La misura del tempo che va
di
Gabriele Villa

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Il trascorrere del tempo non si misura con
l'orologio. Lo sapete, vero?
Con l'orologio si misurano i minuti, le ore; si ha un'idea precisa di
quanto manca ad un appuntamento o da quanto tempo si sta facendo una certa
cosa.
Ma il trascorrere del tempo è altro.
E' una dimensione che si misura in anni, ma non solo.
Ne abbiamo una percezione precisa solo quando, astraendoci dall'incalzare
dei ritmi quotidiani, ci fermiamo a guardare con più attenzione le cose o
le persone che ci stanno intorno.
E' allora che ci accorgiamo dei figli che sono cresciuti e diventati
grandi, dei genitori o degli amici invecchiati, proprio così come, del
resto, è successo a noi stessi.
Hai voglia di fare finta di nulla perché, in fondo, tutto continua a
funzionare come sempre ha funzionato: il tempo trascorso trova il modo di
ricordarti che non è così.
C'è un cantante famoso che ha scritto una canzone al proposito ed ha
saputo rendere alla perfezione lo stato d'animo che ho appena cercato di
descrivere.
Recita così la strofa:
"E intanto il tempo se ne va
con i sogni e le preoccupazioni,
le calze a rete han preso già
il posto dei calzettoni".
Così, guardando la figlia cresciuta che sta diventando donna, il cantante
si è reso conto del tempo trascorso e non è importante il
"quanto" è trascorso, piuttosto il fatto che intorno qualche
cosa è cambiato o sta cambiando radicalmente, anche suo malgrado. Non si
ha percezione di ciò quando si è giovani.
E' più avanti negli anni che la sensazione diventa percepibile e, a
volte, trasmette un po' di disagio.
Cosicché succede di guardare con occhi più attenti e il tempo trascorso
ti si materializza davanti agli occhi, solo che fino a quel momento non ci
avevi voluto fare caso.
Ed ecco che ti capita, improvvisamente, mentre parcheggi l'auto sotto
all'abete nel piazzale di Rocca Pendice (quello davanti al cimitero del
paese di Teolo), che ti accorgi di quanto sia diventato grande
quell'albero, ricordandoti di quando sei venuto le prime volte, quasi
trent'anni fa.
Allora, in quello stesso punto, c'era un alberetto che superava di poco il
tettuccio dell'auto e ti ricordi anche di averlo fotografato, proprio a
fianco del figlio dodicenne del tuo compagno di cordata di quel giorno.
Ce l'hai ancora quella foto, da qualche parte, ed ecco che è sufficiente
una breve ricerca per farla saltare fuori, da un quadernetto/diario sul
quale era stata incollata a ricordo di quella giornata di arrampicata
trascorsa.
C'è anche la data: 11 gennaio 1976.
Ed eccolo materializzarsi, improvviso, il tempo che se n'è andato ed i
"quasi trent'anni" assumono un significato tangibile, una
dimensione temporale precisa che non ha senso misurare con l'orologio.
Quasi un terzo di secolo, una generazione, o, come ha detto qualcuno,
"l'equivalente di un batter di ciglia nel contesto della storia della
terra?".
Quell'abete ora è alto quindici metri ed ancora continuerà a crescere,
probabilmente anche quando tu avrai finito di arrampicarti sulle pareti di
Rocca Pendice.
Quella è la dimensione del tempo che và.
Ma così è la vita: un continuo divenire.
L'importante è non pensarci troppo ai trent'anni che sono trascorsi.
Meglio concentrarsi sui prossimi trenta ancora da vivere.
A cominciare da domani mattina.
Gabriele Villa
Ferrara, 12 giugno 2003
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