Come riuscimmo a realizzare la quadratura del Trapezio

 

testo di Gabriele Villa

 

foto di Gabriele Villa, Stefano Toninel, Alessandro Vitali

 

 


Sabato, 4 luglio 2009

 

L'appuntamento
Si svegliò poco dopo l’alba, quella mattina, l’ingegnere, nella sua casa nei pressi di Monaco.
Doveva partire per andare verso sud all’appuntamento con il suo amico Gabriele, quello che lui chiamava il “vècio” e che lo aveva invitato per un fine settimana sulle Dolomiti.
Quando il vècio chiama il bòcia risponde” – aveva digitato sul display del cellulare.
Aveva caricato in auto lo zaino, la cassetta di plastica in cui teneva le attrezzature da arrampicata, le due mezze corde ed era partito.

Settecento chilometri più a sud, al solito posto, circa alla solita ora, alla spicciolata, arrivarono all’appuntamento in ordine sparso e casuale anche gli altri che avrebbero dovuto partire, assieme a Gabriele, verso nord per lo stesso fine settimana sulle Dolomiti.
Fra loro c’era di tutto, dal commercialista, alla donna manager in un’azienda di latticini, un geometra di una grossa cooperativa di costruzioni, un capo cantiere di un’impresa di manutenzione, segretarie d’azienda, un’aspirante medico che aveva appena fatto una puntura al suo gatto che l’aveva pure morsicata, un dipendente di una società chimica, una maestrina con tre paia di guanti nello zaino, un vècio alpinista che provava di coordinare quella truppa composita e variegata unita da un desiderio che accomunava tutti i componenti: la voglia, o quanto meno la curiosità, di arrampicare.

Il luogo dell’appuntamento era all’albergo la Baita, in quel di Andraz, e lì si trovarono, come da programma e presero possesso delle camere e si cambiarono.
Quando si ritrovarono sul piazzale erano tutti vestiti da alpinisti ed era impossibile distinguere il commercialista dal geometra, o la manager dall’infermiera, al massimo si poteva intuire chi fosse il bocia e chi il vècio, perchè l’età, così come per i monaci, non è questione di abito.
Ripresero le auto e salirono al Passo Valparola e da lì, appena che ebbero parcheggiato, poterono tutti girarsi a guardare verso l’alto dove avrebbero scalato e cioè il Trapezio, quella zona rocciosa del Piccolo Lagazuoi di cui fino a quel momento la maggior parte di loro aveva soltanto sentito parlare.
 

La lunga fase di addestramento
Era toccato al vècio alpinista ipotizzare la composizione delle cordate e quando le aveva comunicate alla truppa non c’erano state né lamentele, né osservazioni.
Del resto era stato lui, il vècio alpinista, a seguire l’evolvere di quel gruppo composito che si era conosciuto alle ciaspolate invernali organizzate dalla sezione del Cai, in seguito si era piaciuto, continuando una frequentazione “attiva” che aveva rinsaldato conoscenza e amicizia.
Ancora lui, il vècio alpinista, li aveva accompagnati alla palestra di arrampicata proponendo loro esercizi di abilità motoria, facendoli camminare sui tronchetti di legno, facendo notare loro l’utilità di usare correttamente l’avampiede, inventando percorsi sempre diversi per aumentare la difficoltà e stimolare la percezione dell’equilibrio e incrementare la mobilità corporea.
Si erano divertiti in quelle serate, si erano impegnati, si erano anche entusiasmati perché si erano accorti, serata dopo serata, di stare facendo dei progressi e capire delle cose.

Fu naturale quindi andare in un’altra palestra, questa volta all’aperto, in un luogo di cui avevano soltanto sentito parlare, dal nome che stimolava curiosità: i Sassi dei Colli Euganei.
Fecero conoscenza con quei blocchi di trachite vulcanica su cui, per vent’anni si erano mossi gli allievi dei corsi roccia e alpinismo della Sezione del Cai e si accorsero che quei “giochi” che avevano fatto alla palestra e al chiuso consentivano loro di continuare il gioco anche dove c’era da andare in alto e non solo in orizzontale, anche se per pochi metri.

