Un'escursione al Monte Baone, con vista Lago di Garda

ovvero

dal sacro al profano e mò vi spiego l'arcano

testo e foto di Gabriele Villa

 

 

Una premessa/riflessione personale
Trentacinque anni fa, più o meno in questo stesso periodo stagionale, risalivo il Boale del Baffelan alle Piccole Dolomiti con un gruppetto di scalatori ferraresi guidati dall'allora vice presidente del CAI Ferrara, Alessandro Gorini, ed avente come responsabile tecnico un "signore" che si avviava per la settantina e si chiamava Gino Soldà, famosa guida alpina e partecipante alla spedizione capitanata da Ardito Desio che portò Lacedelli e Compagnoni in vetta al K2, nel 1954.

Arrampicavo da nemmeno un anno, ma andavo da capocordata ed ero in pieno "furore" arrampicatorio: erano oramai alcuni mesi che passavo tutti i fine settimana sulle pareti delle Numerate a Rocca Pendice, dove non c'era più un angolo che non fosse stato da me salito con compagni ferraresi e amici padovani e rodigini.

Quella sarebbe stata la mia prima esperienza da aiuto istruttore (anche se era un modo di dire, perchè non si istruiva gran chè, più che altro si arrampicava e si imparava facendo le cose), l'anno successivo (1977) il Consiglio Direttivo mi avrebbe proposto di partecipare a un corso di formazione per Istruttore Sezionale (assieme a Paolo Gorini, figlio di Alessandro) che insieme frequentammo (si teneva alla Pietra di Bismantova) diventando i primi Istruttori della sezione di Ferrara ad avere un "titolo" riconosciuto dal CAI centrale.    

Fu l'inizio di una "avventura" personale che ha caratterizzato la mia "vita alpinistica", anche condizionandola, perchè l'attività da istruttore di alpinismo è sempre stata al centro (e al primo posto) del mio rapporto con la montagna, una storia che ancora prosegue visto che continuo ad insegnare alpinismo presso la Scuola "Bruno Dodi" di Piacenza, dopo averlo fatto per trent'anni presso la sezione di Ferrara prima e la Scuola "Angela Montanari" in seguito.

Devo aggiungere che, al di fuori dei corsi, ho sempre amato accompagnare amici e conoscenti in montagna, sia a titolo personale che anche in maniera "istituzionale", in qualità di direttore di gita, sia estive che invernali.

Credo che questo faccia parte della mia natura e del resto il mio avvicinamento alla montagna è stato sulla base di tante escursioni con amici che mi hanno accompagnato e dai quali ho imparato anche il senso profondo insito nella frequentazione delle "terre alte" e su quello si sono "innestate" le conoscenze tecniche che in seguito ho appreso con i corsi di formazione e di aggiornamento e/o verifica per istruttore di alpinismo.


Ovviamente tra le due cose, l'insegnamento istituzionale e l'accompagnamento personale, (o se preferite, il sacro e il profano, del titolo di questo scritto) c'è una notevole differenza e ne ho avuto modo di verificarne gli aspetti proprio nel corso di quest'ultimo mese nel quale per quattro settimane ho alternato due uscite istituzionali (con il corso di alpinismo della Scuola di Piacenza) ad altre due personali con amici del CAI di Ferrara. La mia sensazione/osservazione apparirà di certo scontata e abbastanza ovvia, ma non è che io abbia qui delle "tesi" da esporre o dimostrare, soltanto il desiderio di affermare che ciò che conta è sentirsi umanamente arricchiti da ciò che si fa perchè, alla fine, quello che vale di più è la priorità del rapporto umano che si instaura tra persone che condividono una passione, sia nel rapporto istituzionale istruttore-allievi, sia nelle uscite in amicizia nelle quali, in tutta sincerità e senza voler fare torto a nessuno, mi diverto molto di più.    

 


    

Il Monte Baone, obiettivo della nostra escursione

Dopo questa riflessione personale, andiamo alla cronaca della nostra escursione al Monte Baone.

Se si cercano notizie su internet si può leggere: [Già arrivando dalla strada che da Nago scende verso Arco, le Placche di Baone, che sovrastano l'abitato di Chiarano, sono ben visibili.]  

Visibili e molto caratteristiche, mentre meno visibile è il Monte Baone (480 metri di altezza) perchè le sue pendici sono ricoperte da abbondante vegetazione che ne confonde la sagoma mescolandosi alla vegetazione che sta intorno.

