Tracce nella neve
di
Massimo Anile
Era di lunedì.
Uno di quei lunedì bizzarri in cui l’aria è tersa come di bucato ed il
cielo un campo azzurro dove pascolano i cirri.
Non era ancora sceso l’inverno anche se la neve si era fatta avanti in
anticipo, pennellando le cime alpine.
Milano era densa di fumi e di rumori, mentre l’umore pesante d’inizio
settimana immusoniva tutti.
Forse c’era un po’ di rabbia per quella domenica scappata via nella
pioggerellina sottile e brumosa.
L’aspettava
sottocasa, con la macchina carica.
Gli sci nuovi sul tetto e un sorriso fuggitivo disegnato in volto.
- I bambini sono a posto? - Le aveva chiesto con apprensione.
- Sì, non c’è problema, oggi dormiranno un po’ di più e
salteranno la scuola, anche per loro sarà un giorno di festa inaspettato.
-
Così aveva aperto lo sportello felice, pensando a quanto tempo era
trascorso dall’ultima loro bravata.
Una giornata rubata alle cose necessarie, una gita controcorrente con
tutte le cose che c’erano da fare appena a una manciata di giorni da
Natale.
- Hai poi deciso dove andiamo? - Gli chiese appena chiuso lo
sportello.
- Svizzera – rispose lui preciso.
- Ma non abbiamo il contrassegno… -
- Lo facciamo in frontiera. Nei giorni feriali non ci sarà molta coda.
-
Poi partirono spediti, infilandosi con la macchina nel caotico stress
della tangenziale.
Il viaggio scorse sereno, con la musica dei Rem in sottofondo.
Giunsero ad Andermatt
in un paio d’ore.
Guidava veloce, lui.
Davanti alla stazione il posteggio era quasi deserto.
Il Glatscher Express, rosso come nelle cartoline, li attendeva
promettente.
Di neve ce n’era per davvero un sacco: muri ai lati della strada,
paravalanghe mezzi sepolti e le creste candide, gonfie di riporto, che
sembravano cavolfiori.
Si vedevano anche solchi di slavina impestare i canaloni più erti.
Salirono sulla prima carrozza.
Il treno partì lento, ma dopo duecento metri la cremagliera cominciò a
mordere sicura il binario dentato.
Ai lati della massicciata c’era troppa neve: suggestivo scenario, certo,
ma che toglieva il gusto del panorama.
Sembrava di salire lungo una pista di bob e faceva senso immaginare la
locomotrice che si infilava in quel solco bianco di latte, e il treno
dietro, come una serpe che arrancava a larghe volte assecondando i fianchi
della montagna.
Anche questo viaggio durò meno del previsto.
Erano arrivati all’Oberalp in un quarto d’ora scarso, senza nessuna
fermata intermedia.
Scesero con gli sci e la borsa degli scarponi a tracolla.
Percorsero con attenzione i pochi metri che li separavano dalla
stazioncina di legno e pietra, lui scostò l’uscio e le fece cenno di
entrare.
Faceva caldo. Troppo e inaspettatamente.
Fu quel caldo improvviso che le lacerò l’anima….
Un’altra coppia era scesa insieme a loro, ma questi avevano preso la via
per gli impianti senza fermarsi, perché avevano già indossato gli
scarponi.
Forse, se avessero seguito il loro esempio, lei non si sarebbe lasciata
trasportare dal ricordo indotto da quella ventata di caldo.
Era stato un anno fa.
Mancava poco a Natale, anche allora.
E anche allora c’era parecchia neve sulle montagne.
Si era accorta di avere un porta aperta nel cuore, nella sua vita felice
piena di progetti e di impegni, piena di vitalità ed energie.
Quella porta si era aperta con lentezza, ma anche con una sua
inarrestabile corsa, ed aveva soffiato sopra il suo mondo un vento forte
di provenza, un fohen primaverile che le aveva scompigliato i pensieri e
arruffato tutte le convinzioni.
Nello spazio di pochi giorni s’erano ubriacati di un vino particolare,
fatto di sorrisi e tenerezze, che non ha una gradazione visibile
sull’etichetta, ma che lavora dentro come una pozione potente.
La sua diffidenza, la sua sensibilità, non avevano funzionato da antidoti
per preservarla dal bruciore che avvertiva nel cuore durante la notte e
nello stomaco durante le sue giornate senza troppo appetito.