 

Il vècio alpinista se la rideva contento, lui che era andato in precedenza a pulire le rocce che si ricoprono facilmente di muschi e licheni, tagliando i rami dei rovi cresciuti durante l’estate precedente, estirpando le erbe e gli spini, grattando via con la brusca metallica i muschi alimentati e gonfiati dalle piogge primaverili.
Si esercitarono una giornata intera su quei blocchi, provando e riprovando, fino a che si sentirono dire che avevano imparato e che se volevano provare ad applicare tutto ciò in “verticale”, beh, era ora che… si comprassero l’imbragatura e il casco, perché per poterlo fare in sicurezza era indispensabile legarsi con la corda.

Così tornarono a quegli stessi Sassi con spirito nuovo (e caschi luccicanti) e scoprirono il significato “verticale” dei giochi che avevano fatto nei mesi precedenti e, nonostante un po’ più di timore, avvertirono che il divertimento continuava, anzi… forse aumentava, perché c’era soddisfazione a muoversi per andare in alto, un po’ più lontano da terra.

 

Erano anche andati un sabato ad arrampicare in una palestra il cui nome sembrava un augurio: Santa Felicita.

Lì avevano imparato a muoversi in cordata su rocce un po' più alte e pure avevano effettuato alcune discese a corda doppia, apprendendo meglio comandi e affinando ognuno la propria manualità.
Beh… erano passati pochi mesi ed ora erano lì e il Trapezio era lassù che li aspettava.
Il vècio alpinista si chiedeva cosa potesse passare nella testa alla “sua” composita truppa, ma fu il pensiero di un attimo, perché si accorse che ogni cordata già stava prendendo accordi per l’organizzazione: scelta del materiale, zaini e vestiario da portare, bevande, cibi. Solo la “mora” aveva indugiato un po’ perche nella notte aveva preparato due torte salate e le aveva scartocciate invitando tutti a mangiarle.
L’indifferenza generale e uno sguardo severo del vècio alpinista le fece capire che non era il momento più adatto per un pic nic e, diligente e silenziosa, richiuse le torte nei rispettivi cartocci per metter mano piuttosto all’imbragatura da arrampicata.
 

L'avvicinamento alla parete


Rimasero nei bagagliai delle auto alcune corde, perché di quelle ne avevano portato in abbondanza, erano piuttosto i capi cordata a scarseggiare perchè ce n’erano solo quattro e mezzo per nove secondi di cordata.
Sarebbe stato un corretto rapporto 1 a 2, come si fa nei corsi di roccia, se non fosse stato per quel “mezzo” capocordata che non era facile da gestire, ma qualcosa si sarebbe inventato mentre si saliva all’attacco delle due vie prescelte, in fondo c’era ancora mezz’ora di tempo per pensare e trovare una soluzione appropriata.
La giornata era bella, l’aria frizzantina, la gente in parete non era troppa e, comunque, essendo passate oramai le undici, le cordate erano già in alto sulla parete.
Salirono con calma, zigzagando prima sulle erbe e poi sul ghiaione, infine dividendosi: sei andarono verso sinistra, alla via Ardizzon, gli altri otto un po’ più a destra alla via che chiamavano del “Canale”; si sarebbero ricongiunti sulla cima del pilastro che delimita a destra quella grande conformazione rocciosa chiamata il Trapezio del Piccolo Lagazuoi.
Dunque alla Ardizzon andarono il prode Obelix, in cordata con Davide e Max, seguiti dal Bòcia in cordata con Silvio e Mirta, mentre al Canale andarono il Vècio con un grappolo di donne (Cristina, Rita e Grazia), seguito da Fra' Cinti con la Giusy e a chiudere Sandrino con Gianluca.
Il vècio alpinista non poteva sapere cosa succedesse alla vicina via Ardizzon, ma sapeva di potersi fidare di Obelix e del Bòcia, invece di quello che stava per succedere nel suo gruppo se ne dovette ben presto rendere conto.
Mentre stava predisponendo le corde per l’arrampicata poté udire il comando perentorio di una voce femminile giungere dal ghiaione, nemmeno troppo distante: “State girati tutti in là che devo fare pipì…”
Lo prese come un buon auspicio e continuò a dipanare le (tre) corde della sua cordata.
 

