Bibì & Bibò(sch) e il Trittico delle Delizie
(Incursionismo nell'escursionismo 2. E non solo)

 

testo di Angelo Bolognesi e Michele Pifferi

 

foto di Leonardo Caselli, Stefano Fogli, Emanuela Zocchi, Stefano Badini

 

 

Abbandonato il quadro insieme penoso e stravagante dell’uscita sui colli bolognesi, la masnada entusiasta e inneggiante alla forca come le comparse di Frankenstein Junior, si è riproposta in altre variopinte occasioni, evidenziando di essere affetta, nella sua globalità, dalla famosa Sindrome di Stoccolma: simpatia per i carnefici.
Tra le uscite, vorremmo in particolare ricordarne tre.
Un vero e proprio Trittico delle Delizie. Ma andiamo avanti.
Si sa che la natura umana rivela soprattutto in tre occasioni la sua bassezza strutturale: le riunioni di condominio, le spartizioni di eredità e le gite CAI.
Sono, qui da noi, gli anni della decadenza, come è normale che avvenga quando una civiltà sta perdendo neuroni e dignità. Inesorabilmente, guardando il nugolo di brava gente, ragionieri tatuati e donzelle liftate, ordinatamente disposti ad affrontare le perigliose uscite, siamo portati a ritenere che la nostra cultura sia ormai sull’orlo dell’estinzione e siamo tentati di simpatizzare per l’estinzione.
Ma abbandoniamo queste note marginali e tuffiamoci nella cronaca nuda e cruda.

Maggio.

L’escursione con ferrata al Sass Brusai è iniziata in una mattina che avrebbe spinto anche gli spiriti più indolenti e oziosi alla costruzione dell’arca.
L’idea di affrontare la ferrata pareva rientrata dopo opportune riflessioni, essendo generosa nelle intenzioni ma un tantino indelicata nella pratica.
Dal successivo sviluppo degli eventi, gli allievi hanno imparato che, al Corso di Escursionismo, si devono prendere sul serio, volenti o nolenti, cose che all’inizio parevano poderose minchiate.
Infatti, la storia ed il destino ci hanno riservato oltre ad una lunga e avventurosa marcia nella selva tra sabbie mobili, anaconda e gringos mercenari, anche una prevedibile sintesi del Diluvio Universale, nelle sue fasi più salienti.
I gruppi, guidati da una rappresentanza di sommozzatori partenopei, si accumulavano, affondavano e riemergevano dalle pozze d’acqua ribollente come i calamari nel fritto di paranza.
Di tanto in tanto, nel diluvio, la parola d’ordine: “Aldamàr” (Tradotto: Aldo a mare N.d.A.) rendeva possibile la localizzazione dei naviganti.


I versi del poeta Dante Alighieri, socio del HAI di Firenze, ci aiutavano a capire la situazione…

" Noi sem venuti al luogo ov’io t’ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c’hanno perduto lo ben dello intelletto. "
 
(Inferno C.III v.16-18 ).


Comunque, nel giro di pochi giorni, l’escursione ha avuto degna conclusione per quasi tutti, compresi anche quelli che, aggrappati alle rocce, continuavano a cercare i mitili.
L’aspetto del coacervo di fradicia disperazione, all’arrivo al rifugio, era lo stesso del cadavere di un solo enorme Mamutones morto annegato. Un’unica, immensa salma alla quale nessuno aveva ancora provveduto a dare una degna sepoltura. Sintetizzando, uno schifo.





Il tepore del rifugio e l’Elisir di Maiale gentilmente offerto dal Trio di Malalbergo: Occ, Mos e Mel (non sappiamo se nell’ordine giusto) hanno riportato un soffio di vita nell’obitorio prima che l’aria da adunata dopolavoristica si infiltrasse tra gli zombies stendendo la sua melassa di malinconia sconfinata tra le caviglie gonfie e le camicie sbottonate. Mancava solo il capufficio che racconta le barzellette.

Il ritorno in pullman è avvenuto nel solito, domestico modo.
Nel dormiveglia la voce di Ciaspolo ripeteva le solite cose che ha già detto un paio di centinaia di volte, tante quante Nilla Pizzi ha cantato “Edera” e la RAI ha replicato “Mary Poppins” sotto Natale.

