Il colore del pericolo
di
Roberto Avanzini
Che colore ha il pericolo?
Bianco e rosso, come i numerosi simboli che caratterizzano le nostre
strade?
Rosso, come negli interruttori elettrici?
Giallo, come la paura dello sviluppo economico cinese?
Nero, come nelle fiabe, dove l’orco è sempre scuro?
Certamente tutti questi colori nella nostra esperienza quotidiana non sono
molto rassicuranti, ma talvolta se ne possono aggiungere altri, del tutto
inaspettati.
Per me da qualche giorno il pericolo ha un colore grigio-biancastro
leggermente lucente e un aspetto informe e filamentoso. No, non si tratta
di un virus o di una medusa urticante, ma di ciò che rimane di
un’ottima corda da arrampicata seminuova. Perché?
Siamo
in tre, io, Enrico e Luciano, in una falesia che stiamo attrezzando e ci
alterniamo nelle salite.
Stiamo già arrampicando da alcune ore sulle vie chiodate precedentemente
ma in conclusione di giornata abbiamo programmato di sistemare una via con
roccia a buchi, peraltro molto
bella.
L’ultima via che abbiamo salito, proprio nei pressi della linea
individuata, finisce su una specie di cengia al di sopra della quale c’è
la catena di sosta. Enrico, dopo aver passato la corda nel moschettone di
calata, decide di spostarsi di parecchi metri a sinistra e di passar la
corda anche nella catena sistemata precedentemente sopra la via che
volevamo chiodare, infatti anche questa finisce sulla medesima cengia.
Successivamente si fa calare fino alla base. Enrico si offre di procedere
da solo al lavoro, così io e Luciano possiamo continuare ad arrampicare
sulle vie vicine, tanto sarebbero bastati pochi minuti.
Leghiamo un capo
della corda su un ancoraggio alla base della parete mentre Enrico risalirà
con due nodi autobloccanti dall’altro capo; la corda passa addirittura
per due catene, quindi siamo più che tranquilli. Tiro fuori il
tassellatore dallo zaino e lo passo ad Enrico, che se lo carica assieme a
tutto il materiale ed inizia la risalita sui prusik.
Mentre arrampico sulla via a fianco vedo che tutto procede
tranquillamente, solito rumore (poco piacevole) del tassellatore, solite
nuvolette di polvere, solito lavoro di martello e chiave inglese.
Mi concentro sulla salita e dopo poco sono di nuovo alla base della
parete.
Intanto il nostro compagno ha finito e con alcune manovre passa la corda
solo nella catena sopra la via chiodata.
A questo punto io riordino sul telo “antipolvere” la parte di corda
libera, Luciano assicura Enrico con il "grigri", e siamo pronti per calarlo
alla base.
Ci sono momenti in cui istintivamente ti accorgi che c’è qualche cosa
che non va, non capisci bene ma hai come un presentimento che ti mette in
allarme, beh..... a noi non è accaduto!
Mentre stavamo calando il nostro amico io sbrogliavo la corda che si era
un po’ attorcigliata e la passavo a Luciano.
Improvvisamente mi ritrovo con un ciuffo di fili grigiastri in mano.
Mi blocco ma non capisco, guardo la corda e pian piano realizzo che è
quasi completamente tranciata!
La guaina esterna era totalmente partita e di una decina di trefoli
interni ne rimanevano integri tre.
Non ho avuto una reazione particolarmente intelligente,
di quelle che si raccontano agli amici di arrampicata per farsi
vedere duri ed esperti, non ero nemmeno spaventato, ero semplicemente
stupefatto!
Passati due o tre secondi istintivamente ho iniziato a stringere
fortissimo la metà della corda che correva verso l’assicurato e ho
detto: “Luciano, blocca!”
Senza entrare troppo in particolari, abbiamo fatto risalire Enrico
alla cengia e lo abbiamo calato tramite un’altra corda.
Cosa era accaduto? Una cosa molto semplice.
Se si risale una corda dinamica (cioè elastica) bloccata da un lato questa si allunga e
si accorcia di continuo, pochi centimetri che però
se strofinano contro uno spigolo della roccia lo fanno sempre nello
stesso punto e ciò è sufficiente a consumare le fibre della corda.
Figurarsi poi se questa passa due volte sullo spigolo di una cengia come
nel nostro caso.
E’ una cosa molto nota, vi sono stati anche recentemente degli incidenti
per questa causa, io stesso sto molto attento e non risalgo mai una corda
dinamica con questo sistema; perfino con le corde statiche (cioè rigide)
bisogna porre la massima attenzione agli attriti.
Quel giorno però nessuno di noi ci ha pensato, forse traditi dal senso di
sicurezza che le falesie danno, ma sarebbero bastati un altro paio di
metri di risalita sui prusik e la corda si sarebbe tranciata.
Purtroppo, data l’altezza, le conseguenze sarebbero state probabilmente
gravi.
Tornando ad aspetti più tecnici, nel caso si proceda in cordata il
rischio è quasi inesistente, perché se la corda dovesse scorrere su uno
spigolo la parte interessata cambia in continuazione (comunque voi evitate
gli spigoli e allungate i rinvii, la corda vi ringrazierà ed eviterete di
tirare come somari, e poi ...... non si sa mai!)
Perché lo racconto? Per un solo motivo, perché altri non commettano lo
stesso errore.
Non risalite mai una corda fissa
elastica, a meno che non ne siate costretti e non prendiate tutte le
precauzioni del caso per non farla strofinare contro la roccia.
Altrimenti, nella migliore delle ipotesi, potreste scoprire che il
pericolo può avere un colore inconsueto.
Roberto
Avanzini
Novembre 2007
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Corde da
Alpinismo: "anima" interna e "calza" esterna di
protezione...... migliaia di sottilissimi fili intrecciati. |
Bruciatura
da sfregamento su un cordino da prusik dopo una discesa in corda doppia
arrestata bruscamente. |
Foto di repertorio
(archivio intraigiarun)
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