Un alpinista all’isola di Capri

di Gabriele Villa


Ci sono luoghi in cui un alpinista scorbutico, quale io mi considero, non penserebbe mai di recarsi, magari anche per partito preso o perché pensa che con quei luoghi non ha niente a che spartire per via dello spirito un po’ selvatico che lo anima.
Questo vale soprattutto per luoghi che godono di una fama particolare, magari un po’ snob, se non “esclusivi”, come si usa dire nella banalizzazione della terminologia moderna, dimenticando l’invasività del turismo di massa delle gite preconfezionate che portano la “gente” in luoghi lontani con lo stesso spirito con cui si potrebbe andare allo zoo, diventando però noi stessi le “bestie strane” da ammirare stupiti a cura degli abitanti locali.
Proprio questi luoghi “esclusivi” per chi ha i mezzi economici per isolarsi (magari anche solo attraverso la discriminante del lusso) dalla massa brulicante che li invade, rientrano allora nella lista di quelli in cui non penseresti mai di andare, almeno non per tua spontanea iniziativa.
Si sa che ogni regola ha le sue eccezioni e allora ecco che una gita all’isola di Capri può diventare una di quelle realtà che non si sarebbe mai immaginato di conoscere.
Però, attenzione, non una gita turistica normale, ovviamente, ma una gita CAI, organizzata da persone che conosci e che sai capaci di sorprendere proprio perché sanno andare in luoghi scontatamente turistici con occhi e animo diversi al fine di coglierne aspetti naturalistici, escursionistici e ambientali che pochi conoscono e che nessuno pubblicizza perché la loro fruizione non prevede rientri economici per la cosiddetta industria turistica.
Allora, partendo dai nomi dei direttori di gita, inizi a seguire la traccia e vai a guardare il programma per scoprire se ci sono le condizioni per le quali si possa determinare quell’eccezione alle tue regole di “alpinista scorbutico” e trovi la chiave là dove sta scritto “… il turismo lento, e quello a piedi lo è per definizione, … per cogliere i luoghi più nascosti, alla scoperta di angoli, di vedute, di luci e ombre e di gente del luogo …”.

Capita pure che ci sia anche un’eccezionalità nell’eccezione legata al cattivo tempo e allora ti trovi a preparare le valigie e lo zaino per andare verso Sud (sinonimo di sole e caldo) infilando dentro gli scarponcini, la giacca in goretex, quella in wind stopper e, in un eccesso di prudenza, pure i guanti e il berretto di lana, mentre gli occhiali da sole (peraltro sempre nella testa dello zaino assieme alla pila frontale) diventano soltanto una concessione alla speranza. Nella dotazione c’è pure l’ombrello perché le previsioni sono proprio pessime, pure se in linea con una primavera che non vuole farsi riconoscere nella sua veste abituale, anzi in certe giornate sembra volere indossare i panni dell’inverno. Tutto ciò premesso l’animo dell’alpinista scorbutico che parte per Capri rimane turbato e diviso tra la curiosità della scoperta di un luogo sconosciuto e i timori legati ad un meteo quasi proibitivo che rischia di compromettere la parte escursionistica, sola in grado di arricchire di significati graditi l’anima del “nostro” monotematico viaggiatore “fuori zona”.