In termini tecnici si chiama “ repertorio “.
Così possiamo stare certi che insieme alle repliche di “ Mary Poppins “ e agli evergreen delle nostre vecchie glorie, sentiremo fino alla fine dei nostri giorni anche Ciaspolo che ci notifica, ci avverte, ci sollecita, ci informa ecc…
Noi avremo la dentiera e un plaid sulle ginocchia.
Lui riposerà impagliato come Akenaton nel Mausoleo del CAI e un disco ripeterà il suo ritornello.
Udirlo ci farà capire una cosa: che il nostro apparecchio acustico funziona.
E un sorriso si disegnerà sul nostro viso.

Giugno.
All’allegra esercitazione subacquea ha fatto seguito la normale fase di essiccazione, quindi l’uscita al Catinaccio con la ferrata Roda di Vaèl - Masarè.
Qui, fonti attendibili, oltre ad assicurarci sulla piena riuscita della bella impresa, ci hanno altresì informato circa alcuni particolari della spedizione che riteniamo essere degni di nota.
Purtroppo.
Pare che due allievi, entrambi dotati di affascinanti personalità di frontiera, si siano inconsapevolmente scambiati gli scarponi riuscendo peraltro, in qualche modo, a portare a temine l’escursione.

Per un attimo abbiamo pensato che uno avesse due scarponi sinistri e l’altro due destri.
Qui è possibile tutto.

In realtà, pare sia stato solo un problema di numero.

Un 44 al posto di un 41. Un’inezia.

Ora, per un socio CAI, gli scarponi hanno la stessa valenza che ebbe il busto per le ragazze della Belle Epoque, o il bomber per i paninari. Annotato doverosamente questo aspetto, dobbiamo aggiungere che era dai Vespri Siciliani che non si verificava un caso analogo.
Per far capire come un avvenimento del genere abbia trovato gli accompagnatori del tutto impreparati a prendere in considerazione una simile evenienza, facciamo presente che nella Hit Parade dei problemi che assillano gli istruttori del corso, lo scambio di scarponi si trova intorno al 200° posto, subito dopo l’aumento del prezzo dei semi di Sesamo.
Questo preambolo ai fatti che sono poi accaduti è indispensabile per poter collocare i medesimi nella giusta luce.

Poca e sinistra.
Ma andiamo al momento clou.

Pare che ad un certo punto della ferrata, l’allievo portatore sano di scarponi piccoli, si sia bloccato dimostrando, malgrado le ripetute e genuine sollecitazioni di chi lo seguiva, di ignorare il confine che separa l’autodifesa da una crisi di nervi.
Non riuscendo a trovare una spiegazione plausibile al problema neanche attraverso l’interrogatorio di alcune mucche, peraltro omertose, ad uno degli accompagnatori si è frantumato l’aplomb di stampo anglosassone che normalmente lo contraddistingue.
La valvola della sua psiche a pressione ha cominciato a fischiare e, sbottando come un boiler ha evidenziato la sua reazione inviperita, registrata anche dai sismografi dell’emisfero australe (come se a Wanda Osiris avessero toccato il boa di struzzo).
Prevedibilmente ma non per questo meno efficacemente, pare si sia rivolto all’allievo in crisi di identità, esprimendosi come l’equipaggio di un cargo, trasudando toni da “ultimi giorni a Pompei”, al limite del colpo apoplettico.

Il resto della comitiva, per non sbilanciarsi, lo incitava a ganasce spalancate al ritmo scandito di “facci sognare”.
Sbloccato tramite irripetibili minacce che avrebbero fatto arrossire un Kmer rosso, il bradipo pare abbia concluso l’escursione senza protestare, esibendosi pure in un vasto repertorio di canzoni di valle e di crinale, molto gradito.
A margine del fatto, vorremmo fare due considerazioni.
Per quello che riguarda i due allievi, siamo certi che la loro permanenza nel CAI possa dare un vivace contributo dialettico. Soprattutto come oggetti di studio.
Per quello che riguarda invece l’accompagnatore, va sottolineato per onor di cronaca che, intanto, si è espresso in italiano corretto; che non ha schiaffeggiato l’allievo né ha sputato bile e nemmeno ha sparato dei colpi in aria.

Inoltre, tutta la filippica non è stata pronunciata in canottiera nonostante il clima estivo lo consentisse.