L'incredibile procedere dell'azione arrampicatoria
Finalmente tutto fu pronto e il vècio alpinista poté iniziare l’arrampicata di quella via che aveva già ripetuto una dozzina di volte e che conosceva come le sue tasche, proprio per quello era fiducioso che ce l’avrebbero fatta “tutte”, anche se sapeva che qualche pedaggio da pagare ci sarebbe stato.
Non che mancassero le capacità, quanto piuttosto sapeva esserci qualche rimanenza di esperienze negative pregresse, di stress mai completamente assorbiti, di paure che fanno perdere la fiducia che serve per “stare lì” con la testa e salire passo dopo passo.
Ma nulla era stato lasciato al caso e quando recuperò la sua seconda di cordata, la titubante Cristina, ecco subito esserle vicino Rita (la maestrina di sostegno psicologico) che con un po’ di calma e qualche buon consiglio le fece superare il passaggio difficile e vincere l’istinto di rinuncia.
Il ghiaccio era rotto, il primo tiro messo alle spalle e l’incavo del canale, che toglieva il senso di vuoto attorno, li accolse benevolo con le sue rocce grigie e nere.
Ci provò anche un moschettone con la ghiera (che non si voleva svitare) a tenere imprigionata Grazia alla sosta ed a costringere il vècio alpinista a ridiscendere una ventina di metri per poterla “liberare”.
Intanto Fra' Cinti era salito a sua volta, affiancandosi nei punti di sosta per recuperare Giusy che lo seguiva tranquilla, mentre Sandrino e Gianluca chiudevano la fila.
Al terzo tiro già le facce erano più rilassate, qualche sorriso cominciava ad infiorare i volti e il vècio alpinista capì che si sarebbe riusciti a raggiungere la cima del pilastro del Trapezio, anche perché i paventati addensamenti pomeridiani erano in ritardo sulla tabella di marcia.

 

 

Infatti, buttando l'occhio all'indietro prima di aggirare lo spigolo e sparire alla vista, si accorse dei volti sorridenti e rilassati e di Grazia che, in attesa di riprendere la scalata, pescava allegramente dal contenitore della frutta fresca.
L’ultimo tiro, forse perché fuori dal canale e quindi più esposto, fu quello che piacque di più e già gli occhi fuggivano sul tratto di parete sovrastante.
Non sembra difficile” – disse Cristina oramai definitivamente rincuorata.

Niente da fare. Si scende in doppia da qui” – fu la risposta del vècio alpinista.
Intanto erano arrivati in cima al pilastro il prode Obelix e il bòcia Stefano con le loro cordate e poco mancò che tutto il gruppo si riunisse sulla cima.

 

La paziente discesa e la quiete soddisfatta della sera
Però non cera tempo per attendere gli altri anche perché c’era una corda doppia obbligata (e nemmeno tanto facile), in parte nel vuoto e per scenderla in quattordici c’era da preventivare non meno di un’ora e mezza.
La cordata del vècio alpinista si avviò subito ed iniziò le operazioni di calata raggiungendo l’anello cementato con la longe già sistemata all’imbragatura.
 

