Al RoccaRaduno: uno per tutti, tutti per uno

 

testo e foto di Gabriele Villa

 

 

 

Chi, cosa, come, perché.

Il primo fine settimana di settembre (sabato 5 e domenica 6) ho partecipato al mio quarto RoccaRaduno, un appuntamento annuale promosso dalla sezione del CAI di Piacenza e sostenuto da Lucio Calderone e dagli istruttori della Scuola di Alpinismo “Bruno Dodi”.
Un incontro promosso, ma “non organizzato”.

Che cosa significa?
E’ più semplice di quanto non sembri e non è una contraddizione, come potrebbe apparire.


C’è qualcuno (Lucio Calderone) che fissa la data e si incarica di mandare la lettera di informazione e invito, ci sono altri (gli istruttori della Scuola sezionale) che si prestano a “dare una mano” come capicordata per condurre i partecipanti nelle arrampicate alla Rocca del Prete, zona dell’Appennino nella quale si svolge l’incontro.
E i partecipanti chi sono?

Allievi dei passati corsi di alpinismo e roccia che gradiscono passare un fine settimana in compagnia ed hanno voglia di arrampicare, o soci della sezione del CAI o anche amici con la voglia di passare un paio di giorni all’aria aperta.
Sì, perché il soggiorno è previsto in tenda al “prato della Rocca”, una radura erbosa in cui si può agevolmente piantare le tende ed accendere un fuoco attorno al quale passare la sera a mangiare, chiacchierare e cantare in allegria.
Per arrivarci s’impiegano tre quarti d’ora da dove si lascia l’automobile, e ci si deve portare appresso tutto ciò che serve, acqua compresa, perché le sorgenti sono lungo la strada provinciale del Passo del Tomarlo, dove è fissato il ritrovo dei partecipanti.
Parcheggiata l’auto ci si carica tutto sulle spalle e s’imbocca il sentiero del “cinghialone” che sale nel bosco di faggi e conduce alla radura verde sotto le pareti della Rocca del Prete.
Lì ognuno pianta la sua tenda, si mangia un boccone in velocità e poi ci si imbraga, si formano le cordate, si scelgono insieme le vie da percorrere e si va all’attacco.

 



Piccola storia di una bella iniziativa.

Ne ho voluto sapere di più chiedendo al mio amico Lucio Calderone, memoria storica della sezione piacentina del Cai.

L’idea del Rocca Raduno nasce parecchi ani fa, negli anni ’90, ed era quella di fare in modo che sulle pareti della Rocca del Prete per 24 ore consecutive ci fosse sempre qualcuno ad arrampicare. Ci eravamo organizzati in modo che le cordate che si erano prenotate per l’iniziativa fossero già al campo e la cordata che scendeva passava una campanella all’altra che partiva”.

Un’idea che spiega l’attaccamento verso quella parete di ofiolite, la Rocca del Prete, vera parete “di casa” per i piacentini, ma su cui approdano anche alpinisti delle provincie limitrofe, sia emiliane, che toscane e liguri.

Naturalmente si era pensato che di notte sarebbero state fatte le vie facili – continua a raccontare Lucio - e invece fu fatta per due volte la “diretta”, che è una delle più impegnative.
Naturalmente si pensò e si capì che se qualcuno si fosse fatto male arrampicando durante la notte ne sarebbe venuto fuori un bel casino ed allora si passò all’idea del raduno organizzato
”.


Come funzionava la cosa?

L’organizzazione la curavamo io ed Eugenio Pinotti. Pensa che portavamo su tutto a spalla, anche utilizzando una barella, oltre allo zaino che portavamo sulla schiena. Arrivavi al prato stravolto e si facevano due viaggi in coppia ed eravamo quattro in tutto a fare quel lavoro”.

Oggi però non c’è qualcuno che organizza il raduno, la gente si muove in proprio, anche se poi, una volta su si scopre che ognuno ha portato “qualcosa” in più da mettere in comune, chi una torta, chi un salame, chi i ciccioli, altri la pancetta e naturalmente il vino (in abbondanza).

Dopo le primissime edizioni – continua a raccontare Lucio - ci furono due anni di cattivo tempo ed Eugenio ha abbandonato perché non ne ha avuto più voglia, così ho continuato io, ma con l’idea di renderlo libero senza alcuna organizzazione e funziona come tu hai potuto vedere”.

