Gnocc on the rock

Cronaca semiseria di un’arrampicata ai Lastoni di Dro

 

testo di Gabriele Villa

 

foto di Gabriele Villa e Giuseppina Cenacchi

 

 

 

Una premessa


Ricordo di avere letto di una volta in cui Mauro Corona, in un dibattito sull’alpinismo, disse a un interlocutore con lo stile provocatorio che gli è proprio e spesso abituale:
Vuoi provare le sensazioni di un’arrampicata invernale senza rischiare troppo?
E’ semplice.
Basta che te và inte l’òrto, na sera de gennaio, in canottiera
…”.
A volte le semplificazioni rendono bene l’idea di ciò che si vuol spiegare e pure fanno comprendere che l’avventura può essere a portata di mano più di quanto non si creda e “dietro casa”, senza andare a cercarla in paesi lontani o su cime dai nomi famosi e altisonanti.
A volte la si trova anche senza averla cercata, arriva così, per una serie di casualità che, se tutto va bene, alla fine si possono considerare pure fortunate.
Questa è una doverosa premessa per introdurre la cronaca semiseria di una giornata di arrampicata un po’ inconsueta, casuale negli accadimenti, occasionale per tempi e modi in cui si è sviluppata, così come nei personaggi che ne sono stati protagonisti.

L’antefatto


Capita una cena tra amici che hanno condiviso esperienze in montagna e vogliono ritrovarsi a fare due chiacchiere, per riallacciare i rapporti dopo un’estate e un inizio autunno in cui ciascuno è andato un po’ per conto suo.
Si parla un po’ di tutto, si scherza, ci si racconta esperienze fatte, desideri.
- Io mi sono iscritta al corso di arrampicata sportiva con mia sorella…
- Noi siamo andati spesso ad arrampicare…
- Sono andato con il camper alla Rocca di San Leo. Che posto. C’è una parete a picco….
- Lo sappiamo, noi l’abbiamo salita. C’è una via di Cesare Maestri in artificiale…
- Io aspetto la neve, voglio andare a ciaspolare…
- Noi siamo andati a fare legna a Malga Sorgazza…

Poi viene fuori il denominatore comune e allora ecco la domanda.
- Si va una sera insieme alla palestra d’arrampicata?
L’accordo è presto fatto per il venerdì successivo al Monodito.

- E il prossimo fine settimana?
- Le previsioni danno peggioramento, ma forse sabato si riesce a fare qualcosa se ci si accontenta di stare in bassa quota e se venerdì non piove, come sembra.
- Io un’idea ce l’avrei, però servono le scarpette d’arrampicata.

- Io le ho a prestito per fare il corso di arrampicata sportiva…
- Io ho solo gli scarponi…
- Forse riesco a procurarti quelle che ha mia sorella …
- Ma forse verrei anch’io se mi libero da un impegno…
- Anch’io ho solo gli scarponi, ma vengo lo stesso, magari vi guardo arrampicare…
- Noi andiamo in Umbria a prendere l’olio…
- Anche noi, andiamo con loro. Non si può fare domenica?
- Domenica arriva la perturbazione…
- Bene ci sentiamo domani per gli ultimi accordi, vediamo chi c’è e poi si decide. Se ci sono sufficienti capi cordata si arrampica, altrimenti si fa un’escursione.

Anche il caso contribuisce alla formazione di una cordata

 

Ci sono gli impegni da cui non ci si riesce a liberare, i ripensamenti notturni, la stanchezza della settimana che si accumula … ed ecco che alle 6e30 del mattino si è formato un quartetto forse un po’ strampalato, ma motivato e… via verso il lago di Garda e la valle del Sarca.
Superata Arco e andando verso il bar Placche Zebrate per la colazione, guardo i Lastoni di Dro che sono in ombra, ma sembrano asciutti almeno nella parte bassa e siccome la giornata è bella si può sperare che un po’ si asciughino anche nel corso della giornata.
Le Placche Zebrate, al contrario, sono quasi perfettamente asciutte, ma sono troppo ripide per il nostro quartetto, anche perché le scarpette per Cristina non ci sono e quindi la facile via “La prima lezione per i piedi” ai Lastoni di Dro rimane l’opzione confermata.
L’auto di Giusy ci porta tra i vigneti dove i contadini stanno potando le viti, ci prepariamo velocemente, una breve passeggiata di avvicinamento ed eccoci alla base della parete che ci leghiamo le corde sotto lo scivolo che appare umido, ma assai rugoso. Siamo l'unica cordata presente sull'intera placconata.

