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NOTIZIE.
28/06/2006 - Da "La Rivista" del CAI, di Maurizio Giordani: Cultura di scalata o scalata di cultura

Foto Giordani E’ il titolo di un convegno tenutosi a Trieste nel mese di gennaio 2006, organizzato dalla Sezione XXX Ottobre del CAI. Riportiamo ampi stralci dell’interessante intervento di Maurizio Giordani, il forte alpinista roveretano, che forse qualcuno ricorderà protagonista a Ferrara di una delle serate dell’ottobre scorso di “Inseguendo i profili”. Per l’articolo integrale vi rimandiamo a “La Rivista”, bimestrale del Club Alpino Italiano, numero di Maggio-Giugno 2006.

… E’ la conoscenza, e la “coltivazione” della stessa con l’approfondimento e la ricerca che permette all’essere umano di porsi con dignità di fronte ad un ostacolo, per affrontarlo e superarlo. Il “metodo” usato, spesso, deriva proprio da questa “cultura” di base che tende a sopprimere naturali istinti di prevaricazione, di conquista, e fa prevalere azioni dettate dal “rispetto”. Questo purtroppo non sempre succede in molti campi dell’attività umana e quindi anche in alpinismo … 
… ho il timore, purtroppo confermato da avvenimenti che oramai si susseguono a ritmi sempre più incalzanti, che sia in corso, sulle nostre montagne, un tentativo di “soppressione dell’alpinismo”, causato dai metodi che il nuovo cambiamento ha diffuso e liberalizzato. … … La storia dell’alpinismo ci tramanda alcuni valori inconfutabili dei quali il più importante è l’indicazione che deve essere l’uomo, in prima persona, che si migliora per affrontare e stabilire nuovi limiti. La storia insegna che nei periodi di accanimento tecnologico in alpinismo, quando cioè si accetta l’uso illimitato di mezzi per arrivare ad un obiettivo, il valore dello stesso perde importanza ma soprattutto si innesca un processo di deresponsabilizzazione dell’alpinista verso le proprie capacità. … 
… Oggi cosa sta succedendo? Richiamata dalla palestra, l’arrampicata sportiva sta invadendo il mondo dell’alpinismo con idee e metodi che non sono dell’alpinismo e che perciò tendono a sopprimerlo o perlomeno a cambiarlo. Questo perché? L’eccessiva, esasperante progressione verso l’alto della scala delle difficoltà ha condotto l’arrampicatore sportivo ad attrezzarsi itinerari super sicuri, dove poter provare e riprovare i passaggi senza correre rischi. Ciò è sacrosanto. Ma è pure limitativo. … 
… Le nuove generazioni nascono (arrampicatoriamente parlando) in palestra, fra miriadi di luccicanti spit, dove inesistente è la cultura del rischio e quindi la capacità di saperlo affrontare. Nessun problema se tutto ciò rimane nel suo ambiente ma vi è anche chi esce dalla palestra per assaggiare l’alpinismo, a volte non adattandosi a ciò che trova ma con l’arroganza di modificare tutto a proprio gusto, piacere e necessità. Succede che arrampicatori pur bravi ma non abituati a saper disporre, in condizioni di rischio, della propria capacità di concentrazione, autocontrollo, determinazione, sono costretti ad affidarsi, anche in alpinismo, all’unica sicurezza che conoscono, quella dello spit, a volte modificando e spesso distruggendo nell’essenza itinerari storici che certo sono costati non pochi sacrifici a chi li ha ideati ed aperti, spesso vere e proprie opere d’arte, espressione inconfutabile della capacità, intuito e fantasia di chi li ha disegnati sulla roccia. Sconcertante è però un’altra considerazione; raramente un giovane si presenta con arroganza in un terreno che non conosce a fondo, a meno che non vi siano esempi che possa fare suoi e lo spingono a farlo. Tali esempi purtroppo vi sono ed arrivano proprio da ex alpinisti i quali, avendo trovato nello spit un validissimo supporto alla propria mediocrità, vi si “aggrappano” con religiosa devozione. Non lo possono fare in palestra dove i giochi sono troppo evoluti e dove quindi si sentono a disagio ma lo possono fare in montagna dove, nascondendosi dietro la parola “sicurezza”, tutto è permesso. Molti tratti di vie storiche sono oramai addobbati dalle inconfondibili piastrine ed anche in ripetizione i classici chiodi appesi all’imbrago sono a volte sostituiti dal bulino o dal trapano a batterie mentre si parla apertamente del progetto di attrezzare a spit itinerari storici del passato in modo da renderli “accessibili” a tutti. Nessuno ci obbliga ad andare in montagna. Se lo facciamo è perché là pensiamo di trovare qualcosa; qualcosa che non riusciamo ad individuare in città, o in palestra. Ma nel momento in cui la montagna sarà simile ad una città o ad una palestra allora ci renderemo conto che quel “qualcosa” che prima rincorrevamo è svanito, per sempre, calpestato in nome di un progresso che non sempre è generoso, non sempre regala ma anche toglie, ed in modo irrimediabile. … 
… Ciò che non posso assolutamente accettare è l’uso del perforatore in ripetizione dove mi appare addirittura assurdo oltre che prepotente ed arrogante il voler modificare permanentemente itinerari appartenenti alla storia dell’alpinismo, in nome di una falsa sicurezza ed a paravento della propria incapacità. … 
… Se il “rispetto” deriva, oltre che da una propria predisposizione ed etica, anche dalla conoscenza, credo questo sia un problema di “cultura” dei giorni nostri. … 
… se nuove strade vanno percorse è bene farlo non con arroganza e presunzione ma con cautela ed attenzione, rispettando quella parete che, se troppo sfruttata e violentata arriverà ad essere arida e sterile, non più capace di elargire a chi la sale ciò che è l’essenza dell’arrampicata e dell’alpinismo… un viaggio nel mondo delle emozioni ed un momento di vita unico, intenso ed irripetibile.