a "Oral Trad: il vecchio come nuovo futuro?" di Massimo Bursi

di Roberto Avanzini


Ho pensato molto prima di scrivere questo commento perché il problema trattato mi vede indirettamente e direttamente coinvolto. Avrei voglia di scrivere molte cose ma magari mi riservo di farlo in un intervento a parte, qui mi limiterò a quelli che a mio parere sono i punti essenziali.
Mi scuso quindi se traccerò in bianco e nero delle situazioni che hanno anche molti toni di grigio.

Primo: dai cosiddetti local che arrampicano nella zona di Arco e dintorni il problema dell’over turismo è già stato percepito da una quindicina di anni. La massiccia presenza di turisti arrampicatori, soprattutto del mondo germanico, è passata dall’essere una piacevole occasione di scambio ad un problema da gestire.
Problema che si traduce in prese lucidate, parcheggi difficili, rapporti con i proprietari dei terreni difficili, immondizie abbandonate (poche, ma se 10 persone lasciano un fazzoletto per terra 100 ne lasceranno ben di più) e altro.
 
Secondo: da questo si è ulteriormente diffusa la consuetudine di chiodare delle pareti ma non pubblicarle.
Il che non vuol dire tenerle segrete, ma evitare che compaiano almeno sulle guide a stampa.
È vero che la diffusione delle notizie via social è ormai velocissima ma, a mia osservazione, la differenza la fanno proprio le guide cartacee.
 
Terzo: in certi casi ci si è volutamente affidati solo al passaparola (con molte divergenze tra i chiodatori).

Quarto: la pubblicazione e la diffusione di guide con i nomi di chiodatori espone gli stessi a possibili problemi legali. Per il momento non è ancora accaduto nulla, ma a parer mio la strada è, tristemente, tracciata (vedi la conflittualità legale crescente in caso di incidenti in montagna).

Quinto: la pubblicazione della recente guida citata nell’articolo è stata vissuta come una vera e propria scorrettezza da parte di molti apritori di falesie della zona di Rovereto (TN).
Attorno a Rovereto esistevano almeno una decina di falesie non divulgate per scelta.
Le ho frequentate per anni e mi sono sempre attenuto al riserbo che mi era stato chiesto.
Ora tutto questo è stato superato da un editore tedesco.
In reazione a ciò una falesia della valle dell’Adige è stata interamente schiodata come forma di protesta.

Sesto: non voglio essere ipocrita, io sono sempre stato per non pubblicare.
Alcune zone che ho contribuito a chiodare sono state pubblicate perché la maggioranza di chi vi ha lavorato ha deciso così ed io mi sono adeguato volentieri. Purtroppo in seguito ho dovuto tristemente decidere di schiodare alcune vie per possibili problemi di tutela ambientale, che sicuramente non si sarebbero rischiati se la frequentazione fosse stata minore. In merito bisogna osservare un vero tabù tra chi apre vie di arrampicata sportiva, ovvero non si parla mai dell’impatto di portare centinaia (o migliaia) di persone durante l’anno in ambienti naturali dove prima ne passavano forse decine, ma questo è un argomento che merita una riflessione a parte.

Trovo la posizione di Massimo Bursi è un po’ troppo estrema (ma penso si tratti anche di una provocazione) però la mia non è molto diversa. In zone limitrofe a quelle a fortissima presenza di arrampicatori per me la divulgazione va fatta con passaparola tutta la vita e disegnino a matita, posso garantire che alla lunga bastano perché tutti (anche chi viene da lontano), godano delle falesie cosiddette segrete e si divertano.
Ma non pretendo di avere la verità in tasca.

Ps. Ovviamente non acquisterò mai la guida di Michael Meisl “Oltre Arco – Verona, Rovereto, Trento”