 

Quello che si nota però è lo spirito che aleggia nei partecipanti, sembra che ci sia un’atmosfera particolare, nonostante di anno in anno cambino i partecipanti.

E’ vero – conferma Lucio sorridendo - Oggi la gente viene, si accampa, porta da mangiare e va ad arrampicare, poi si sta in compagnia attorno al fuoco e il giorno dopo si scala ancora. C’è però in molti quel patrimonio di ricordi che viene anche tramandato a voce. Devi pensare che i primi anni stampavamo pure le magliette in occasione dei raduni”.

Emblematico, a questo proposito, il gesto di Malachia, uno dei più giovani partecipanti presenti quest’anno, fresco allievo del corso di roccia della sezione piacentina. Alla sera, quando tutti erano a parlottare attorno al fuoco, eccolo mostrare la maglietta di un Rocca Raduno di alcuni anni fa.

Questa me l’ha data mio padre” - spiegava ai presenti, visibilmente inorgoglito, mentre Lucio sorrideva e la luce baluginante delle fiamme ne rivelava l’intima soddisfazione.

 



La cronaca per immagini e sensazioni.

 

Sabato 5 settembre 2009.

 

Il ritrovo è fissato a Piacenza per le otto.

 

Ovvio che chi deve arrivare da Ferrara avrà puntato la sveglia alle cinque e un quarto e si sarà messo in auto un po' prima delle sei.

 

A Piacenza si trasborda tutto sull'auto degli amici e, puntuali, alle dieci e trenta, eccoci al Passo del Tomarlo.

 

Giornata strepitosa, facce sorridenti, atmosfera rilassata e, da buoni alpinisti, scegliamo la sosta in un posto "sicuro": proprio sotto al cartello di "caduta sassi".

 

Ma ci siamo fermati poco, giusto il tempo di attendere qualche ritardatario e poi andare tutti insieme la parcheggio ed iniziare i preparativi per salire alla Rocca.

 

Ci sono anche quelli che staranno solo la giornata e, non avendo da portare la tenda, si rendono disponibili a caricarsi un po' di peso degli altri.

 

Che bello! Le mie due corde salgono al prato della Rocca e non sono sulla mia schiena...

 


 

Qualcuno è già arrivato al prato ed ha piazzato la tenda, ma rimane ancora posto a volontà per sistemarsi.

 

Si mangia un boccone, ma senza nemmeno sedersi e subito si sente il tintinnare dei rinvii rapidi, dei moschettoni e di tutte le altre attrezzature che, nonostante le vie siano tutte protette a spit, è buona norma di prudenza portarsi appresso.

 

Si formano le cordate, qualcuna anche casualmente lì al momento, si scelgono le vie e... pian piano la radura si svuota di presenze.

 

Io non devo pensare molto alla scelta della via perchè so già che andrò allo spigolo Nord che è la più facile della parete, ma anche la più aerea.

 

Siamo due cordate e tutti e quattro soffriremo il vento inatteso e imprevisto che, teso e freddo, ci farà compagnia durante tutta la salita (e si sa che sugli spigoli non c'è riparo...).

 

I primi due tiri della via sono di IV grado, poi le difficoltà scendono sul III grado e, verso l'alto c'è qualche tratto con erba, ma il percorso è lineare, sempre esposto e panoramico, oltre che divertente. 

 

Molto bello, al secondo tiro di corda, un passaggio in breve traversata.

 

Mentre il secondo, nell'ombra, "studia" il passaggio, il primo si sporge per fotografare e la sua sagoma si staglia, scura, sulla parete sottostante.

 


 

C'è anche l'istruttore che non rinuncia all'appuntamento annuale, pur avendo impegni familiari.

Eccolo allora portarsi appresso il "bagaglio a mano": un "carico" veramente delizioso.

Poi, fatta l'arrampicata, "bagaglio in spalla" e papà Pietro può tornare a casa contento con la piccola Emma.

 

 


 

C'è anche Daniela una delle due istruttrici della Scuola di alpinismo "Bruno Dodi" che mi dice:

"Hai fotografato quel bel sorbo che c'è sopra la radura?"

Sarei tentato di fotografarlo immediatamente se, nella mia ignoranza, non sapessi di che cosa si tratta.