Quelle stesse pendici nascondono un piccolo gioiellino che così viene descritto sul sito infotrentino:

[La via 92° Congresso SAT è un bellissimo esempio di “sentiero alpinistico”. Un percorso d’arrampicata dal sapore escursionistico che alterna tratti camminabili a sequenze su roccia per brevi spigoli e paretine di II e III, lungo un itinerario suggestivo che dà ampio spazio allo spirito d’avventura dell’escursionista che può “inventarsi” e personalizzare ogni singolo passaggio della via. Anche se tecnicamente facile, è bene ricordare che si tratta sempre di una via alpinistica. Questo implica che la salita è consigliata solo ad escursionisti esperti muniti dell’equipaggiamento necessario (EEA). Nei passaggi più difficili ed esposti è sempre possibile assicurarsi utilizzando arbusti, clessidre naturali o i chiodi presenti.

Volendo, però, il "sentiero alpinistico" può rimanere nell'ambito escursionistico, basta seguire la traccia di passaggio che si tiene appena più verso monte, si potrà così evitare di usare le corde e il materiale tecnico per l'assicurazione ed affidarsi al piede sicuro e a un po' di prudente attenzione divertendosi in un'arrampicata molto facile che arriva al I grado o poco, ma senza mai essere esposta e quindi evitando stress e patemi anche ai meno esperti.

Recita ancora il sito infotrentino: [La quota relativamente bassa e il clima, tipico del Garda, rendono questo itinerario percorribile tutto l’anno. Tuttavia il periodo migliore è sicuramente l’autunno e la primavera quando la temperatura è piacevole ed i colori della natura esaltano la bellezza dei luoghi.

Ecco dunque trovata la meta per la nostra escursione di domenica 17 aprile.

Rimaneva solo da fissare l'appuntamento, al solito posto e alla solita ora, e attendere gli effetti del passa parola.

 

Il ritrovo: al solito posto, alla solita ora
Arrivano alla spicciolata, da diverse direzioni e subito si intrecciano chiacchiere.

Nonostante l'ora assai mattiniera c'è già allegria e voglia di scherzare e salta fuori una parrucca.

"E' quella che metto al mio cane quando lo porto fuori" - dice Daniele e subito vuole vedere come sta a Giangi.

"Guarda come saresti bello con i capelli, staresti proprio bene."

 

 

Intanto continua ad arrivare gente e il vociare aumenta, fortuna che siamo discosti dalle case.

Alla fine ne arrivano ventidue e serviranno sei auto per imbarcarli tutti assieme agli zaini.

Si parte in fila ed è già un'avventura tra chi si ferma a fare metano e perde contatto, chi alla ripartenza dall'area di servizio prima di Verona entra in collisione con l'auto di un autista assorto nei suoi pensieri, chi deve parcheggiare giù nella piazza di Chiarano perchè l'auto (una Multipla) non passa nella strettoia tra le case del paese, mentre le altre passano appena, dopo che gli autisti hanno... preso per bene la mira.

Finalmente sono tutti al parcheggio sotto le placche di Baone e ci si comincia a preparare. 

 

Si parte: Comitiva A e Comitiva B?

Un po' come nelle gite sociali, si formano due comitive, la prima andrà ad arrampicare (saranno in otto e formeranno tre cordate), la seconda andrà ad "escursionare" e rimangono in quattordici.

La "divisione" avviene spontaneamente e non è nemmeno necessario fare a pari e dispari.

Stavolta scelgo il gruppo escursionistico e opto per una giornata di completo relax che ne ho pure bisogno perchè da casa mi sono portato appresso qualche pensiero che spero di scrollarmi di dosso nel corso dell'escursione.

Ci avviamo tra gli ulivi fino ad arrivare all'avancorpo del Monte Baone, qui Monica se ne torna indietro da sola (ci verrà incontro più tardi verso la cima della montagna) e noi ci incamminiamo dove il cartello indica l'inizio del sentiero.

Il primo tratto è moderatamente ripido con qualche passaggio di arrampicata, poi verso la sommità dell'avancorpo la parete gradatamente spiana per placche inclinate solcate da evidenti segni di scorrimento dell'acqua e da buchi naturali nella roccia, dovuti a corrosione e consunzione da agenti atmosferici.

La giornata è addirittura migliore di quanto avessero annunciato le previsioni del tempo e spira una brezzolina che rende l'aria molto gradevole; a ripensare al caldo fastidioso delle settimane scorse bisogna dire che siamo stati proprio fortunati e ci sono tutte le condizioni per una divertente giornata di svago.

