Franco Miotto e l'ultimo viàz

di Luisa Mandrino


Mi è sempre piaciuto di questa foto il maglione sfilacciato sul gomito, che mi facevi sempre vedere perché quel buco rappresentava un certo tipo di alpinismo, fatto di passione. Nei fili che stavano per cedere c’era tutto: la grande preparazione atletica, il coraggio, l’alba dal bivacco, gli ultimi metri, la cima, il prosecco buttato giù in un fiato appena scesi. Era un portafortuna, più che un maglione. Dicevi: guarda che buco Luisa! E ridevamo insieme.

Stasera non riesco a ridere e nemmeno a sorridere, sono andata da un’amica e ho parlato di te, di Franco, di Franco Miotto, il mio grande amico, il mio secondo padre, l’uomo che amava i cani, la Schiara, il concerto di Capodanno, Leopardi e un po’ anche me.
Ho bevuto un prosecco perché è un vino che infonde ottimismo “e se non ne avessi avuto una bottiglia in frigo quella sera non avrei mai accettato di fare la via dei Polacchi in invernale”.
Allora io non l’avevo ancora visto il Burel, non avevo visto l’Agner, il Pizzocco, i Monti del Sole.
Poi abbiamo cominciato a girare per le montagne, Pala Alta, Pala Bassa, i viàz, i camosci, le castagne a San Martino, la Civetta, la Val di San Lucano, Cortina, tutta la tua meravigliosa vita fino a Malles Venosta dove sei nato in un giorno di febbraio del 1932.

Ma questo è un bambino che sembra già di cinque mesi! Non disse così la levatrice?
Mi scaldo al fuoco del larìn della Stanga, seduta con i piedi accanto alla brace a bere ancora un prosecco con te, anzi due “un par òcio”, uno per occhio o si rischia di non vederci bene.

"Disse così la levatrice: un bambino di cinque mesi!
E il vetraio di Cortina? Disse a mio padre: mi dispiace che andiate via, perché non ho mai lavorato tanto come adesso. Io giravo sempre con la fionda, capisci?"


Fuori nevica.
Entrano un sacco di amici alla Stanga, si sta così bene stasera, aspetta Franco, raccontami un’altra storia.
Devi andare?
Davvero?
Ma non vedi che nevica?
Ma a te piace la neve!
Va bene, ma torna presto, ti aspetto qui.