Comincia l’arrampicata sulla via “Prima lezione per i piedi”


Parto sul primo tiro che so essere di secondo grado, e arrivo velocemente in sosta, poi sale Cristina, subito dopo Rita con dietro di sé la corda con la quale recupererà Giusy.
 


La cordata “da quattro” non è contemplata nei manuali di alpinismo, ma funziona se oltre ad almeno un capocordata c’è uno dei due secondi di cordata che se la cavi col mezzo barcaiolo per recuperare il quarto e allo stesso tempo sappia controllare il secondo mentre fa sicurezza al primo che può così ripartire subito, guadagnando tempo.
Anche il secondo tiro fila liscio, ma termina sotto una placca levigata e bagnata, forse “troppo”.
Recupero i secondi (anzi, le seconde), poi mi dedico alla risoluzione del problema, perché oltre alla placca bagnata ci sono le scarpette sporche di terra perché abbiamo attraversato un piccolo tratto con vegetazione e zolle di terra e l’aderenza è pari a zero.
Se da un lato ho scordato di scaricare da internet la relazione della via, dall’altro mi sono ricordato di mettere nello zaino (e poi attaccata all’imbragatura) una brusca di acciaio che ora diventerà strategica per spazzolare via il muschio superficiale che pregiudica l’aderenza.
Pulisco con le mani le suole delle scarpette e cerco di farne asciugare la gomma, poi scelgo la rigola più profonda formata dallo scorrimento dell’acqua e comincio a bruscare con pazienza, posiziono la punta del piede, ne provo l’aderenza e salgo con circospezione, riprendo a bruscare per appoggiare l’altro piede e così di seguito, passo dopo passo, fidando nell’aderenza ottenuta e fino ad arrivare ad abbrancare il chiodo cinque metri sopra, poi segue una breve traversata e mi trovo alla sosta.
 


Cristina con i suoi scarponi fa miracoli e, a parte una spanciata quando le scivolano tutti e due i piedi contemporaneamente, guadagna la sosta senza battere ciglio, mentre Rita mangia subito la foglia e, posizionando i piedi nei punti da me “bruscati” con la spazzola, sale tranquilla, a parte un “fa n’ culo” che le scappa ad alta voce a metà placca.
Aspetto di vedere salire Giusy che viene su tranquilla, addirittura sorridendo che è un piacere vederla: che sia l’effetto del corso di arrampicata sportiva che sta frequentando alla palestra del Monodito?

Comunque questa breve placca bagnata e scivolosa era proprio quello che ci voleva per "tastare" la cordata nel suo insieme: la determinazione del capocordata, i limiti di tenuta degli scarponi di Cristina, ma anche la sua tranquilla voglia di mettercela tutta, la consapevole grinta di Rita, la spensierata voglia di Giuseppina di "vedere un po' cosa succede".
Così, ecco fatti i primi due tiri, ora ne restano solo altri sei, e la prova della placca è stata superata e c'è più consapevolezza nella cordata, anche se… un’altra placca così e bisognerà pensare di tornare indietro.

Due tiri di corda ed è subito … avventura


Proseguo uscendo dagli alberi e trovo una bella rigola rugosa, ma non vedo nessun chiodo.
Li noto, invece, un po’ più a sinistra e con una breve traversata li raggiungo e quindi salgo veloce fino a che vedo cinque metri sulla mia destra il chiodo della nostra via.
Ci metto un po’ di tempo a capire, ma alla fine realizzo che sono finito sulla rigola di “Dimensione terzo” che ho percorso la settimana precedente, quindi, o scendo disarrampicando, o traverso fino a ritornare sulla “nostra” via.
Propendo per la seconda soluzione per cui mi faccio dare qualche metro di corda e poi vado in pendolo fino a raggiungere la rigola rugosa a destra e salgo per questa fino a raggiungere il chiodo sul quale faccio sosta e qui realizzo che mi sono messo in un cul de sàc.
Cristina è troppo inesperta di arrampicata per pretendere che faccia manovre a pendolo e in più con quei suoi scarponi ha troppo poca aderenza sui cui poter contare.

Mentre penso a come risolvere il problema, decido di far salire Rita a recuperare tutti i rinvii e poter così liberare la corda gialla su cui è legata Cristina (la quale si trova trenta metri giusti sotto la mia verticale) e quando è arrivata all’ultimo chiodo le faccio bloccare la corda sulla quale, assicurato con un cordino e un moschettone, traverso in orizzontale a braccia fino ad arrivare da lei.