Domenica 15 aprile: l’avvicinamento
La sveglia è alle ore cinque, la partenza avviene in pullman alle ore sei, puntualissimi come in tutte le gite del CAI Ferrara, l’autista si chiama Costantino ed è originario di Napoli, proprio il luogo in cui siamo diretti e nel quale arriviamo alle ore quattordici dopo otto ore di viaggio, con le soste rituali per i “piss stop” (i gitanti del CAI li chiamano così) e per mangiare qualcosa, magari un panino con opzione preferenziale per un classico “Capri”, così tanto per entrare in tema con la meta del nostro viaggio.
Il pullman arriva al porto e i direttori di gita vanno a ritirare i biglietti per l’aliscafo, intanto piove e il mare è mosso, ma gli aliscafi viaggiano a differenza del giorno prima in cui non sono usciti dal porto a causa del mare troppo agitato. Ci vuole quasi un’ora per arrivare a terra sull’isola dopo avere “ballato” sulle onde con diversi risultati: chi rilassato dicendo “che bello!”, (poi si viene a sapere che ha fatto il servizio militare in Marina), chi un po’ rigido e con un sorriso metallico stampato sul viso, chi steso sui sedili, chi ancora con la testa dentro un sacchetto di plastica a rigettare.
Sbarcati, ci vengono a prendere con due pullmini, uno porterà i bagagli e sull’altro ci stipiamo noi, in venticinque giusti giusti e dal porto saliamo all’albergo San Michele di Anacapri, dopo avere fatto “il pelo” a decine di altri pullmini che scendevano in senso contrario.
Alle sedici siamo nelle rispettive camere e… alle sedici e quarantacinque scatta il ritrovo per la prima escursione a piedi: scarponcini, tenuta da montagna, zaino in spalla.
Intanto si è alzato un po’ di vento e pare che voglia portare via le nuvole, così possiamo dare il primo sguardo verso Capri e gustare un arcobaleno che sembra promettere una tregua.
Arriviamo alla piazzetta di Anacapri e facciamo la conoscenza con il signor Tommaso che, oggi e nei prossimi giorni, sarà la nostra guida locale, in qualità di buon amico di Paolo, (uno dei due direttori di gita); ci accorgeremo escursione dopo escursione quanto questo cordiale, gentile ed esperto amico diventerà strategico per la riuscita dei nostri tre giorni di gita.

Ci conduce ad imboccare una stradina che esce dal piccolo centro di Anacapri e man mano ci porterà verso la costa dell’isola, cammineremo due ore per questo che si chiama sentiero della Migliera e ci porterà all’omonimo Belvedere che ci regalerà prima uno scorcio stupendo sul faro di Punta Carena, in direzione sud-ovest, e, poco sopra, verso la cima del Monte Solaro e gli inconfondibili anche se un po’ lontani Faraglioni.
Soddisfatti di questo primo approccio ritorniamo per la stessa strada dell’andata e ripassiamo nel medesimo punto dove due simpatici cani ci avevano guardato passare con curiosità e li rivediamo nella stessa posizione, uno ha addirittura le zampe incrociate, come fosse una persona alla finestra, incuriosito da questa fila di buffe persone tutte vestite di colori sgargianti e con lo zaino sulla schiena.
Rientriamo ad Anacapri percorrendo le caratteristiche viuzze strette, attraversiamo la bella piazza e possiamo fare rientro all'albergo per concludere in rilassatezza la prima giornata, quella del viaggio-avvicinamento.
Beh, la prima camminata di due ore e mezza è inaspettatamente ben riuscita, ora non rimane che sperare nel meteo dell'indomani che le previsioni dei giorni scorsi hanno indicato di temporali e precipitazioni insistenti. Tommaso ci ha già detto che non potremmo percorrere il sentiero dei Forti in conseguenza della pericolosità dovuta alle piogge dei giorni scorsi, ma che ci sono possibilità alternative ugualmente interessanti. Vedremo domattina.

Lunedì 16 aprile: du escursiòn is mèi che uàn (mattino)
All'appuntamento, in piazzetta a Capri, il signor Tommaso si presenta con l'ombrello, ma a chi glielo fa notare lui sorride bonario spiegando che non è per la pioggia ma per il fatto che un bastone a volte lo aiuterebbe nel cammino, però, siccome vuole dissimulare il fatto di avere una certa età, lui preferisce portare l'ombrello che aiuta uguale e non fa la "spia".

Facciamo la fila dietro di lui per le stradine che pian piano portano fuori dall'abitato e la prima, Sopramonte, ha già un nome che ispira suggestioni, poi si scende per via Matermania per arrivare all'Arco Naturale (noto anche con il nome di grotta sventrata) e qui le foto si sprecano, peccato che l'arco non ci stia tutto intero dentro la mia compattina digitale. Torniamo sui nostri passi e ci fermiamo ad un bar trattoria, si chiama "Le Grottelle", il cui proprietario (mi diranno dopo) è uno che arrampica e in occasione della festa di San Michele, a Cetrella, organizza percorsi con le corde per far divertire i bambini e pare che questi si entusiasmino, la qual cosa non mi stupisce.
Ritorniamo un po' indietro fino a imboccare via Pizzolungo che scende verso il mare e poi gira a mezza costa regalando scorci veramente inusuali ed è una specie di balcone sui Faraglioni, questa volta visti davvero da vicino.

