Ice >>

Expedition>>

Rock>>

Incontri>>

Ski >>

Experience

HomePage>>

News   www.intraigiarun.it


NOTIZIE.
05/06/2008 -
Inaki Ochoa: uno spontaneo, quanto vano, tentativo di soccorso in alta quota

Riprendiamo dal sito montagna.tv una notizia che ha fortemente impressionato il mondo alpinistico internazionale nei giorni scorsi.
Grande l'impressione perchè è scomparso un alpinista di fama, ma anche per la bella gara di solidarietà che ha visto impegnati per più giorni oltre i 7000 metri di quota vari alpinisti presenti nella zona nel tentativo, purtroppo vano, di soccorrerlo e salvargli la vita.

Uno slancio generoso e spontaneo che è stato premiato con la medaglia d'oro per meriti sportivi dal governo basco di Navarra.


KATHMANDU, Nepal -- 23 maggio 2008 -- "Inaki è morto". E' stato Ueli Steck a dare la notizia, via radio, a Denis Urubko che stava salendo verso campo 4, carico di ossigeno e medicinali. Sperando, fino all'ultimo, di poter salvare l'amico basco da tre giorni in crisi polmonare a 7.400 metri. Purtroppo, nonostante la colossale operazione di soccorso messa in piedi da tutte le spedizioni impegnate sulla Sud dell'Annapurna, per Ochoa non c'è stato nulla da fare.
Ochoa aveva 41 anni ed era uno dei più forti himalaysti del mondo.
Aveva 12 ottomila all'attivo e aveva aperto anche una nuova via sullo Shisha Pangma.
Tutto è iniziato l'altro ieri, con dei congelamenti alle mani, che hanno costretto Ochoa a rientrare a campo 4 quando ormai si trovava a 100 metri della vetta dell'Annapurna, dopo una scalata non-stop di 16 ore.
All'inizio sembrava tutto sotto controllo. Ma durante la notte, passata a 7.400 metri, le sue condizioni sono peggiorate: ha cominciato a soffrire improvvisamente di forti dolori, conati di vomito e tosse e poi ha perso conoscenza. Subito è scattato l'allarme. Il suo compagno di cordata, il rumeno Horia Colibasanu, ha tentato di  soccorrerlo come poteva, telefonando ad alcuni medici. Ma la situazione andava degenerando. E in un batter d'occhio, tutte le spedizioni che si trovavano sulla parete si sono messe in moto per soccorrere il fuoriclasse basco. Lo svizzero Ueli Steck ha abbandonato immediatamente il suo tentativo di aprire una via nuova sulla parete e non ha esitato ad affrontare la bufera per salire a soccorrerlo.
In breve lo ha raggiunto a campo 4 con nuovi farmaci.
Il kazako Denis Urubko ha scalato per ore, con ossigeno e farmaci sulle spalle, senza dormire, per portare aiuto agli amici bloccati lassù. Ancora 4 ore e li avrebbe raggiunti.
Dalla valle di Pokhara, poi, era pronto un elicottero carico di un team internazionale di alpinisti pronti al soccorso.
Ma non c'è stato tempo. Questa notte, alle 12.30, i polmoni di Ochoa hanno ceduto. L'alpinista è spirato, fra le braccia dello svizzero Ueli Steck che ha tentato fino all'ultimo di rianimarlo. E la notizia ha raggelato l'intera montagna, con tutti coloro che si stavano muovendo per il soccorso.
Urubko non ha interrotto la sua salita. Sta arrivando a campo 4, per aiutare Steck a scendere e a riportare in basso la salma dell'amico. Il canadese Don Bowie, invece, si è fermato a campo 3 con Alexey Bolotov, che l'altro ieri ha tentato la vetta con Ochoa e Colibasanu. Bolotov, stremato dalle fatiche e dai giorni in alta quota, ieri si era rifiutato di scendere al base.
E si era caricato sulle spalle dell'ossigeno per tornare lassù e portarlo a Inaki.
A campo 2 sono infine arrivati anche il russo Serguey Bogomolov e il medico polacco Robert Szymczak, del team di soccorso in elicottero. Qui aspetteranno il rientro di tutti gli alpinisti che si stanno muovendo ai campi alti.