Le mie raccomandazioni iniziali alla prudenza e alla concentrazione hanno prodotto un buon effetto e arriviamo abbastanza velocemente alla sommità dell'avancorpo del Monte Baone.

Mi diverto a fotografare cercando di cogliere aspetti particolari dell'arrampicata di ognuno.

 


C'è chi subito sembra mettersi in posa (o era un breve momento di pausa?), chi sembra camminare sull'asse di equilibrio, chi pare afferrare appigli immaginari giusto per sentirsi un po' più sicuro e chi sembra chiedersi se siamo sicuri e convinti di ciò che stiamo facendo.

Sulla sommità dell'avancorpo il gruppo si compatta e pare che l'avere superato quel primo salto abbia un po' sciolto timori e paure di chi non aveva ben chiaro cosa potesse essere un sentiero alpinistico.

Una piccola cresta che collega l'avancorpo al monte presenta una discontinuità che viene superata con attenzione e poi ci si inoltra nella vegetazione verso le rocce che si intravedono in sottofondo, tra il verde degli alberi.

 

 

Mentre mi attardo a fotografare, chi è passato davanti inizia a salire le roccette ed è un segno che sono già dimenticati i timori iniziali. E' Lorena la più intraprendente e mentre guida il gruppo ne spiega pure le ragioni ad alta voce con la sua tipica parlata con cadenza romagnola:

"A me non piace andare sulla neve con la piccozza e i ramponi, a me piace proprio questa roba qua".

Ora le roccette sono più ripide e s'impone l'uso delle mani quindi, come da manuale, entriamo nel I grado della scala delle difficoltà alpinistiche, la roccia però è rugosa e offre appigli abbondanti e aderenza per le suole delle pedule.

La vegetazione si fa meno fitta, sono in prevalenza arbusti e lo sguardo può spaziare verso Arco e il lago di Garda.

 

 

Segue un tratto di bosco e ci si ferma all'ombra a bere un goccio d'acqua e mangiare chi una cioccolata e chi un biscotto, poi si riprende ed è una piacevole camminata per placche, niente di diverso da un sentiero solo che qui al posto della terra e dell'erba ci sono le placche rugose.

Ogni tanto s'incontra un saltino di rocce e l'assenza di esposizione consente di provare quei piccoli passaggi di arrampicata senza particolari patemi d'animo, che è sempre il miglior sistema per mettere su un po' di sicurezza.

 

  

 

Dopo il saltino c'è subito un rilassamento e riprende il fitto parlare, tanto che sembra di essere in gita sociale.

Che sia per il fatto che c'è un'alta presenza femminile nel nostro gruppo?

Ma noooo... cosa andate a pensare?... sono solo i soliti luoghi comuni.

Poi bisogna ripartire che alla cima ne manca ancora un bel pezzo, ma per fortuna c'è un venticello piacevole e così la temperatura risulta assai gradevole.

 

 

Sul sentiero, in un tratto di bosco, ci imbattiamo nella carcassa di una capra morta di parto e sarà questo l'unico momento poco piacevole e un po' triste della nostra giornata.

Subito dobbiamo concentrarci su un altro saltino di roccia un po' più impegnativo di quello precedente, (siamo ai limiti del II grado alpinistico) ma oramai sono tutti... lanciati e lo superano in scioltezza, anzi pare proprio che ci stiano prendendo gusto.

Anche Lorena conferma questa sensazione che traspare evidente: "A me... mi piace proprio questa roba qua!"

Procediamo spediti e arriviamo sotto a una bella paretina che offrirà l'ultimo ostacolo prima di accedere alla vetta;

la superiamo in obliquo verso destra, aggirando l'ultimo passo per una cengia da capre, abbondantemente decorata dai caratteristici escrementi di questi animali.

 

 

Oramai rimane una distesa di sassi di tutte le forme e dimensioni sui quali ogni tanto si scorge un ometto indicatore del percorso e, dove il sentiero cambia decisamente direzione, qualche raro bollo bianco e rosso della segnaletica del CAI. Oramai la cima è nelle vicinanze e già si vede la caratteristica croce di vetta.

Abbiamo impiegato poco più di due ore e, visto che è appena passata la mezza, ci concediamo la "pausa pranzo", mentre firmiamo il quaderno di vetta secondo una vecchia abitudine alpinistica, sempre più dimenticata.

La giornata è ancora lunga e dopo la discesa resterà tempo per provare qualcosa d'altro.

