Lolotte … no grazie!
…ovvero, considerazioni (personalissime!!), su alcune persone e i corsi
CAI.
di Maurizio Caleffi
Chi come me ha avuto la fortuna di collaborare per
diversi anni con le scuole del CAI, e lo ha fatto con passione, rimane
come contagiato dallo spirito che si vive e respira all’interno di essi.
Durante una bellissima vacanza passata in Val Varaita con amici che, come
me hanno in comune questa esperienza, mi è capitato di imbattermi in un
"Corso Cascate di ghiaccio" gestito dalla famosa "Scuola G.
Gervasutti" di Torino (almeno così mi ha detto il gestore, e del
resto non potevo chiedere la tessera a qualcuno di loro!).
La fama di questa Scuola è riconosciuta su tutto il territorio nazionale
e in tutte le strutture CAI della nostra nazione.
Credo si trattasse dell’ultima uscita e a fine cena, come spesso si
conviene, spuntò un proiettore, e su uno schermo improvvisato apparvero
bellissime diapositive di attività in cascata e su roccia.
Oltre che dalle immagini, ovviamente, la mia attenzione fu rapita da ciò
che i vari relatori dicevano agli allievi: se non altro era la possibilità
di vedere all’opera il famoso gruppo istruttori di una scuola così
rinomata!
Per un appassionato cascatista come me, nonché ex collaboratore a vari
corsi, queste immagini suscitarono parecchie impressioni contrastanti. Il
commentatore spiegava alla platea delle varie conformazioni del ghiaccio:
le canne, i cavolfiori, ecc. ecc…: le immagini erano molto belle, ma
soprattutto si riferivano a salite molto prestigiose, del tipo, tanto per
intenderci, "Repentance super" ecc…ecc…
"Cavoli, pensai io, questi sono quelli della "Gervasutti"
e magari il loro è un corso avanzato?"
Ebbi la fortuna, qualche anno fa, di gestirne direttamente uno: lo ricordo
come una delle più belle esperienze fatte sia a livello didattico che,
soprattutto, umano!!!
Gli allievi erano attenti, nonostante la tard’ora, e i loro istruttori
si alternavano con passione nelle descrizioni tecniche delle immagini. Poi
una coppia di ragazzi, ai quali mi ero prestato per dare una limatina alle
loro becche spuntate, decisero di ripagarmi con un buon bicchierino di
"genepì" ed allora fra una chiacchiera e l’altra la mia
attenzione fu dirottata verso quella piacevole conversazione. Mentre i
ragazzi del corso, allievi ed istruttori, proseguivano nella visione e
commento delle immagini, io con i miei amici ho piacevolmente conversato
fino a quando la stanchezza della giornata trascorsa ci obbligò a
congedarci per il giusto riposo.
Mentre eravamo già nei nostri letti, mi ricordo che una delle ultime
frasi dette fu:
" Domani quelli della Gervasutti partono alle 6,00!! "
" Accidenti!!!… questi sono proprio tosti!!! Le cascate sono
abbastanza vicine…. a meno che non abbiano intenzione di andare chissà
dove!?"
La notte trascorse tranquilla…. insomma abbastanza! Era l’ultima per
noi: il giorno dopo dovevamo rientrare a Ferrara poiché la nostra
settimana di ferie era ormai finita. Io avevo un bel mal di schiena e le
mani gonfie e doloranti per tutto quello "spiccozzare". Ad un
certo punto verso le cinque di mattina i primi risvegli si fecero sentire!
Dopo qualche minuto sembrava di essere alla stazione ferroviaria durante
un normale giorno di traffico: rumori di scarponi per i corridoi e su e giù
per le scale, persone che parlavano con un tono di voce ,a mio modo di
vedere, non adatto al posto e all’ora e , incredibile ma vero, rumore di
moschettoni e chiodi da ghiaccio!
Il tutto durò almeno una mezz’oretta e, fortunatamente per me, fu
attutito solo dal fatto che avevo due provvidenziali tappi di cera. Dopo
un paio d’ore venne il nostro turno per la sveglia e radunati davanti
alla colazione non potemmo fare a meno di discutere negativamente
sull’accaduto.