KATHMANDU, Nepal -- 27 maggio 2008 -- A Inaki Ochoa, per la sua strabiliante carriera alpinistica e gli splendidi successi raccolti sulle montagne più alte del mondo e alla straordinaria squadra internazionale di soccorso che ha rischiato la vita per cercare di salvarlo. 
Così il governo basco di Navarra ha motivato la decisione lampo di assegnare la medaglia d'oro per meriti sportivi a Ueli Steck, Denis Urubko e a tutti gli alpinisti coinvolti nel disperato tentativo di aiutare il fuoriclasse basco sulla Sud dell'Annapurna, tra bufera e valanghe. Solo domenica sono riusciti a scendere al campo base.
E' stata, probabilmente, l'operazione di soccorso più imponente della storia in Himalaya. Su una delle pareti più pericolose e impressionanti. Ma quel che più colpisce è che sia nata spontaneamente, per salvare una vita umana, lassù dove molte spesso vige la legge del "si salvi chi può" e dove, purtroppo, la storia è piena di abbandoni forzati.
Questa volta no. Non è andata così per Inaki Ochoa, fuoriclasse basco con 12 ottomila all'attivo, colto da una crisi cerebrale e polmonare a 7.400 metri. Tutti gli alpinisti, impegnati a raggiungere i propri obiettivi sulla parete, hanno subito mollato quello che stavano facendo per correre lassù, tra bufere e valanghe, per cercare di salvargli la vita.
Davanti a tutti, due fuoriclasse dell'alpinismo: lo svizzero Ueli Steck e il kazako Denis Urubko. Con loro, altri dodici alpinisti rumeni, russi, spagnoli, sherpa. Tutti uniti nell'obiettivo di riuscire a portare Ochoa in salvo. Un tentativo purtroppo fallito. 
L'operazione ha colpito alpinisti, appassionati, tutta l'opinione pubblica. E ovviamente, il governo basco che ha perso uno dei suoi atleti più brillanti. Tanto che l'esecutivo di Navarra ha deciso di assegnare ad Ochoa e a tutti quelli che si sono prodigati per salvarlo, la medaglia d'oro per meriti sportivi. Si tratta della più alta onorificenza del paese.
Al rumeno Horia Colibasanu, che ha portato Ochoa a campo 4, dopo la durissima scalata verso la cima nella quale aveva subito dei congelamenti alle mani. E l'ha assistito durante la tremenda notte che è seguita, nella quale Ochoa ha avuto la prima crisi e ha perso conoscenza. A Ueli Steck, che ha interrotto immediatamente il suo tentativo di aprire una via nuova ed è salito a campo 4, in mezzo alla bufera, carico di medicinali per soccorrere l'alpinista basco. Rimanendo con lui per un giorno e una notte, tentando fino all'ultimo di rianimarlo. A Simon Anthamatten, compagno di cordata di Ueli Steck, che è salito a campo 3 e ha prestato assistenza ai compagni di Ochoa, stremati dalla fatica e sconvolti per la crisi del loro amico: Colibasanu, in condizioni critiche, non voleva scendere da campo 4 nè abbandonare Ochoa, mentre Alexey Bolotov non ha esitato, dopo due giorni di scalata ad oltre settemila metri, a scendere, caricarsi di ossigeno e ripartire verso campo 4. E al superman kazako Denis Urubko che si è imbarcato in una vera odissea di salita sulla Sud dell'Annapurna: ha scalato per ore, senza fermarsi nemmeno a dormire, per arrivare da Ochoa carico di ossigeno.
E' rimasto poi bloccato a campo 3, per colpa della tormenta, con Bolotov e Serguey Bogomolov.
La medaglia andrà anche al canadese Don Bowie, che è salito per un tratto con Urubko e ha raccontato di aver incontrato sul cammino diverse valanghe. Ad Alex Gavan, che si è perso per ore nella nebbia e all'alpinista rumena Minhea Radulescu, nonchè al medico polacco Robert Szymczak e a 5 Sherpa. 



Per saperne di più del personaggio vi proponiamo un'intervista tratta sempre da montagna.tv che fu fatta ad Inaki Ochoa qualche anno fa a Kathmandu da parte di Gian Pietro Verza ed intitolata
<Ochoa, himalaysta ghiaccio e sapone>.