Siccome voglio che nessuno si sleghi dalle corde penso all'unica manovra possibile, con il sacrificio di un solo cordino. 
Ne prendiamo uno annodandolo al chiodo dentro al quale faccio passare la corda rossa di Rita, andandola a rinviare nella sua imbragatura in modo da formare una carrucola sulla quale potrà calarsi di qualche metro per poter fare il pendolo, dopo di che ritorno a braccia all’altra sosta.
Ora lei toglie l’ultimo rinvio dal chiodo liberando le due corde, si lega con un'asola anche alla corda gialla in modo che, appena si calerà sulla rossa con la carrucola, io potrò recuperarla fino alla sosta con la gialla.
Prima mi ha guardato armeggiare e ora fa quello che le suggerisco in silenzio e senza manifestare alcun timore: quando si dice la fiducia nel capocordata!
Alla fine arriva alla sosta, liberiamo la corda rossa dal rinvio alla sua imbragatura per recuperarla sfilandola dal cordino che rimane là, annodato all’ultimo chiodo raggiunto della via “Dimensione terzo”.
Cristina e Giusy, dal basso hanno osservato tutto in silenzio.

Ora siamo ritornati sulla “retta” via, ma consideriamo che, forse, ne abbiamo già viste abbastanza per oggi e così propongo di scendere: meglio fare tre corde doppie adesso, con calma, piuttosto che correre il rischio di trovare altre placche scivolose e infide o tratti con chiodatura distante in zone bagnate.
Mentre calo Rita con la corda, cala anche la mia tensione nervosa e subito avverto una piacevole brezza e, guardandomi intorno più rilassato, mi accorgo del sole che illumina i vigneti sotto la parete.
Guardo in alto e noto la roccia decisamente più asciutta, penso che quando il sole girerà arrivando a toccare la parete farà il resto, e allora sento cosa ne pensano le mie compagne di arrampicata, dell’idea di proseguire.
Saliamo” rispondono decise e, passato un minuto... la cordata riparte verso l’alto.

L’arrampicata riprende, mentre arriva il sole


Il terzo tiro è presto fatto e siamo tornati al livello di difficoltà del secondo grado iniziale, anche se la parete è meno asciutta di quel che potesse sembrare e bisogna stare attenti, ma il sole si avvicina e fra un po’ arriverà a lambire la parete.
Proseguo tranquillo al punto che mi giro pure a fare una foto verso la sosta.

Questa foto la chiamerò ‘gnocc on the rock’ ” – dico ridendo alle mie tre compagne di arrampicata.

 

La risata mi si congela subito sulle labbra nell’affrontare una traversata bagnata che mi farà guadagnare la sosta successiva.
Arriva il sole, finalmente, anche se capisco che scalda troppo poco per asciugare la parete come si dovrebbe e ricordo bene di avere visto stamattina la parte alta è più bagnata di quella sotto.
Beh, intanto siamo a metà parete, il morale è ancora alto e Cristina continua a cavarsela egregiamente, nonostante gli scarponi ai piedi.
Il sole mette allegria, la roccia un po’ si asciuga e io riparto veloce: i tiri sono tutti più o meno tra i quarantacinque e i cinquanta metri di lunghezza e le soste in punti abbastanza comodi.
Restano tre tiri e il prossimo si vede che è facile, ma il primo chiodo brilla venticinque metri più sopra e la roccia, per quanto rugosa, è proprio bagnata.
Hai un bel cercare un chiodo nascosto in qualche fessura superficiale: niente da fare.
Quel chiodo circa a metà lunghezza sarà l’unico presente sui quarantacinque metri del tiro.
Certo – avrà pensato il primo salitore – qui è facile e un chiodo basta e se è piovuto e la roccia è bagnata, statevene a casa”.

Invece si dà il caso che noi siamo lì e il tiro sopra si vede è molto peggio di quello appena fatto, la roccia appare più liscia e se fin qui era secondo grado vuol dire che adesso sono arrivati i due tratti di terzo grado superiore.
Recupero il materiale e lascio la sosta, pensando un “tanti auguri, Gabriele!”.

Per poter uscire rimane da superare un ultimo tratto bagnato


I primi metri sono asciutti, ma la dirittura dei chiodi (a dire il vero non troppo ravvicinati) mi porta nel pieno della placca bagnata, sicché mi tengo appena un po’ a destra sfruttando qualche fessuretta e rugosità superficiali e pure qualche ciuffo d’erba abbarbicato sulla parete.