Aggiungiamo anche che la fine del suo misurato intervento non è stata seguita dal gesto dell’ombrello e consideriamo questa come una significativa svolta moderata nella parabola del comportamento degli accompagnatori CAI.
Riteniamo giusto inoltre, al fine di una corretta collocazione storica dell’intera vicenda, rendere noto che ci si è resi conto dello scambio di scarponi solo a settembre inoltrato, quando l’allievo è riuscito a toglierli.

Ciò che spesso sembra irresistibilmente ridicolo, spesso è solo l’involucro del tragico.

Però mette allegria e anche se è un’allegria momentanea, meglio che niente.

A completare il quadro dell’uscita al Catinaccio ci sono giunte voci di una ciucca collettiva al Rifugio Roda di Vaèl, dove pare che la valutazione del pane venisse calcolata in carati; e di un avvenimento straordinario, da oggi visibile su You Tube, sul cellulare, sul videocitofono e anche nei fondi di caffè: Ciaspolo ha coronato un sogno che covava fin da quando era un’ecografia; farsi immortalare di fianco alla statua di Re Laurino, suo illustre antenato.

 



Luglio.

A completare il Trittico delle Delizie, allievi e non, hanno pensato bene di cimentarsi nella gita sociale che prevedeva la ferrata Michieli - Strobel, situata sul monte dal quale nasce l’unico ramo dolomitico del Po: il Po Magagnòn.
Bengi, organizzatore della gita e il cui leader di riferimento è Polifemo, ci ha sollecitati a seguirlo sul sentiero vagamente sadico che porta all’attacco della ferrata, garantendoci con i suoi modi da steppa sulla brevità e trascurabilità di detto percorso.

A conferma di ciò, annoteremo che durante il “breve” percorso, la pendenza, la fatica e il caldo torrido hanno strizzato la combriccola facendone uscire malignità a fiotti in uno degli affreschi più strazianti dell’intero sistema solare.
I primi malumori tra la plebaglia si sono resi evidenti attraverso mezze frasi, pronunciate a bassa voce, con l’accorata gravità di chi sta parlando da una segreta, tra il clangore delle catene e lo squittio di ratti famelici.

Più tardi, sarebbe stato necessario un vero talento gesuitico per tradurre in gergo accettabile le vivaci espressioni di chi, inneggiando a Bengi, mostrava pugni e digrignava i denti schiumando rabbia inferocito.

A questo proposito dobbiamo ammettere che i Caini o Caisti o Caimani o come si dice, hanno con le loro eccellenti guide, un rapporto affettuoso, a volte diffidente, spesso anche cinicamente ilare.

Appena un sottile margine separa “ venerabile maestro… che bel panorama! ” da “ lurido bastardo…dove ci stai portando? ”.
Per dovere di cronaca, dobbiamo mettere agli atti che la seconda versione, in quei frangenti, aumentava vertiginosamente le proprie quotazioni, anche perché la maggior parte dei muscoli cardiaci impegnati nello sforzo stava rischiando la fibrillazione, ed è noto che il cuore è come una prostituta: quando smette di battere è finita.
Comunque, irranciditi dal caldo e con il cuore ridotto a un diapason, abbiamo dovuto attendere che il turbinio dei nostri neuroni trovasse un assetto logico decente prima di inoltrarci sul percorso attrezzato.

Qui, tutto si è svolto in una cordialità ecumenica quasi struggente, tale era il sollievo per aver concluso il tratto di avvicinamento.
Una nota particolare va riservata al Trio di Malalbergo: Mel, Occ e Mos (non sappiamo se nell’ordine più ortodosso), i quali, farciti di soppressata e con una madia sulle spalle, con grande sprezzo del pericolo, cercavano solo appoggi unti per pulirli col pane.

 

Mos

Occ

Mel


A margine, vogliamo sottolineare che tutta l’escursione si è svolta interamente sotto la costante minaccia di nuvoloni gonfi e neri.

Aggiungiamo che neanche una goccia di pioggia si è abbattuta sulle nostre teste durante il giro. Ha gentilmente atteso che fossimo tutti impegnati nei cambi di abbigliamento a ridosso del pullman per farci gradita visita.
Ma torniamo a noi.

