Lolotte ... no grazie !

Commento di Gabriele Villa

"Tutto giusto". E’ la prima cosa che ho pensato dopo avere letto il racconto di Mauri (o è meglio dire la cronaca con considerazioni?). "Non lo commenterò". E’ la cosa che ho pensato subito dopo: troppe le cose da dire, troppe le considerazioni (anche polemiche) da fare.
Oltretutto, già mi ero guadagnato l’appellativo di arteriosclerotico…
Poi, proprio perché citato personalmente nel racconto, non posso esimermi dal fare due considerazioni, con l’impegno di non farmi prendere la mano.

La prima considerazione.

...verso le cinque di mattina…dopo qualche minuto sembrava di essere alla stazione ferroviaria…tono di voce non adatto…rumore di moschettoni e chiodi da ghiaccio…

Ho vissuto una situazione identica qualche anno fa al rif. Vazzoler durante un trekking giovanile e, guarda caso, era anche quello un corso (di roccia). Stessa ora e stessa maleducazione.
Perché di questo, fondamentalmente, si tratta: maleducazione e mancanza di rispetto per gli altri.
Ma voglio anche "azzardare" una riflessione molto personale.
L’abitudine di fare lo zaino di mattino era consolidata fino a qualche anno fa.
Diciamo ai tempi in cui imperava la "lotta con l’alpe"quando si andava all’attacco delle vie, per vincere le difficoltà, meglio se erano aggettanti, conquistare le cime, ecc, ecc.
Preparare lo zaino di mattino, scegliere i chiodi, i moschettoni e tutto il materiale occorrente era come rispettare un rituale che preparava ai duri cimenti della giornata, alla lotta maschia contro le difficoltà, come guerriglieri che preparino la cartucciera da mettere a tracolla prima della battaglia.
Forse non è poi così casuale che questo rituale sia ricordato e tramandato dagli istruttori agli allievi di un corso di una scuola di alpinismo fra le più rinomate.
Ma, ripeto, la mia è solo una riflessione personale. Forse troppo azzardata?
Diciamo che ora, in tempi nei quali prevale, forse, la "pace con l’alpe", lo zaino lo si prepara di sera, così si evita anche di rompere le scatole a quelli che si alzano dopo di noi.

La seconda considerazione.

…diapositive più adatte ad una serata fra amici che a scopi didattici…istruttore che si lascia trascinare nell’auto elogio…l’allievo deve capire come affrontare anche un breve passaggio, cosa mettere nello zaino…regole del buon comportamento…

Non ho certo intenzione di fare auto citazioni, né di entrare nello specifico di questo argomento, ma non posso non fare riferimento alla mia esperienza di istruttore di alpinismo.
Ritengo che una persona sia quello che fa, non quello che dice di voler fare.
Un istruttore di alpinismo, a maggior ragione, non sfugge a questa regola.
Io non so se sono stato un bravo istruttore (lascio agli altri il giudizio in proposito), certamente mi posso vantare di essere stato un istruttore coerente, a tal punto da essere apparso perfino arteriosclerotico, in certi momenti. Buon segno; vuol dire che ero intransigente nel portare avanti e/o difendere quelle idee che ritenevo (e continuo) a ritenere giuste.
Piuttosto, ho pensato all’istruttore di Gallarate che dice "troppo tecnicismo… e invoca …un unico corso di alpinismo, ma fatto bene, che spieghi il vero significato dell’andare in montagna".
Parole sante. Ma il Cai ha imboccato un’altra strada: quella di suddividere le competenze, di specializzare gli istruttori, gli accompagnatori e gli operatori titolati.
Una scelta che non è sbagliata di per sé, almeno a mio modo di vedere.
E’ sbagliato, piuttosto, se il titolato (di qualsiasi livello), nell’ambito della sua attività di competenza ne tende ad esasperare gli aspetti tecnici, magari allo scopo di "distinguersi".
Perché, a quel punto, diventerà "integralista": alpinista, escursionista o naturalista che sia.
Allora, dell’istruttore di Gallarate, condivido la valutazione, ma non la soluzione.
Per questo continuo a fare l’istruttore, e, dall’interno, a portare avanti quelle idee che ritengo giuste e a contrastare tecnicismi ed integralismi. Come un anticorpo.

Gabriele Villa

Ferrara, 17 febbraio 2003