Perché sei stato nel Khumbu?
Per fare un  piccolo giro di acclimatamento prima di andare in Tibet. Sono già stato 23 volte in Nepal, 8 in Tibet e 7 in Pakistan, ma mai di febbraio in Himalaya. Qui ho potuto trovare una prima sensazione dell’inverno, e comunque andare in Tibet costringe a una prima brusca notte in quota, fastidiosa se non sei acclimatato. Questa settimana di trekking mi ha permesso di trovare un equilibrio dopo la partenza (devi riequilibrarti su tanti piani, anche quello sentimentale, organizzativo, la tua situazione economica a casa...) e per questo basta una settimana in Khumbu, così ho ottenuto la concentrazione, una focalizzazione della mia motivazione, dell’equilibrio e… un po’ di globuli rossi in più. Ma quella più importante è la parte psicologica. Perchè devo andare in Tibet, ecco perchè stavo nel Khumbu.

Parlaci invece del K2.
Il K2 sono 11 anni della mia vita, un maestro che  mi ha insegnato più di ogni altra persona: Nel 1994 al versante nord succede un incidente con una corda fissa e io sono caduto 80 metri e mi sono rotto un braccio, il naso e 3 costole e ho avuto la fortuna di avere amici italiani e spagnoli che mi hanno aiutato. Dopo l’incidente 4 dei miei amici vanno in vetta tra il 30 luglio e il 4 agosto, in vetta con bufera e 2 bivacchi. Uno di questi, Atxo Apellaniz muore 7 giorni dopo la salita alla vetta di complicazioni da esposizione all’altitudine e sfinimento. Da questa spedizione ho imparato di più che in altre 20, il K2 è rimasto impresso nel mio sangue. Non ritorno al K2 fino al 2002, dove vado come guida per una spedizione, ma la neve ci ha ricacciati indietro, anche nel 2003 il vento e l’essere tardi all’attacco alla cima ci fa fallire.  Nel tentativo del 2004 avevo più da perdere che da guadagnare, se non fossi andato in cima avrei dimostrato la mia inferiorità, se fossi andato nello stesso modo degli altri avrei dimostrato che in fondo non era tanto impegnativo. Invece per me è stato il modo giusto di farlo, nel migliore delle condizioni: vado in vetta se posso, senza ossigeno, magari aiutando gli altri. 
Magari avrei potuto sognare vie alternative, ma il K2 è una “macchina” che ti riporta alla realtà. Una volta al base ho fatto quello che ho potuto, ma per tre settimane non vedevo equilibrio, sul totale della popolazione per me 20 alpinisti erano ok e 100 non. 
Il K2 è stata una montagna da cui Kukuzca è dovuto tornare in elicottero, una montagna per altri alpinisti con grande esperienza, io vedevo invece gente senza esperienza, l’ho detto ad alcuni di loro. Un giorno un francese mi ha risposto: “sono solo 500 dollari in più rispetto al G2 (basta cambiare G in K)”, con questo non mi sentivo a mio agio. Gli alpinisti forti erano già raggruppati. La mia spedizione era quella di Pancho Villa, non mi piaceva, ma era la realtà. Dopo tutte queste circostanze volevo andare in vetta, ma l’ho capito solo in vetta, dopo tante altre volte oltre gli 8000, ma sul K2 ho pianto, vedendo la Nord, e temevo di disidratarmi dalle lacrime. 
C’era la traccia e la corda fissa, ma per me è stata una montagna diversa da ogni altra. Al K2 non avevo niente da guadagnare come professionista ma volevo un risultato per me, la via è fantastica: lo sperone Abruzzi. Ho fatto una prima puntata a campo 2 dove ho dormito poco sotto i 7000 metri, poi un fastidio ad una mano per il freddo mi ha fatto rientrare. 
La volta successiva sono salito direttamente al 2 e poi al 4. In cima sono arrivato il giorno dopo alle 7:30 di mattina, dopo sei ore di salita. Ma la discesa è stata emozionante, quando appena sopra il campo 4 non riuscivo a trovare il percorso in una bufera improvvisa, una nuvola lenticolare di prima mattina, poi è stato brutto per una settimana. 
Dopo aver ascoltato questa storia in una conferenza mia madre mi ha regalato un GPS.