Come per un’adolescente senza strumenti sicuri per dominare la rotta,
questa felicità nuova le stava rubando il respiro, lentamente e
dolcemente, con le piccole e strampalate contraddizioni di una piena che
ha i suoi pur necessari riflussi…
Lui era un uomo dolce e appassionato, un po’ istrione, un po’ bambino.
Aveva tutti gli entusiasmi che gonfiano le vele dell’amore e mani forti
che le serravano la vita e si facevano delicate nell’accarezzarle i
capelli.
Era un uomo innamorato.
La loro isola, giorno dopo giorno, si fece continente che urlava la sua
necessità di essere scoperto e conquistato.
Gli scarponi
scivolarono come calze sul suo piedino ben formato.
Massimo la guardò di traverso, alle prese con un gancio.
Aveva sempre avuto qualche problema nel farsi piacere le scarpe, figurarsi
quelle da sci.
- Mi avevano detto che c’era un sacco di neve, ma davvero non pensavo
tanta. Piercarlo è affidabile, come sempre. Sia che si tratti di un
parere legale, che di un consiglio sul weekend. -
Una volta sistemati, si misero in marcia verso il colle.
- Ho sentito Luberti, forse quella casa di Bergeggi è davvero in
vendita. Non è proprio sul mare, ricordi? Ma ha un terrazzo che fa a caso
nostro. Non penso ci voglia speculare su… -
Lei gli sorrise senza rispondere.
Due o tre mesi prima aveva ricevuto una mail.
Parlava di Camogli.
Ad ognuno la sua riviera, pensò.
E rammentò quel giorno pazzesco di un anno prima, mentre seguiva le peste
del marito sulla neve.
Sapeva che da un’altra parte c’erano altre tracce. Chissà se qualcun'altra
le avrebbe seguite, così come lei stava facendo con quelle di Massimo?
Era felice di seguirle, non c’era un altro sentimento a contrastare
questa ferma convinzione.
Non c’era neppure del rimorso, forse solo nostalgia.
A volte è necessario abbandonare la pista, era la consapevolezza di una
donna che glielo mormorava nell’orecchio, non l’intemperanza di una
ragazzina curiosa.
Proprio così: si ritorna sul sentiero, dopo aver colto una fragola se è
estate o un ghiacciolo sottile e freschissimo da succhiare nelle giornate
di sole della tarda primavera sciistica.

Ma quando giunsero alla
seggiovia, qualcosa accadde.
Davanti, oltre all’ultima gobba del passo, era apparsa una montagna
bellissima.
Non l’aveva mai vista e non ne aveva mai viste di così belle.
E le venne un tuffo al cuore pensando a come sarebbe stato bello salirla.
Sopra non vi erano impianti e neppure una logica via di accesso, almeno
per quanto potesse vedere.
Ma guardando bene, sulla neve polverosa, in direzione di un pendio
impossibile, si inerpicava una striscia di salita.
Su quel percorso gravavano masse instabili e pericolose, eppure la traccia
pareva non curarsi di ciò, avanzava prudente, con immaginata paura, ma
senza interrompersi.
Una due tre svolte, dentro fuori dentro fuori dai pendii gibbosi
dell’avancorpo, fino a scovare un passaggio che la portasse in cresta,
in pieno vento e in piena luce.
Prese la seggiovia e chiuse gli occhi, sentiva la pelle aprirsi ai raggi
feroci del sole, come quel giorno sulla scogliera.
E l’aria fredda e pungente che le strizzava i seni.
Quando il seggiolino l’ebbe portata in alto, si sentì bene, lontana
eppure vicina a se stessa, come se avesse appena creato un disegno
riuscito ed armonioso.
Cercò ancora la traccia sulla neve.
Vide un uomo che saliva, lento, solo, con i suoi sci e le pelli, verso la
montagna bellissima.
Era lontano, ma visibile.
Si fermò, sfilò lo zaino e volse lo sguardo nella sua direzione.
Le parve di vederlo sorridere, mentre si riposava.
Chiuse gli occhi e il fiato della vita, profondo come non l’aveva mai
sentito, iniziò a soffiarle sul cuore.
Massimo Anile
Milano,
2007
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