E' Rita a spiegarmi che si tratta di una pianta carica di incredibili bacche rosse e la noto subito, così mi avvicino e la ritraggo che si staglia sul bianco della parete della Rocca del Prete.

I rami alti si stagliano invece contro l'azzurro del cielo ed è veramente un tripudio di colori.

 

 

Siccome non è bello essere troppo ignoranti, una volta arrivato a casa, ho pure consultato l'enciclopedia.

 

Sorbo (Sorbus). Genere di piante arboree e arbustive delle rosacee, d'origine asiatica, coltivate per i frutti e per ornamento. Tra le specie il sorbo bianco, o farinaccio, il sorbo selvatico o ciavardello, il sorbo domestico, che produce le sorbe, e il sorbo degli uccellatori (sorbus aucuparia).

 

Appartiene proprio a quest'ultima specie la pianta che troneggia in mezzo alla radura della Rocca.

 


 

Si avvicina la sera ed i primi che sono rientrati dalle scalate sono andati a prendere legna secca nel bosco.

Così la pila è cresciuta a dismisura (forse basterà anche per il RoccaRaduno del prossimo anno).

Il fuoco viene acceso prima ancora che faccia buio e si chiacchiera piacevolmente in attesa dell'arrivo degli altri, anche se qualcuno scenderà con il buio e rientrerà al campo con le pile frontali.

 

 

Infine, l'ultima luce del sole tinge la Rocca di un colore indefinibile ed è allora che si sente la voce trasognata di Lucio:

"Guardate che meraviglia! Questa è l'enrosadira dell'Appennino".

 


 

E' buio oramai, ma tutto è ancora da fare, perchè la notte è lunga al RoccaRaduno.

C'è da apparecchiare con mezzi e attrezzature di fortuna, mangiare e bere a volte in equilibrio precario, stappare bottiglie e vigilare affinché il bicchiere di vino non venga rovesciato, suonare la chitarra e cantare rubando il tempo a Lucio che da buon ex Alpino quando comincia a cantare canzoni di montagna... chi lo ferma più?

Poi c'è il giro in notturna della Rocca e provate ad indovinare chi è che lo guida...

Il primo anno è toccato anche a me, ma alla fine ero rimasto soddisfatto: vedere le luci del porto di Genova dalla cima della Rocca del Prete era stata veramente una bella e inedita emozione.

Metà del gruppo segue Lucio e dopo una mezz'ora vediamo vediamo la fila delle lucine delle pile frontali brillare lassù in alto sul profilo scuro della Rocca del Prete; un'altra mezz'ora e saranno di rientro tutti soddisfatti per l'inusuale esperienza vissuta.

 

 

Ancora nessuno però pare abbia voglia di andare a letto, c'è chi continua a stappare bottiglie di di vino, chi getta legna sul fuoco in continuazione, chi si fuma una sigaretta, chi si lancia in accese discussioni sulle esperienze fatte al corso di alpinismo e sui significati dell'andare in montagna.

Bisognerà che arrivi e passi l'una per cominciare a vedere il gruppo assottigliarsi e alla fine il silenzio, seppur lentamente, scende definitivamente sul campo. 

 


 

Domenica 6 settembre 2009.

Quando esco dalla tenda alle sette e mezza, vado al falò e il fuoco è già acceso, ma il gruppetto dei presenti è assai sparuto. La mattina è un po' ventosa e anche freddina e la parete su cui scaleremo è esposta a nord.

Cerco con gli occhi se qualcuno abbia scaldato un po' di the e, rassegnato, alla fine me ne torno nel sacco a pelo.

Gli accordi erano che le attività alpinistiche non sarebbero iniziate prima delle dieci e quindi mi rimane il tempo per un altro sonnellino prima di "consegnarmi" nelle mani di Lucio.

 

Oggi saliremo una via aperta nel 2003 e di recente resa fruibile dopo i lavori di disgaggio, ripulitura e chiodatura.