Perchè ora vai allo Shisha Pangma?
E’ un progetto che ho da tempo, perché per me una solitaria è quando non c’è nessuno sulla montagna, gli esempi ce li hanno dati Messner, Vielizki, La Faille, Begin, pochissimi alpinisti Himalayani, questo è strano. Eccomi alla fine dell’inverno in un progetto che permette di esprimermi. Io penso che le scelte alternative per un’alpinista possano essere: una nuova via, una ripetizione, un’invernale, una solitaria, una salita express e l’ultima è il collezionismo delle grandi montagne. Il migliore alpinista comprende tutto. 
Messner ha fatto di tutto meno l’express, Benoit ha fatto l’express, io ho fatto del collezionismo, ho fatto express, poi ho anche tentato ripetizioni di vie, non ho mai fatto vie nuove, non sono uno specialista della difficoltà, ma una solitaria vera e propria non l’ho mai fatta. Ho sempre pensato che i solitari sono forti mentalmente, e dopo 15 anni e 30 spedizioni mi sento al punto giusto. 
Ma è sempre possibile che non arrivi in vetta. Ora ho anche gli sponsor, ma questo rimane un alpinismo rischioso e d’elite, come è nella storia delle Alpi.
Alpinismo solitario in Himalaya: tanti che hanno soldi e sponsor non lo fanno, perché non lo hanno mai fatto? 
Perché non sono andati d’agosto a Rongbuk per salire l’Everest?
 

Tanti alpinisti con esperienza che scompaiono in Himalaya, perché?
Sono 10 alpinisti che dicono che hanno fatto tutti gli 8000, ma tanti più di 10, sono vicino al traguardo dei 14 ottomila: Chamoux, Inurrategi, Garces, Parl, Nazuka, Boukreev, Ruedi, e tanti altri, Begine, l’elite inglese e francese sono completamente scomparsi. 
Il messaggio è “l’Himalaya te mata”, uno come Messner ha avuto tanta fortuna, normalmente hai 50 % di probabilità di riuscire, molti hanno usato dei supporti esterni (ossigeno, corde, sherpa), e senza questi la probabilità sarebbe stata ancora meno. 
Alex Mc Intyre è morto per una pietra alla sud dell’Annapurna, sua madre pone una tavola incisa: “meglio 1 giorno da leone che 100 come pecora”, io dico meglio vivere 100 anni come una tigre, ma quando si guarda l’Himalaya si vede che là muoiono tanti, è facile morire e hai una responsabilità su 20-30 persone che ti amano (se non altre 200-300). Per questo devi mettere sulla bilancia da una parte: l’ego, l’ambizione e la pressione di media e sponsor (che sono spesso collegati), da l’altra che tipo di persona sei e devi domandarti voglio rischiare tutto per questo o meglio trovare un sistema per restare rivo? Io ho questo vantaggio, il coraggio di tornare indietro, nei primi 7 anni del mio himalaysmo ho imparato a tornate indietro: 7 anni col 30% di successo, ero contento e non volevo questo (la schiavitù dagli sponsor), che ritengo “mierda”, perché se seguo questo muoio. Devo trovare io il sistema, ora che sono professionista uso la stessa filosofia, torno indietro se non è perfetto. Se tutto va bene do il 120 %, ma se c’è qualcosa che non va bene torno. Rispetto la montagna, io ho le gambe, lei no, per il resto lei ha tutti i vantaggi. Io posso con le gambe tornare e preparami meglio perchè ho visto le storie, in generale da tutti ho appreso una possibilità di sopravvivenza.
 

L’ossigeno...
Ho fatto una statistica e ho scoperto che al Cho Oyu il 95 % và “ossigenato”, 10-12 anni fa pensavo all’evoluzione dell’Himalaysmo verso le salite senza ossigeno, oggi invece scopro per esempio che nello scorso autunno al Cho Oyu nel settembre dal 16 al 30  ben 180 alpinisti anche non da spedizioni commerciali salgono con ossigeno. All’Everest negli ultimi anni siamo a una media di 1% senza ossigeno. È impossibile fare nuove vie all’Everest, ma c’è comunque un pò di posto per la creatività, misuriamo una media di quanti fanno solitaria adesso? La Faille l’anno scorso, poi nessuno. Express sembrava una possibilità, ma dopo i grandi di 10 anni fa nessuno lo fa ancora. Per questo l’evoluzione attuale dell’alpinismo Himalayano è una involuzione, ma è sempre la testa che muove le gambe per una avventura nuova, sempre ci sarà qualcuno con qualche idea, sempre meglio pochi e buoni che tanti e “male”. 
Io non voglio fare parte della storia dell’alpinismo, ma voglio che l’alpinismo faccia parte della mia storia. Un alpinismo “ricco” con una serie di montagne in programma (non voglio andare a fare una lista di salite) non è il mio alpinismo. Il trekking per me è altrettanto importante che la cima, che è solo una piccola parte della soddisfazione complessiva in una spedizione, per me tutto è importante, non andrei mai con l’ausilio di un elicottero. Per questo amo il Khumbu, come pochi giorni fa al Kala Pattar dove mi sono sentito commosso come un bambino che aspetta un regalo. Anche per questo ho studiato e conosco bene la storia dell’alpinismo, ma per appartenerci mi sembra di essere nato troppo tardi. Non sono un pioniere, ma per me le alte montagne sono sempre una conquista.
 