 

Beh, la calata confermò le sue difficoltà di partenza e qualche occhio sbarrato rivelò la tensione e la paura di quel momento, poi fu cengia e pian piano il rientro per questa rimanendo in cordata per superare in sicurezza il tratto in esposizione.
Due orette e fu ghiaione di discesa, ora ne rimanevano lassù soltanto dieci.
Vide Obelix rimanere a lungo sul terrazzino di calata e ogni volta chi so doveva calare sembrava fosse in un filmato al ralenty.
Il vècio alpinista si era riparato dal vento dietro a un massone e osservò tutto con pazienza, ascoltando ogni tanto brandelli di frasi portate dal vento.
Cosa devo fare adesso?
At devi andàr zò!
E ancora, alla calata successiva.
Va zò con chil gàmb … t’an vedi c’at pàri Olivia?
Sembrava un copia-incolla quel non decidersi a iniziare la calata, quel cercare appoggio per i piedi, quel mollare la corda con una mano per andare ad appoggiarla sulla roccia a trovare equilibrio poi, finalmente, ecco la sagoma scendere, lentamente, ma scendere …
Il tempo intanto passava e, data una voce ad Obelix, il vècio alpinista risalì quel po’ di ghiaione che aveva sceso, ripercorse il sentiero esposto e tornò sulla cengia sotto la calata della doppia.
Dietro una quinta di roccia ne trovò cinque, seduti, tranquilli, come pulcini in attesa di una chioccia che li accompagnasse verso il pollaio, e del resto di quelle rocce che avevano scalato non conoscevano nulla.
Sicché li accompagnò verso il ghiaione, mentre la corda doppia , pian piano, portava verso il basso gli ultimi cinque rimanenti.
Arrivarono alla Baita che le diciannove erano già trascorse da svariati minuti, ma la giornata era stata piena, ricca di esperienze positive e di soddisfazione.
Una doccia restituì energie, poi la serata trascorse a tavola, scambiando ricordi, impressioni, sensazioni in quella serenità che una giornata di montagna riesce dare.
L’albergo non spegneva le luci entro le ventidue, come succede nei rifugi di montagna, ma ugualmente la maggior parte della composita truppa, a quell’ora, aveva già consegnato al letto le stanche membra, chiudendo gli occhi sull’intensa giornata e le sette intense ore di parete che aveva riservato.


 

Domenica, 5 luglio 2009


Le premesse per una piacevole escursione
La prima cosa da fare al mattino successivo era di guardare fuori dalla finestra, perché dalle condizioni meteorologiche sarebbe scaturita la scelta di una delle opzioni che avevano ipotizzato tutti insieme a tavola la sera prima.
Le previsioni non erano delle migliori, ma ugualmente la voce annunciò:
C’è il sole”.
Dal letto risposero due sconsolati:
Nooooo …”.

Più o meno la stessa scena si verificò nelle altre stanze, perchè lo avevano pensato tutti che un bel po’ di nuvole in cielo non avrebbero guastato, perché, se non altro avrebbero scongiurato un ritorno in parete, (magari alle “5 Colonne” come aveva detto Grazia a tavola) cosa di cui si erano ben saturati il giorno prima.
Durante la colazione si accorsero però che nessuno aveva la “fissa” dell’arrampicata e gli accordi portarono ad individuare una bonaria escursione alla Croda Negra, cima modesta, ma molto panoramica.
 

La tranquilla salita verso la Croda Negra


Furono al Passo Falzarego prima delle 8e30, cioè il leggero anticipo sulla chiusura delle strade dei passi (Falzarego, Giau, Campolongo, Valparola) per lo svolgimento della manifestazione ciclistica “Maratona delle Dolomiti”: 8.800 ciclisti, ma tutti assolutamente silenziosi, nessuna auto e, soprattutto, nessuna moto, cioè RUMORI ZERO.
Un’esperienza assolutamente da provare!
C’era un’atmosfera particolarmente rilassata, tutto quel silenzio aggiungeva tranquillità ad un ambiente di per sé già stupendo, il verde dei prati di Col Gallina gonfi delle piogge dei giorni precedenti aveva un’intensità stupefacente.

 

L'incontro con le pernici rutilanti

 

Superato un breve caminetto che si prestava ad una facile e piacevole arrampicata in spaccata, approdarono sul lungo piano inclinato di erbe miste a sassi che arrivava fino alla cima.