Chiedemmo a Romeo, gestore del rifugio, dove erano andati quelli del corso
e lui ci rispose che erano a "Pineta Nord", praticamente ad un
quarto d’ora di cammino dal rifugio. Sgranammo gli occhi tutti e cinque:
se fino a quel momento ognuno di noi cercava un motivo, un alibi o una
giustificazione per tutto quel baccano, ora ci fu chiaro che c’era
qualcosa che non andava in tutta quella serie di cose!
Tralascio tutto quello che ciascuno di noi, con più o meno fervore, ha
commentato e mi limito a elencare una serie di mie considerazioni. Punto
primo, mi vennero in mente alcune delle parole con le quali l’istruttore
introdusse la sera prima la proiezione delle diapositive:"…desidero
ringraziare Romeo per l’ospitalità… per noi venire qua è un po’
come essere a casa nostra!…". Nulla di più vero!!
Un baccano del genere uno se lo può permettere solo a casa propria! A mio
modesto parere bisognerebbe sempre ricordarsi che siamo ospiti e non
padroni, ed in ogni caso il rispetto altrui è una regola da non
dimenticare mai!
Poi mi sono tornate in mente le bellissime diapositive viste la sera
prima: feci un breve ragionamento e rapidamente mi resi conto che forse
erano adatte ad una serata fra amici o magari ad una di quelle proiezioni
fatte in "sezione" per illustrare l’attività dal punto di
vista dello "spettacolo" e non sicuramente con scopi
"didattici". Troppo spesso l’istruttore cade in questo
trabocchetto (io compreso quando lo ero!!!); ci lascia trascinare
"dall’autoelogio", facciamo spesso vedere quanto si è bravi e
non quanto bisogna esserlo e quanto prima si debba lavorare per arrivare a
questo importante obiettivo! L’allievo non ha bisogno di vedere come
l’istruttore sia bravo a fare il sesto grado, ma deve capire da lui come
affrontare anche un breve passaggio di secondo, cosa mettere nello zaino e
magari come comportarsi in rifugio. D’accordo: l’alpinismo è una cosa
e le regole del buon comportamento sono un'altra, ma credo che
quest’ultime debbano sempre essere messe in primo piano e magari il
compito di un buon istruttore non è solo quello di illustrare come
bilanciare il movimento su una struttura a canne, o come agganciate una
tacca di roccia in dry-tooling: deve trasmettere all’allievo anche altre
cose e forse questa è la parte più difficile!
Quella "vecchia lima" di Gabri, istruttore dalla
"patacca" cucita sul cuore e non sulla giacca, sono anni che
lotta per far capire questa cosa sia agli allievi, sia ai suoi
collaboratori ai corsi, spesso scontrandosi e incazzandosi con altri che
non condividevano questa sua idea. Io stesso a volte faticavo a
comprendere certi suoi comportamenti al limite dell’arteriosclerosi, ma
proprio pochi giorni fa ho conosciuto un istruttore di Gallarate che mi ha
ispirato, fin da subito, rispetto e stima, come se lo conoscessi da tanto
tempo. Lui aveva fatto numerosi corsi e ne aveva diretti alcuni di
cascate: ha deciso di smettere ed ora fa solo attività personale.
Quando gli chiesi il perché di questa sua decisione mi sorprese e
condivisi fin da subito la sua affermazione:
"… troppo tecnicismo! Il CAI non dovrebbe fare corsi di
escursionismo, corsi roccia o corsi cascate. Solo un corso, fatto bene, di
alpinismo perché solo in questo sta rinchiuso tutto il vero significato
dell’andare in montagna!"
Semplicistico, drastico ma, forse, reale!!
Un ultima cosa: prima di partire da Pontechianale osserviamo le cascate di
Pineta Nord. Notiamo con l’aiuto di un binocolo che su una colata bella
ma difficile ci sono ben due cordate da tre impegnate nella salita.
I secondi sembravano abbastanza indecisi e la lentezza con la quale
salivano sembrava confermare questa ipotesi. Subito tutti noi pensammo che
fossero quelli del corso della "Gervasutti".
Io sperai vivamente che così non fosse!!
Meno "lolotte", quindi e più buon senso!
M.Ice
Ferrara, Febbraio 2003
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