Il piano per lo Shisha.
Una salita in solitaria deve essere il più semplice possibile, con una filosofia un pò minimalista, semplice perché la mia forza è limitata, quindi deve essere estremamente semplice. Mi sono allenato come una bestia, come chi va a giocare al calcio, come Pelè.
Come ora, dopo Messner, non è semplice ma non è impossibile, senza altri, senza bottiglie di ossigeno, senza corde fisse, ma se serve una corda di sicurezza solo per un brutto crepaccio. La tattica è di salire in 2 giorni con un campo a 6900 (evitando il C1 e il C3). Facendo la via normale non so come sarà d’inverno, l’equipaggiamento deve essere semplice e leggero, ho bisogno di essere rapidissimo senza andare fuori controllo. Spero di salire in 20 giorni, ma ho un permesso per 30. Se finisco prima del 21 marzo è meglio (così rimane un’invernale standard), ma se vado in cima il 25 è esattamente uguale.
 

Il piano dopo lo Shisha.
Voglio fare qualcosa in primavera come all’Annapurna, e magari, dato che è li vicino al Daulagiri, ho trovato degli amici Italiani e Peter Gugumoss, che hanno i permessi per questo. Forse l’idea per il Daulagiri potrebbe essere una salita express, un omaggio a Bukreev che lo ha salito in 17 ore e 15 minuti, un gesto in ricordo di un amico, per dire ho imparato qualcosa da te, seguo il tuo cammino. All’Annapurna è differente, è una montagna importante per i “collezionisti”, non conosco la faccia nord e vediamo, poi, di fare un tentativo con Ed Viesturs (gli manca l’Annapurna), se la considererò troppo pericolosa per la mia concezione tornerò indietro.
 


Mi hai detto che tra l’inverno e la primavera incontri la tua ragazza?
È vero che nella nostra vita è difficile avere una relazione, sto tentando di trovare un equilibrio, spero che lei venga nel tempo tra Shisha e Daulagiri almeno per 10 giorni. A proposito della nostra vita personale vorrei dire che tante volte siamo accusati di essere egoisti, ma penso che siamo un pò una fonte di ispirazione per la gente che ha una vita normale, che chi ci circonda riceve un pò di questa energia che noi a nostra volta riceviamo dalle montagne. Forse questa e’ un po’ auto giustificazione, ma mi sembra di no. Quando mi domandano che cosa e’ il peggio tra i disagi che affronto come: freddo, vento, crepacci, la valanga, rispondo: è il “celibato”. 

Come va’ con gli sponsor?
Per 13 anni non ho avuto nessuno sponsor, per 13 anni ho anche fatto spedizioni per mangiare (come guida), dal 2003 ho cercato il mio cammino, ho cercato di capire se potevo limitarmi a fare la guida o se potevo andare oltre. Poi ho trovato due sponsor: il Diario de Navarra (quotidiano) e Lorpen (calze tecniche d’alpinismo) e per me è stato fantastico perchè questi vogliono affiancare la loro immagine alla mia persona, hanno piena fiducia in me, e in 3 anni mai hanno fatto pressione, io vado dove voglio e con chi voglio, non mi arricchisco, ma posso fare quello che voglio, posso sognare, ora posso permettermelo, il che è una fortuna nella nostra civiltà.
 

Che ne pensi di essere una guida di spedizioni commerciali?
Queste sono legali, ma tutto dipende dall’organizzazione, si va’ dai pirati a gente che fa una professione degna, noi siamo dei paesi alpini, per noi è semplice andare tutti i week end in montagna, ma tanti non hanno questa possibilità e quindi scelgono una spedizione. Accompagnare dei clienti in quota? Questo è morale nelle Alpi e in Himalaya, ma sulle quote estreme non si può fare proprio “la guida”, ma il consultant, come Bukreev, la gente (i clienti) deve essere capace di fare la sua parte in una spedizione. 
Quindi il lavoro importante dell’organizzatore è la selezione, prima e durante la spedizione. La guida è tra il capo e i clienti, qualche volta il capo decide quanti devono andare in vetta, della spedizione io non sono il capo, forse la mia prospettiva è troppo romantica, in realtà succede che si compensi l’impreparazione dei clienti con più ossigeno e più sherpa. 
Per me è possibile una nuova prospettiva, ma la realtà è diversa. Sarei incazzato se ci fossero spedizioni commerciali a tutte le montagne, ma non è cosi, però è anche vero che fino al 2004 non c’erano spedizioni commerciali in stile Everest al K2.

