Rock>> | ||||||
“Per prima cosa devo fare la tua scheda, Beppe… per
presentarti ai lettori di Intraigiarùn. Classe?” “Che attività sportive facevi o hai fatto da ragazzo?” Interviene il figlio Michele: “Si, ma dilla
tutta, che andavi con una bici da donna e facevi anche 120 chilometri al
giorno” “Beh, sì – se la ride Beppe – Non
c’era mica altro a quei tempi… Poi ho iniziato a sciare con il Cai di
Bologna di cui mi ero fatto socio; andavamo al Corno alle Scale e
frequentavo le gite estive che si facevano con il pullman”. Incalza ancora Chicco: “Si, ma al Corno ci andava quando
non c’erano ancora gli impianti; salivano con gli sci in spalla e
facevano una sola discesa e poi a casa perché la giornata era oramai
spesa”. Beppe sorride divertito e conferma, forse senza rendersi
conto che, in tempi di seggiovie carenate e di cabinovie a sganciamento
automatico in cui già lo skilift è attrezzo preistorico, pensare di
salire una montagna con gli sci in spalla per fare un’unica discesa
appare agli sciatori di oggi pura fantascienza. Solo gli sci alpinisti
potrebbero capire, e pur sempre avendo il vantaggio di salire con le pelli
di foca sotto agli sci. “Avevo gli scarponi che imbarcavano acqua ed ero vestito
da soldato. Erano tempi grami e si faceva quello che si poteva. – e continua – Una volta mi vennero a prendere a
casa per farmi partecipare ad una gara di sci di fondo perché si erano
accorti che una persona in più avrebbe fatto vincere la coppa del gruppo
più numeroso. “Come ti sei avvicinato
all’arrampicata?”
“Come eravate attrezzati a quei
tempi?” “Ci si legava la corda in cintura perché ancora non
c’erano imbragature, si faceva la sicura a spalla, sapevi di non trovare
chiodi, ma si andava. Allora, fino al 4°+, non c’erano chiodi, neanche
di sosta, c’erano quelli di calata e basta; ricordo di averne trovato
solo uno sul passo di 4°+ della Torre Delago. Si faceva sicurezza a
spalla e senza auto assicurazione. Ti mettevi su una cengia o dentro ad
una nicchia, cercando la posizione più sicura per poter trattenere un
eventuale volo. Ricordo la parete del Pissadù: andavamo là perché il
rifugio Cavazza è del Cai di Bologna e su quella parete che sta sopra al
rifugio non c’erano chiodi. Si andava con il treno e la corriera perché
non c’era altro, per cui l’attività era molto limitata, mica come
oggi che con l'auto si va e si torna in giornata”. Parla di getto, Beppe, e l’entusiasmo
gli si legge ancora negli occhi ed è stampato sul suo sorriso. “L’inizio delle vacanze era così: minimo in due ma a
volte anche quattro o cinque, si partiva da Bologna alle 5 del mattino con
il treno fino a Ora, si prendeva il trenino della Val di Fiemme (era a
carbone ed a scartamento ridotto), si proseguiva in corriera fino a Vigo
di Fassa. Si saliva in seggiovia a Gardeccia e da lì si faceva una
scarpinata fino al Vajolet e si andava dalla sorella di Tita Piaz. Lì mi
mettevano nella dependance perché russavo troppo e non mi volevano in
camerata. A quel punto era pomeriggio, gli altri andavano a letto a
riposare ed io, da solo, salivo a Punta Emma. - Fa un sorrisino compiaciuto e aggiunge –
io non ero stanco, avevo il fisico…” “Come sei finito sul Campanil Basso di
Brenta con Cesare Maestri?” “Nel 1956 il mio secondo era militare per cui ho pensato
di andare a frequentare il corso roccia con la Scuola Graffer. Nel 1957 mi
sono sposato ed ho smesso di arrampicare e una volta trasferito a Ferrara
sono diventato un “barcaiolo”. Qui non c’era molto e poi badavo
soprattutto alla famiglia ed avevo due bambini. Interviene Chicco, interrompendo per un
momento il suo lavoro.
Poi è ancora Beppe che riprende il
discorso. “Ricordo anche che arrivato all’attacco dello spigolo
Delago non riconobbi il terrazzino. In effetti, non c’era più e
successivamente mi dissero che era crollato proprio mentre due persone
c’erano sopra e si stavano preparando per la scalata. Precipitarono sul
versante che guarda Bolzano con una caduta di oltre 600 metri.
Impressionante”. Riportiamo il discorso su quella foto in
vetta al Campanil Basso assieme a Cesare Maestri. “Maestri quell’anno era il direttore della Scuola
Graffer. Oltre a lui mi ricordo di Milo Navasa e di altri due istruttori,
uno era del posto, l’altro era un fiorentino, ma non ne ricordo i nomi. Non nascondo una certa sorpresa: “Se
eri allievo, come mai facesti sempre il capocordata?” “Ti affidarono una bella responsabilità”. “Devi tenere conto del fatto che eravamo a fine corso e
oramai mi conoscevano bene. C’era una grande fiducia e, del resto, io
fui molto scrupoloso nel rispettare le consegne di Cesare Maestri. Lui e
l’altro scesero slegati, arrampicando lungo la via normale e, ti
assicuro, fu uno spettacolo incredibile vederli. Correvano al Campanil
Alto a dar man forte a Navasa che aveva il gruppo più numeroso da
controllare. Maestri lo ricordo molto giovane, quadrato ed enorme, con una
forza fuori dall’ordinario. Lo vedevi arrampicare e ti dava proprio
l’impressione della forza esplosiva. Milo Navasa dava meno
quest’impressione: era più alto di Maestri e più longilineo”. Facesti il corso di roccia quell’anno,
ma in pratica tu smettesti di arrampicare di lì a poco. “Come ti ho detto mi sono sposato nel 1957, l’anno
successivo a quello del corso, ed ho smesso di arrampicare. Hai ripreso ad arrampicare giusto trent’anni dopo, nel
1983. Volevi avviare il tuo figliolo alla montagna? “No, no – ci tiene a precisare Beppe –
fu
lui a chiedermelo”. Interviene Chicco che era rimasto in
silenzio ad ascoltare il padre nel suo racconto: “Era capitato di andare in montagna – riprende Beppe Scuccimarra – e
di trovare dei roccioni nel bosco o lungo il sentiero che stavamo
percorrendo. Allora io gli dicevo “vai” e lui saliva senza porsi tanti
problemi: quello gli ha dato l’imput per arrampicare senza chiodi.
Quando mi chiese di portarlo andammo a Badolo ed io gli feci sicura con
una corda da barca, era un cordone a tre trefoli del diametro di 12
millimetri. Se la ride anche Chicco, ricordando quei
tempi. “Dopo quella prima esperienza a Badolo siamo andati ai
Gessi, a Bismantova e più avanti a Teolo. – riprende a
ricordare Beppe – A Rocca Pendice ho fatto tutte le classiche della parete
Est, tranne la Dorna.
|