Il gruppo si sfilacciò, come se ognuno andasse per conto proprio, in testa a tutti procedeva il bòcia.

Improvvisamente si senti un verso inquietante provenire dall'alto e tutti pensarono che fosse stato il bòcia, provato dallo sforzo dopo avere allungato il passo, ad essere preso da improvvise e fragorose flattulenze.

Lui, quasi avesse intuito il pensiero del gruppo, si era girato prontamente, precisando ad alta voce:

"Non sono mica stato io, eh... Cosa credete?

Tutti intanto guardavano verso l'alto e fu lì che videro alzarsi in volo due pernici e si sentì ripetere più volte il verso sentito in precedenza.

"Sembra impossibile che un animale così piccolo possa fare un rumore così forte" - osservò Mirta.

Già, proprio per quello il primo sospettato era stato il bòcia, per precedenti su cui erano circolate voci e in conseguenza dei quali subito i due volatili erano stati ribattezzati: le pernici rutilanti.

  

Una miscela inusuale: panorami, ciclisti e silenzio

 

Continuando a chiacchiere e scherzare raggiunsero la cima di Croda Negra e tutt’intorno, a perdita d'occhio, altro non c’era se non cime dolomitiche, valli e silenzio.

Guardate sul Giau … sembrano le formichine di Vettori” – disse Mirta con voce sorpresa.
In effetti, era un brulicare di puntini che riempiva tutto il nastro d’asfalto, tornante dopo tornante.
La giornata, nonostante le previsioni, si manteneva orientata sul bello.
Gli addensamenti termo convettivi al momento non destano preoccupazione …” – confermò il geometra con voce solenne e tutti ne ebbero sollievo.
Infine, dopo avere scattato la foto di gruppo, iniziarono a scendere, proseguendo per il sentiero che va verso l’Averau, arrampicando in discesa alcune roccette con una sicurezza che sentivano aumentata.

Da ultimo si abbassarono nella conca solcata dalla recente traccia di una pista da sci: era il nuovo collegamento fra il comprensorio sciistico di 5 Torri-Giau con quello di Col Gallina-Passo Falzarego-Lagazuoi-Armentarola.

 

Uno scempio ... a basso impatto ambientale


 

Fu qui che il vècio alpinista si recò in un pellegrinaggio tutto personale, accompagnato dal solo Gianluca, alla forcella Croda Negra sulla quale risaltavano in tutta la loro bruttura i piloni della nuova seggiovia costruita prima del precedente inverno per garantire il collegamento fra i due comprensori sciistici.
Ricordava ancora l’articolo che aveva letto sul Corriere delle Alpi, in cui i fautori del progetto ne decantavano le caratteristiche di basso impatto ambientale.
Già –pensò tra sé e sé – veramente una carineria …”.

 

 

In un ambiente incontaminato non esiste alcuna realizzazione umana che possa avere “basso impatto” ambientale e quel luogo che lui sentiva suo per lunga e approfondita frequentazione, era stato violentato.
Fotografò lo scempio e raggiunse la compagnia intenta ad un allegro chiacchiericcio e con quella scese per la pista ricordando la canzone del “ragazzo della via Gluck”, adattandone le parole alla situazione:
Là dove c’era l’erba ora c’è … una seggiovia e una pista di sassi”.


Fu l’unica nota stonata di un fine settimana da incorniciare e di cui era soddisfatto e anche orgoglioso.
Sì, proprio orgoglioso, soprattutto di essere riuscito a realizzare la … quadratura del Trapezio.

 

Gabriele Villa

Come riuscimmo a realizzare la quadratura del Trapezio
Passo Falzarego, 4 e 5 luglio 2009

 


 

Da sinistra, in piedi: Max, Giusy, Stefano, Davide, Obelix, Mirta, Gianluca, Francesco, Gabriele, Sandrino.

Accovacciati: Silvio, Grazia, Cristina, Rita.