Raggiunta Punta Fiames, ci è stata concessa una sosta breve come una messimpiega, durante la quale Guay col Fum è entrato nel Guinnes dei primati fumando un pacchetto di Gauloises col filtro di Micro-pile, studiate per fumare in alta quota.
Egli è un fenomeno naturale e noi lo amiamo com’è.
Chiedergli di non fumare è come chiedere a un Gibbone di uscire dal tunnel delle banane.
Cogliamo l’occasione per inviare un caro e affettuoso saluto a lui e tutta la nostra solidarietà alla moglie Asma e ai figli Nico e Tina.
Proseguiamo.

Sotto la minaccia della pioggia apparentemente incombente, ci siamo precipitati verso il canalone di discesa.

Diremo che la pendenza consentiva anche il rientro in deltaplano o, per i più indolenti, in jumping.

A rotta di collo ci siamo buttati di sotto preoccupati esclusivamente di evitare l’acquazzone.

Ora, il divieto di fare rotolare i sassi e/o macigni equivale al divieto di suonare la tromba al cinema o di praticare buchi col trapano nel compagno di banco. 
Non si fa.
Malgrado queste norme vengano impresse a fuoco sulle mani di ogni iscritto CAI, la spensierata comitiva è scesa tirando giù di tutto e cambiando significativamente la morfologia del bel sito.
Comunque, con i sassi siamo scesi anche noi, fino ad incontrare accidentalmente, nell’unico bivio sul nostro cammino, l’altra comitiva, la famigerata comitiva “B” che, sotto i colpi di frusta della Bea, per non farsi la Strobel è passata da Busto Arsizio.
Stabilito, non senza spargimenti di sangue, chi tra i due gruppi avesse il diritto di precedenza, il rientro della rumorosa banda CAI è continuato a ranghi compatti, ridendo e scherzando, rompendo la balle anche alle marmotte e organizzandosi per romperle, nel caso di una gita extra-terrestre, anche ai Venusiani.
Raggiunta fortunosamente la località Fiames da cui casualmente eravamo partiti e dove accidentalmente ci aspettava la nostra cara, fetida astronave, lo sbracamento non ha più avuto argini.

Malgrado la doccia gratuita offerta dagli Dei delle Nubi, alcuni hanno preso di mira la fontanella del pittoresco albergo Fiames per tentarne un’altra, offrendo agli astanti, spogliarelli da crisi emetiche (sottolineiamo la splendida, fervida fantasia che ha partorito la nomenclatura dei luoghi: Punta Fiames, Località Fiames, Albergo Fiames. Olè!).

Non sazi, dopo la miserabile doccia, la staccionata esterna del locale veniva pittorescamente addobbata con ogni tipo di indumento fradicio di sudore, nel migliore dei casi.

L’impressione era quella di un campo della sezione dolomitica di Al Qaeda.
Tamponati approssimativamente gli afrori coloniali emanati dai poveri corpi martoriati da tanto sforzo, non ci crederete sono iniziate le libagioni, introducendo questa pratica del tutto inusuale nell’ambito delle gite CAI.
Nell’impresa, oltre all’Esimio Salumiere Bondesano, cui sono andate lodi sperticate e meritate, si è ancora una volta distinto il Trio di Malalbergo: Mos, Occ e Mel (ci pare nell’ordine giusto) che hanno rifornito l’intero schifoso insieme di destini allo sbando, di prelibatezze custodite segretamente per tutto il tragitto sotto le ascelle.
Molto più tardi un Bob-Cat ha caricato i passeggeri ebbri e comatosi sul torpedone che, lento nella sera, si dileguava silenzioso lasciando sul posto una situazione stile Nagasaki.
Riflettendo se non fosse meglio, per il resto dei nostri giorni, dedicarci alla cura delle ortensie che, con questo caldo Dio sa se ne hanno bisogno, abbandonavamo malinconicamente gli erti monti e le selve solitarie.
Quando motociclette scoreggione e automobili che fanno tum-tum ai semafori con l’autoradio a bomba ci hanno risvegliato, abbiamo capito che eravamo tornati a casa.

Nella civiltà.

Detto questo, cosa aggiungere ancora per chiudere in maniera originale?

Mo che è stata proprio una bella gita! Vamo là!


Bibì*& Bibò

*in collegamento via satellite da Nuova York, come Ruggero Orlando.
Ferrara, ottobre 2009