Così era stata presentata (con allegati schizzo e relazione tecnica) in una mail unita all'invito al RoccaRaduno:

 

[ Sulla parete della Rocca del Prete sono state tracciate ed attrezzate varie vie di arrampicata, ma poche sono quelle di difficoltà media che si prestano ad essere salite dalle cordate che vogliono incominciare ad arrampicare in autonomia come ad esempio quelle composte dagli allievi usciti dai nostri corsi di alpinismo.
Dopo aver esplorato attentamente la parete alla ricerca di un percorso che potesse avere quelle caratteristiche, il 7 agosto 2003 abbiamo aperto una nuova via seguendo un percorso che senza presentare grandi difficoltà ci ha portati sulla sommità della Rocca. Dopo diverse giornate di duro lavoro e con l’aiuto di vari amici (S. Ravoni, P.L. Prazzoli, E. Aspetti, L. Montanini, A. Anselmi, C. Faimali, G. Maggi, O. Politi, M. Malchiodi) è stata completata la pulizia e l’attrezzatura della via che ora è disponibile per gli appassionati dell’arrampicata in Rocca.
La via è stata dedicata al vigile del fuoco Giovanni Cordani, caro amico deceduto prematuramente per malattia.
]


Dopo avere sperimentato l'anno precedente il significato di "via didattica" ripetendo con Lucio la via dei Puffi in tecnica artificiale, quest'anno avrò modo di comprendere bene il significato di "difficoltà media" e soprattutto di quel bonario "senza presentare grandi difficoltà", visto che la via comprende un tratto di quinto grado.

 

Quando arriviamo all'attacco ci sono già due cordate impegnate sul primo tiro ed ecco allora Lucio sistemarsi in posizione strategica ad osservare i movimenti di chi arrampica e dispensare consigli sul come affrontare il passaggio della prima fessura.

 

Ovviamente lui conosce la via a memoria, non solo per averla aperta, ma anche per avere passato 18 giornate di lavoro a pulirla, disgaggiarla dai sassi pericolanti, chiodarla con trapano e spit. 

 

Poi tocca a noi e io lascio ben volentieri a Lucio il comando della cordata anche perchè, detto molto sinceramente, a me l'ofiolite della Rocca del Prete fa lo stesso effetto della kriptonite su Nembo Kid: a lui fa perdere le forze e i super poteri, a me fa perdere un grado secco delle mie capacità di arrampicata.
Man mano che saliamo, tiro dopo tiro, sono sempre più contento della mia prudente (e saggia) decisione.
 

Alla fine posso dire che la via Giovanni Cordani è una "signora via di media difficoltà", con un impegno pressoché continuo di quarto grado e tratti di quarto superiore, che richiede buona tecnica di opposizione in camino e in diedro, oltre ad una buona dose d'intuito in un paio di passaggi che (come c'è scritto nella relazione) sono "da capire".

In quanto al tratto di quinto grado, beh, ve lo raccomando... con uno spit nascosto alla vista che (se non lo sai che c'è), a prima occhiata, ti fa riflettere sull'opportunità di proseguire la scalata. 

Da apprezzare anche la linea di salita, molto logica nel seguire i punti più arrampicabili della parete.
 


 

Il sole caldo di fine estate ci accoglie sul prato della cima.

Ci si scambiano le impressioni sui vari passaggi della via, si riavvolgono le corde e ci si appresta a scendere al campo.

Una bella passeggiata nel bosco appenninico conduce all'imbocco del canale Martincano e ogni volta che si passa di lì non si può fare a meno di ricordare il corso di alpinismo del 2007, quando lo si salì con gli allievi sotto ad una tormenta di neve e mezzo metro del bianco strato già depositato a terra.

Adesso invece ci sono le capre a brucare i ciuffi d'erba abbarbicati sulle rocce, saltando agilmente su per il pendio roccioso che a noi darebbe quanto meno difficoltà di terzo grado.

Si muovono con un'agilità stupefacente e mi fanno invidia: a loro sì che l'ofiolite gli fa un baffo!  

 

Giù al campo arrivano in parecchi, qualcuno è già pronto per partire, altri (come noi) cominceranno a farlo, altri ancora sono ritornati sotto la parete per salire un'altra via.

Rimane il piacere dell'ultima camminata nel bosco di faggi, poi ci saranno i saluti, il viaggio sulle tortuose strade dell'Appennino, il trasbordo del materiale, il resto del viaggio in autostrada fino a casa, mentre il ricordo di questi due giorni pian piano comincia piacevolmente a sedimentare negli anfratti del cervello e dentro al cuore.

 

Gabriele Villa
RoccaRaduno, sabato 5 e domenica 6 settembre 2009