Tutt'intorno incombono rocce, anche a fianco del sentiero, le tocco, sono appuntite, rugose, si tratta di un bel calcare, ogni tanto provo qualche passaggio, farei volentieri un po' di sana ginnastica, e mi rendo conto che quei pochi movimenti che sto facendo mi mettono addosso una piacevole allegria.
I Faraglioni invece non li concupisco, alpinisticamente parlando, perchè il mio rapporto con l'acqua è molto conflittuale e, pur avendo imparato a nuotare, non riuscirei mai ad arrampicare sopra il mare.

Il gruppo intanto procede e il sentiero continua regalando ad ogni svolta scorci affascinanti e sempre diversi; ora siamo su via Tragara che, in leggera salita, ci ricondurrà prima nel piazzale dell'ex Villa Vismara, poi verso la piazza di Capri con ai lati una fila ininterrotta di negozi di gran lusso, verso le vetrine dei quali, le signore del nostro gruppo lanciano occhiate ancora più concupiscenti delle mie sulle rocce attorno all'Arco Naturale.

Intanto si sente qualche tuono, il cielo si incupisce ed inizia a piovere: ci ha lasciato tre ore libere per poter camminare, ma ora ci spinge verso l'albergo che raggiungiamo con uno dei piccoli bus che fanno la spola, sempre "sparati", sulla stradina tortuosa e stretta che collega Capri ad Anacapri.

Lunedì 16 aprile: du escursiòn is mèi che uàn (pomeriggio)
L'appuntamento è fissato per le ore quindici e trenta, ognuno ci arriverà in ordine sparso e per conto proprio.
Sono tra i primi ad arrivare e il signor Tommaso è già lì, questa volta senza ombrello, ed è difficile capire se sia un buon segnale o meno, poi, affabile come sempre, spiega la "strategia" prevista per il pomeriggio, ovviamente nella sua parlata tipicamente napoletana (sempre ferme restando le distinzioni tra Napoli e Capri alle quali i residenti dell'isola tengono "assai"): "Mo' ascpettiamo cinque minuti che so' arrivati tutti, poi andiamo su e guardiamo che fà la nebbia sul Solaro. Se ci stanno bbuoni segnali prendiamo la sedia". 
Il Solaro è il monte più alto dell'isola di Capri con i suoi 589 metri, la "sedia" invece è la seggiovia monoposto che dal centro del paese di Anacapri arriva quasi alla cima della montagna; ricorda quella che saliva da Passo Rolle alla Baita Segantini, ma questa appare meno sgarrupata di quanto non fosse l'altra che, infatti, e stata smontata.
In quanto alla nebbia, dopo avere guardato il muovere delle foglie sugli alberi attorno alla piazzetta e il soffiare del vento dal mare verso la cima della montagna, concludo "se la nebbia non viene giù, andiamo su noi" e lui risponde con un emblematico "Eh!", come a dire "ci siamo capiti". 

Così andiamo alla "sedia" e non passiamo inosservati, colgo le voci di due locali e uno spiega all'altro "sono degli appassionati di montagna"; evidentemente la voce è circolata in paese e noi, tutti vestiti di colori sgargianti e con lo zaino sulla schiena, sicuramente ci distinguiamo dai gruppi di giapponesi che ogni tanto incrociamo.
Ce ne sono che stanno scendendo con la seggiovia e, ci dice il signor Tommaso che "se sono in cento a salire, ce ne saranno al massimo dieci o dodici che poi scendono a piedi lungo il sentiero".
Il vento soffia sulla cima del Solaro che ribatezziamo subito "ghiacciaro" mentre ci infiliamo le giacche a vento e ci affacciamo sul versante dirupato: alle Dolomiti siamo abituati a vedere ghiaioni al fondo dei pendii delle montagne, qui invece la vegetazione è abbondante e al fondo ci sono le scogliere e le onde del mare che vi si infrangono contro, tutt'altro spettacolo che ha un suo fascino, per noi decisamente inusuale.
Il vento continua a soffiare teso ed è la garanzia che il tempo terrà, così faremo il percorso verso la Casa MacKenzie e a seguire visiteremo l'ex eremo di Cetrella; questa è una parte di isola poco frequentata, un angolo di Capri così solitario che non ci si sarebbe mai aspettato di trovare.

