare il mio disappunto… in realtà sono ancora nella prima parte dei concorrenti, ma capisco anche dentro di me che anche diverse ore di riposo difficilmente potranno aggiustare questa situazione.
Arrivo a Cogne verso le 14:00, fanno 102 chilometri e 8000 metri di dislivello positivo, senza riposi significativi.
Il bello è che se non fosse per il cuore, non sento sonno né stanchezza ed avrei voglia di continuare.
Parlo con un medico che mi controlla le pulsazioni (95 a riposo!) e mi diagnostica una brutta disidratazione e probabile virus intestinale. Molti si sono ritirati in condizioni simile ieri e questa notte, mi dice.
Gli chiedo se con un buon riposo si può sperare di riprendere, ma è scettico: in queste condizioni ci vuole più di qualche ora di sonno ma posso provare. Prendo altri due imodium, mangio qualcosa, bevo molto, faccio la doccia, provo a riposare un po’in branda. Una signora dell’organizzazione mi prende a cuore, mi incoraggia a riposare e ripartire, cerca di rincuorarmi.
Ho freddo, fortunatamente nella sacca ho anche un piumino e riposo sotto le coperte, ma brividi di freddo e scariche non mi danno molta tregua. Verso sera torno dal medico, provo la febbre: 38,5°C.
Il medico mi invita ad andare dalla guardia medica per antibiotici e poi a casa ma sono da solo, con la macchina a Courmayeur, e senza albergo quindi preferisco riposare qui alla Base Vita, intanto invasa da tanti trailers, e prendere la navetta del mattino per Courmayeur.

Intanto comunico il mio ritiro, preferisco decidere ora in queste condizioni piuttosto che farmi prendere dai dubbi notturni e magari domattina ripartire prima del cancello orario. So che con la volontà potrei proseguire ma devo ricordare la fatica di oggi e pensare a quel che si può rischiare in queste condizioni; non mi va di affrontare la montagna in questo stato, con il cuore ed il fisico fuori controllo, e non voglio mettermi a rischio e trovarmi nella condizione di non cavarmela da solo.
Il bel gioco è finito, quasi prima che cominciasse, ma la sconfitta va accettata a testa alta.
La notte passa tranquilla, tra una visita di Barbara che va incontro a Guido ancora impegnato al Col Loson, qualche ora di sonno, visite al tendone con tazze di minestrone, due chiacchiere con Guido arrivato alla base vita e deciso a ripartire dopo poche ore di riposo, la visita di Alessandro in servizio come guida alpina in caso di necessità (in realtà dormirà tutta notte in macchina).
Alle 6:00 ho tutto pronto, in sei tutti mogi saliamo sulla navetta che ci riporta a Courmayeur.
E’ finita, purtroppo, ed il pensiero va a chi invece continua, un po’ con invidia ed un po’ nella speranza che almeno lui ce la faccia a terminare l’impresa, forza Enrico e forza Roberto!


Francesco Pompoli
Il mio assaggio di Tor des Géants
Courmayeur (Valle d'Aosta), settembre 2012