Come ti alleni?
In cifre circa 200.000 metri di dislivello all’anno, 940 ore l’anno scorso, allenamento basico come la corsa a piedi e lo scialpinismo, ma anche camminando con i bastoncini, poi con gli sci da fondo e poi arrampicata su giaccio e roccia, che molti himalaysti trascurano. Il tutto in ambiente di montagna, possibilmente col freddo. Sono molto serio sull’allenamento, perchè ho visto la differenza, inoltre rispetto ad altri sportivi noi himalaysti a 35 anni siamo al massimo, ma è anche possibile che delle buone condizioni rimangano basicamente le stesse per tutta la vita sportiva. Quindi devo essere serio, allenamento in continuità con serenità, non monacale ma serioso. La psicologia? Il tuo nemico maggiore è il divano, la televisione e il bar, i soldi, la macchina... Bukreev non aveva niente, correva 10 km per andare a scuola, se arrivava tardi il maestro lo picchiava, quando tornava a casa se arrivava tardi non mangiava. 
Noi abbiamo tutto assicurato, e loro non avevano niente, devi sapere che hai del tempo per far delle cose, la tv ti fa finire lì davanti a lei. Reazione Psicologica = oggi è brutto? Vado! Questo giorno vale per due, questa è la parte psicologica che diventa importante anche fisicamente. Quando torno da una spedizione ho una pausa nell’attività, riparto poi da una posizione di equilibrio (ci vogliono anni per capirlo) l’anno scorso sono stato tranquillo fino al 15 ottobre poi ho cominciato con 15 km verticali in un mese, 16 km nel secondo mese, poi 21, 26…Cerco di più il volume rispetto alla qualità specifica degli allenamenti intensivi. La mia preparazione e’ un pò personale, non è un grafico costruito, ma mi adatto alle mie condizioni e alle mie tendenze.
 

Cosa temi di più di questa spedizione?
Se ho una paura è quella di fallire a me stesso, il non essere stato sufficientemente onesto con me stesso nel propormi un obiettivo troppo alto. Fisicamente temo il tempo, il vento, i crepacci ma con questi posso fare un compromesso, voglio avere la testa chiara e poter leggermi dentro. Questa esperienza (della solitaria) stava già a casa mia come un cane che voleva uscire. Questo è il momento giusto per fare questa cosa, ho le condizioni giuste dentro e intorno a me, il che è importantissimo.

Il cibo.
Nella mia vita non mangio carne, ma pesce, per me è importante, per me dobbiamo apprendere dagli orientali, non sono vegetariano, ma ho visto degli sherpa che hanno sopravvissuto anni in altura, se avessero voluto potevano avere da noi il cibo degli occidentali, ma preferivano un piatto grande di “dhal-bat” (riso e lenticchie), ciò rende tutto il loro corpo (così per esempio la dentatura) perfetto per l’altura. Per me era chiaro fare lo stesso, facendo i trekking nessuno dei clienti lo mangiava, avevano sempre ordini di cibo diverso, ma non dhal-bat, questo mi ha insegnato che non è naturale avere la “pasticceria” in alta quota, ma il cibo semplice, come la patata, il riso, la lenticchia, cerco di seguire questa filosofia. In altura per me meglio salato che dolce, oggi per la mia solitaria ho speso 50 dollari per formaggio e prosciutto, al campo base mangio come il mio cuoco, ma poi mangiare diventa più importante di quello che  si pensa. 
Per il bere ho una regola radicale, l’unica, prima di dormire devo aver bevuto 4 litri di una qualsiasi bevanda liquida. 
Conto mentalmente la quantità di liquidi, è uno dei miei segreti, se non fai attenzione tu a te stesso, nessuno lo fa. 
Per me questo è basico, basta pisciare sempre chiaro chiaro. Lo stesso quando fai un tentativo e ritorni, così quando le urine tornano chiare sai che sei di nuovo pronto.