I collaboratori di Tommaso ci hanno preceduto e aprono casa MacKenzie e, sulla porta prima di entrare, Tommaso ci distribuisce un depliant, spiegando, non senza una punta di orgoglio, che il loro gruppo "Gli amici di Cetrella" è nato con atto notarile nel 1993 con lo scopo di promuovere e collaborare alla diffusione del rispetto per l'ambiente naturale e la salvaguardia del territorio dell'Isola di Capri, con particolare cura alla Valletta di Cetrella.
Nel maggio del 1995 il gruppo ha ottenuto in comodato dal "Centro Caprense Ignazio Cerio" la diruta casetta che fu di proprietà dello scrittore Compton MacKenzie, vissuto a Capri con sua moglie per circa dieci anni, dal 1913.
Il piccolo immobile è stato restaurato col continuo lavoro manuale dei soci e di tanti volontari occasionali con l'intento di istituire un centro di studi su flora e fauna con annessa biblioteca, oltre alla realizzazione di una piccola mostra permanente di arti e mestieri. 
Molte delle foto contenute all'interno documentano lo stato di abbandono in cui si trovava la piccola casa e il grande e paziente lavoro di ristrutturazione eseguito con materiali lignei del luogo, il salvataggio dei preesistenti pavimenti e delle grate in ferro delle finestre, del cancello d'ingresso in ferro lavorato, il recupero della cisterna, della terrazza, dello scalone esterno, di parte del giardino.
Parlando con queste persone semplici se ne avverte la passione che nutrono per questo luogo e per la loro isola, un sentimento che ci si sente di condividere con convinta riconoscenza.
Dopo la visita alla piccola casa-museo il cammino prosegue e si arriva all'eremo di Santa Maria a Cetrella, altro angolo di suggestione inaspettata: questo si sviluppa su due piani, in quello terra è situata la chiesa con il refettorio, la cucina con alcuni piccoli vani che venivano adibiti a cantine.
Al primo piano, lungo un corridoio che conduce ad un terrazzo con pergolato di glicine, si sono quattro piccole stanze che erano le celle dei frati. Da una di queste si accede ad un secondo terrazzo e proprio lì ci conducono gli amici, ad ammirare uno spettacolo su Capri e i Faraglioni che ha dell'incredibile e mentre rimaniamo estasiati ci preparano pure il caffè, mentre il signor Tommaso non si lascia scappare l'occasione per una battuta: "Attenti eh, che chisto caffè è fatto con l'acqua piovana...", ma nessuno se ne lamenta e la moka lavora a pieno regime.

E' incredibile l'effetto che fa lasciare quel panorama su Capri e sul mare e ritrovarsi subito tra alberi, fiori e roccette come se ci si trovasse in un ambiente che ricorda i sentieri tra gli ulivi del lago di Garda e altri delle Prealpi bellunesi se non fosse per i pini marittimi e il mare all'orizzonte.
Camminiamo senza incontrare nessuno e ciò aumenta la sensazione di contatto con questa natura, mentre il sentiero ci riporta sul versante che guarda Anacapri verso la quale scendiamo, camminando soddisfatti per questa bella escursione ricca di panorami e anche di suggestioni, arrivando mentre il cielo si va livido di nuvole scure che fanno risaltare le chiome fiorite di qualche albero che sembra riflettercisi dentro.

Si intuisce che pioverà durante la notte e probabilmente anche domani, noi facciamo gli scongiuri contenti che, rispetto alle previsioni che c'erano, oggi siamo riusciti a fare il pieno con due escursioni di grande suggestione.