 

 

C'inoltriamo nella vegetazione che ricopre la vetta del Monte Baone, ci lasciamo guidare dal sentiero che gira nel fitto del bosco, percorre un ampio raggio, per prendere infine la direzione sud e così capiamo che ritorneremo al punto di partenza; infatti, incontriamo Monica che proprio da quella direzione è salita incontro a noi, anche se per un percorso più agevole di quello da dove scenderemo noi.

Noi scendiamo tutti insieme dritti per placche lisce sulle quali è stato steso un cavetto di acciaio per aiutare ad evitare scivolamenti, non certo in giornate come quella di oggi nelle quali la roccia è perfettamente asciutta, ma di certo dopo giornate di pioggia o anche durante l'inverno, visto che qui nella zona il clima mite offre la possibilità di fare escursioni e arrampicate tutto il periodo dell'anno.

Finito il tratto di placche lisce il sentiero procede per un po' con andamento orizzontale lungo i terrazzamenti con gli ulivi e qualche casa rurale prima di riprendere a scendere l'ultimo salto ripido nel quale il sentiero è stato scavato direttamente nella roccia e in alcuni punti agevolato da un sottile cavetto d'acciaio.

 

 

 

Rimettiamo piede a "terra" con la visibile soddisfazione di Monica che, poco abituata a questo tipo di percorso, ha speso energie nervose, ma ora se ne può gustare a pieno la soddisfazione.

Torniamo alle auto passando a fianco di una festa campestre, tra persone che ci guardano incuriosite dalle nostre imbragature, dai caschi variopinti e dagli zaini abbondanti che abbiamo sulla schiena e mentre ci allontaniamo, la musica sparata ad alto volume non ci abbandonerà più, un po' portata dalla leggera brezza e un po' rimbalzando sulle placche del settore Ondulina, dove parecchi climbers, chi in canottiera e chi a torso nudo, quasi tutti in pantaloncini corti, sale e scende in continuazione.

La fontanella che si trova nei pressi del parcheggio ci ristora con la sua acqua fresca e ci fa riprendere slancio, così dopo dieci minuti, recuperate tre corde in auto, siamo alle placche del settore Attimo Fuggente.   

Un po' di pazienza che un paio di cordate termini la discesa a corde doppie e poi ci "impossessiamo" di due linee di salita e così possiamo cominciare anche noi a giocare ai climbers, unica differenza: tutti hanno le pedule ai piedi.

 

 

Prime salite tutti titubanti e poi, pian piano, i movimenti si sciolgono e inizia il divertimento.

C'è un bel clima di partecipazione, di allegria e di incoraggiamento reciproco.
Passano due ore in men che non si dica e arriva il momento di tornare alle auto dove nel frattempo, quasi in contemporanea, arrivano gli altri otto che sono andati ad arrampicare.

Facce contente, volti allegri, soddisfazione per la bella giornata e le esperienze fatte...

Faccio un giro intorno a cogliere sorrisi e penso che deve essere stata una bella giornata anche per loro.

Monica con la soddisfazione di avere fatto un altro sgambetto alle sue paure, Francesca tornata ad arrampicare sulla stessa via a distanza di un anno, Paola e Stefania contente del loro primo sentiero alpinistico.

 

 

 

Ride perfino "l'ineffabile" Maurino; lui sempre serio e compassato, abituato a combattere quotidianamente con i computer e le macchine informatiche che, si sa, fanno poca allegria, apre un accenno di sorriso.

Mi avvicino a Mirta mentre sistema la roba nel bagagliaio dell'auto e le chiedo se si è divertita ad arrampicare.

Si gira e sfodera un sorriso "esagerato" e risponde in un sussurro: "Tantissimo".

Penso che se anche non avesse detto nulla si sarebbe capito benissimo ugualmente, bastava guardarla.

Pure Rita si è divertita, lei che avrebbe di certo gradito andare ad arrampicare ed invece è rimasta a dare una mano e consigli durante l'escursione ed a fare mezzi barcaioli durante l'arrampicata sulle placche di Attimo Fuggente. 
Si può essere felici anche solamente per essersi sentiti utili e vicini ai compagni di escursione.

 


 


Gabriele Villa

Un'escursione al Monte Baone, con vista Lago di Garda

Domenica 17 aprile 2011

 



Precisazione dell'autore
L'articolo di giornale "Abili a salire in roccia" è tratto da Il Resto del Carlino (anno 1976)
La prima foto in alto è relativa al corso di alpinismo di Piacenza (anno 2011) ed è di Maurizio Malchiodi