a "29° Corso di alpinismo del CAI Piacenza"
di Stefano Dallavalle
Ricordo bene quella sera in cui l’amico Jimbo ci disse:
“Ci iscriviamo al corso di alpinismo al CAI di
Piacenza?”.
“Cosa? Cai? Alpinismo? Ma che dici? Ma cosa ci fanno fare? E dopo?”.
Dubbiosi e un po’ insicuri andammo dunque ad informarci su questa
iniziativa, che sarebbe cominciata a breve, precisamente nella prima
settimana di marzo.
La paura di aver fatto una scelta sbagliata iscrivendoci alle lezioni,
fu presto sostituita dal dispiacere che il corso prima o poi sarebbe
giunto al termine.
Ormai eravamo coinvolti in maniera tale, che aspettavamo di settimana in
settimana, con una sorta di ansia mista a curiosità, di recarci alle
lezioni serali, e ancor più di uscire in ambiente con tutto il gruppo.
Appuntamento fisso ore 20:00.
Partenza da Pianello, prima tappa Borgonovo, ore 20:15 a recuperare
Jimbo, che non era quasi mai in ritardo… seconda tappa, caffè al
“Baretto” di barriera Torino… terza tappa, Piacenza! CAI.
Siamo in tanti nell’aula, circa 20 persone, facce nuove, di tutte le
età.
Venti persone che ora non si chiamano più così, ora si chiamano amici,
ora si chiamano compagni di cordata, ora si chiamano gruppo, e non sono
più sconosciuti come sembravano.
La serata inizia con l’appello di Lucio, poi la lezione prende il via,
ma si interrompe subito….
“Ehi! Voi di Pianello, lì in fondo, fate un po’ di silenzio...”.
La nostra euforia e la nostra voglia di sapere tendevano sempre a
distrarre la lezione.
Ogni volta una cosa nuova, un’informazione in più, i nodi, le
attrezzature, l’abbigliamento, la meteorologia, la neve, i tipi di
rocce, le corde, ecc... ecc... e questi sono solo alcuni degli argomenti
trattati.
Serata dopo serata, lezione dopo lezione, appello dopo appello, richiamo
dopo richiamo… ormai tra di noi, la frase ricorrente era sempre la
stessa: “ Accidenti! Quante cose ci insegnano con questo corso, io
non credevo, io non pensavo, io non sapevo…”.
Già, nessuno di noi si aspettava di imparare così tante nozioni diverse.
I dubbi piano piano se ne vanno dalla nostra testa e lasciano posto a un
crescendo di interesse e voglia di far parte, del “mondo di chi ama la
montagna”.
“Che freddo!”
“Quanta neve c’è ancora di fianco alla strada.”
La meta si avvicina sempre di più, e la nostra sete di avventura ormai
ci asciuga le bocca..
Arrivati! Monte Penna. Che spettacolo!
La nostra prima uscita in ambiente, finalmente!
Torniamo a casa con lo zaino pieno, colmo di esperienze, informazioni
nuove, istruzioni su come si procede sulla neve, e forse sarebbero stati
utili due zaini, per farci stare tutto quello che abbiamo imparato quel
giorno.
E quel sabato? Sulla ferrata Mazzocchi? Che giornata da incorniciare!
E il giorno dopo? Alla Rocca del Prete? Che emozione la discesa in corda
doppia.
E quella domenica a Gaino? Che giornata magnifica, che emozione
l’arrampicata su calcare.
E quella notte al rifugio Ventina?
Quanto ci siamo divertiti.
E quella mattina di giugno?
Quando per la prima volta nella mia vita ho
risalito la lingua di un ghiacciaio e mi sono gustato il panorama dalla
cima della Marmolada? Sensazioni uniche.
E quella volta che…
Spero che la lista non possa finire mai, come spero che non finisca mai
la mia passione per la montagna.
La sicurezza di avere sempre tutto sotto controllo usando la testa come
ci è stato insegnato, il cuore come ci hanno dimostrato, e le gambe… che
passo dopo passo abbiamo allenato.
Sono passati ormai sette mesi, il corso è finito da tre.
Penso che tra tutte le idee che ho avuto nei miei ultimi dieci anni di
vita, questa sia stata una delle più sane e appaganti.
Quella da segnare con un pennarello rosso sull’agenda dei bei ricordi.
Ora non abbiamo più paura di aver fatto la scelta sbagliata.