Martedì 17 aprile: maronna mia... comme chiove
Già durante la notte si sentiva rumoreggiare il tuono e quando ci alziamo la mattina non lascia speranze: la pioggia la fa da padrona, sicché g
li organizzatori lasciano la mattina di libertà; ci si troverà all'una per decidere il programma del pomeriggio, sperando in un miglioramento che sembra molto improbabile.
Quasi tutti prendono i piccoli bus e scendono a Capri, andranno per negozi a comprare ricordi o regalucci per qualcuno, per me sarà mattina di lettura, che vuol dire andare in montagna "Sulla traccia di Nives": me l'ha prestato un'amica e sto tentando di leggerlo (cinque pagine in dieci giorni), ho l'occasione per andare avanti e, guarda caso, mi imbatto in una riflessione che si attaglia al momento.
"Si passano giorni chiusi e fermi mentre il cielo si abbassa e viene a prendersi la montagna. Sto infilata nella tenda a riparare qualcosa, a leggere, perchè un alpinista quassù ha tempo di svuotare una biblioteca. Non mi oppongo allo scorrere dell'inerzia. Alcuni di noi la patiscono, invece a me piace far andare il tempo, le ore pigre di una carovana ferma. Si aspetta che torni il pulito, il cielo se ne salga il più in alto possibile e ci lasci il permesso. Questo tempo che irrita gli uomini a me fa piacere, anche se dura giorni filati ...".
Seguo il pensiero di Nives Meroi e mi affido alle ore pigre, non mi oppongo all'inerzia, una volta tanto leggo con calma, alterno con il
passeggio nei corridoi dell'albergo, poi torno con la mente tra i monti raccontati nel libro.  
Qualche minuto dopo l'una ecco la riunione plenaria, ma la situazione non è mutata e non offre sbocchi.
Si approfitta per definire il viaggio di rientro per l'indomani, altri dettagli organizzativi e arriva nel frattempo una telefonata del signor Tommaso che, udite, udite, dice che potrebbe esserci una schiarita nel pomeriggio e ci dà appuntamento alle 15 e 30 sulla piazzetta di Anacapri.
"Lo avrà detto per farci coraggio." - pensano quasi tutti, guardando fuori dai vetri la pioggia che cade.
Verso le tre schiarisce, poi smette di piovere, infine il cielo acquista qualche chiazza d'azzurro e alle 15 e 30 tutti sono puntuali all'appuntamento, si parte per il Faro di Punta Carena.
Godiamo così di un'ultima insperata escursione percorrendo anche un breve tratto di quel sentiero dei Forti che avrebbe dovuto essere il pezzo forte della nostra breve vacanza, ma siamo già contenti così, non siamo stati fortunatissimi, ma la nostra guida ci ha fatto sfruttare al massimo quel buon tempo che si è presentato.

Mercoledì 18 aprile: 20 minuti di bus, 1 ora di nave, 8 ore di pullman e... subito a casa

Tutto è calcolato con precisione: alle nove il ritrovo davanti all'albergo, poi si scende al porto con l'autobus, ci si imbarca sulla nave alle dieci e venti, a mezzogiorno si è sul nostro pullman e dopo otto ore... eccoci a casa.
Abbiamo risalito metà Italia e sembrava che il cattivo tempo ci fosse rimasto attaccato sopra, ma non ce ne siamo curati più di tanto perchè tutto quel che potevamo fare l'avevamo fatto.
Per me una contentezza in più, lasciare l'isola, ma non fraintendetemi: Capri è bellissima, ma mi sono reso conto che, dopo quattro giorni di permanenza, il mare tutt'intorno cominciavo a "sentirlo" e ho realizzato che, come non riuscirei ad arrampicare sulle rocce dei Faraglioni, così non riuscirei a vivere circondato dall'acqua.
Potrei farlo in quota su di una montagna, ma non su di un'isola in mezzo al mare.

Così attraversando l'Appennino ho guardato le nuvole nere avvolgere il paesaggio come una coperta e ho pensato ad un sipario che si chiudeva sopra questa bella vacanza, per me inconsueta, inedita e coinvolgente.
Quando ci siamo fermati per l'ultima sosta ho fotografato l'arcobaleno che si era formato e ho pensato che uno ci aveva salutato all'arrivo e ora questo ci salutava al ritorno. Un saluto allegro, come i colori dell'iride.

Gabriele Villa
Un alpinista all’isola di Capri
Capri, 15-18 aprile 2012