 

Mi chiedo, senza riuscire a darmi risposta: “Se questo è valutato un terzo grado superiore di aderenza, quale diventa la difficoltà se manca l’aderenza delle scarpette a causa del bagnato?”.
Fino a che, allungandomi e sbilanciandomi un po’ verso sinistra, riesco a raggiungere i chiodi per potermi assicurare resto abbastanza tranquillo, finché addocchiato un chiodo sull'ultimo tratto decisamente "troppo" bagnato, abbandono la linea di salita per andare decisamente verso destra e, tenendomi e appoggiandomi non solo alle piccole rugosità della roccia ma anche alle zolle di erba, raggiungo la vegetazione e, tirandomi sui rami dei cespugli, arrivo alla sosta sotto l’ultimo salto di trenta metri che appare più bonario e pure “quasi” asciutto.
Recupero le corde con fatica a causa dell’attrito dovuto alle mie deviazioni, ma oramai non m’interessa più di tanto perché sento che la via è fatta.
Cristina percorre i primi metri e poi mi chiede se può attaccarsi alla corda rossa per aiutarsi, le rispondo di no perché ciò le farebbe perdere la posizione e quindi l’aderenza dei piedi.
Fa ancora un passo e poi comunica “io mi attacco lo stesso”.
Ne prendo atto e comincio a tirare la gialla mentre lei oramai non arrampica più, ma si issa sulla corda rossa quasi di peso. Come non capirla?
Con gli scarponi ai piedi e dopo quasi sei ore di parete, lei che è alla terza arrampicata e abbiamo già salito oltre 300 metri di parete…
Rita deve rimanere ferma perché io non riesco a recuperare la sua corda rossa con Cristina attaccata, e questa sbuffando, ma con grande grinta e determinazione arriva alla sosta.
Ora recuperiamo Rita che, dopo i primi metri, sale brontolando contro il bagnato, ma rimane concentrata e attenta, mentre Giusy, paziente e silenziosa, guarda dalla sosta ciò che succede sulla parete sopra di lei.
Finalmente anche Rita arriva in sosta e allora diamo il via a Giusy e la cordata poco dopo si ricompone, infine, parto per l’ultimo salto, una paretina e sopra un gradino di roccia di un metro, ma lì ci sono le maniglie formate dall’erosione dell’acqua e… sembra di volare.
Oramai è l’imbrunire e sono le quattro e trentacinque quando siamo tutti e quattro alla sosta.
Registriamo il nostro passaggio sul libretto di via, rimettiamo gli scarponcini, eccetto Cristina che… li ha già dalla mattina, avvolgiamo le corde e iniziamo a scendere per il ripido sentiero che ci riporterà alla base, in mezzo ai vigneti.

Discesa nel bosco mentre cala il buio della sera novembrina


Lentamente arriva anche il buio, ma con calma scendiamo fino al sentiero della “Maestra” e poco dopo eccoci al segnavia, oramai sul piano tra i vigneti.
Scatto un paio di foto “a urècia” visto che è buio pesto e il display della digitale resta completamente nero, ma riesco ugualmente ad immortalare il trio delle mie compagne di cordata che, illuminate dal flash, appaiono decisamente allegre e soddisfatte.
Una camminata tra i filari ci riporta all’auto.
Sono quasi le sei di sera e, mentre mettiamo la roba in auto, ecco uscire la luna.
Una specie di saluto a questa giornata intensamente vissuta.
Sei ore e mezza di arrampicata e una di discesa al buio: “mica male per una che avrebbe desiderato di andare a farsi una ciaspolata”, vero Cristina?

Parliamo un po’ in auto, ma ben presto arriva su di me una stanchezza infinita.
L’ultima cosa che ricordo è la rotatoria di Arco, distante sei chilometri da Dro, punto da cui siamo partiti, poi il nulla.
Ogni tanto mi ridesto e sento il piacevole parlare di Giusy, Rita e Cristina.
Parlano di tutto, ma anche di progetti futuri e di montagna.
Ah – dice Giusy – adesso le scarpette me le compro”.
Si fa decisamente meglio – conferma Rita - soprattutto sulle placche”.
Io prima di quelle – conclude Cristina – devo comprarmi la piccozza”.
Percepisco soddisfazione, sorrido e mi riaddormento contento dell’intensa giornata così piacevolmente vissuta.


Gabriele Villa
Gnocc on the rock

Sabato 29 novembre 2009