"Una sera sulla Schiara"
Il racconto di Checco
di Gaetano Soriani
“Ogni volta che sono andato in montagna ho potuto verificare la
profondità dei miei sentimenti per lei.
Tu non hai mai pensato di portare una donna con te?
Sono convinto che ti sarà capitato almeno una volta.
E quando un alpinista immagina di portare con sé una donna in montagna,
è perché ha una relazione intima e l’amore che prova per lei è puro.
Io, credimi, sono anni che sogno di portare con me Minako.
Anche tu, il giorno che amerai veramente una donna, vorrai portarla
lassù.”
Yasushi Inoue
"La corda spezzata”
Qualche anno fa mentre salivo al Rifugio 7° Alpini sulla Schiara mi
successe un fatto curioso.
Era un afoso pomeriggio di fine giugno e grosse nubi all’orizzonte
facevano prevedere un temporale a breve.
Lasciata l’auto in località Case Bortot mi avviai di buon passo per il
sentiero verso il rifugio dove avrei raggiunto alcuni amici che mi
avevano preceduto il mattino.
Dopo un’oretta, quando oramai il temporale era imminente e c’era già
odore di pioggia nell’aria, superai un uomo sulla settantina che
zoppicava vistosamente e che si aiutava con un bastone.
L’abbigliamento e l’espressione del viso erano quelli tipici di un “uomo
d’alpe” cotto dal sole e avvezzo ad ogni sorta di fatica.
Gli oltre ottocento metri di dislivello da Case Bortot al Rifugio 7°
Alpini non sono certo una passeggiata e quell’uomo ebbe tutta la mia
ammirazione perché nonostante fosse menomato riusciva a tenere un passo
di tutto rispetto.
“Mi sa che prenderemo il temporale” gli dissi mentre lo
sorpassavo.
“Cosa vuol che sia - mi rispose - in montagna in questa
stagione bisogna metterlo in conto”.

Lo rividi al rifugio prima di cena e sedetti vicino a lui.
Io ero riuscito ad arrivare al rifugio appena in tempo prima del
temporale, lui no.
Mentre aspettavamo di cenare ci mettemmo a parlare del più e del meno e
rimasi attratto dalla forte personalità del mio interlocutore, non era
molto loquace ma qualcosa nell’espressione degli occhi tradiva un
temperamento vigoroso e tenace.
Era sicuramente un personaggio conosciuto perché il gestore del rifugio
lo salutò calorosamente chiamandolo per nome.
Quando arrivarono anche i miei amici ci stringemmo nel tavolo per far
posto anche ad un’altra comitiva.
L’uomo mi incuriosiva sempre di più, ma non sapevo come mantenere viva
la conversazione che inevitabilmente dopo qualche battuta si esauriva.
Per contro l’appetito non gli mancava e non disdegnava neanche qualche
bicchiere di vino.
Dopo cena il tempo si era schiarito, in giugno le giornate sono molto
lunghe e i miei amici come altri turisti erano usciti a godersi la
serata nel prato davanti al rifugio.
Rimasi al tavolo con il mio misterioso compagno deciso a scoprire
qualcosa di più sul suo conto.
Con la scusa di finire l’ottimo cabernet che era rimasto in tavola
cominciammo a conversare, forse l’effetto del vino, forse il clima
familiare del rifugio cominciarono a sciogliere un po’ il vecchio che
cominciò a raccontarmi la sua storia.
Francesco si chiamava ma per tutti era Checco, aveva 75 anni e da quando
era un ragazzo andava per croda.
Aveva iniziato poco più che quindicenne andando a caccia di frodo prima
con suo padre poi, dopo la sua morte con lo zio paterno.
Non era particolarmente fiero di quel periodo, ma era stato il modo per
conoscere la montagna.
La vera passione per la croda però venne molto tempo dopo,
Nel dopo guerra il bellunese come altre zone di montagna fu oggetto di
grande emigrazione, chi andava in Germania o in Belgio a fare i gelatai,
chi andava ancora più lontano a cercare fortuna o chi come lui si
adattava a fare i lavori stagionali più svariati per rimanere fra le sue
montagne.
Aveva fatto quasi tutti i mestieri più umili, il boscaiolo, il
falegname, l’impagliatore di sedie, l’arrotino ambulante, il casaro ed
altri ancora.
Originario di Gosaldo, una piccola frazione fra l’agordino e Fiera di
Primiero, si era poi trasferito a Belluno dove c’era più occasione di
trovare lavoro e proprio a Belluno disse di aver conosciuto anche il
grande Dino Buzzati che definì “proprio un gran signore!”.
Nei primi anni 50 conobbe per caso alcuni ragazzi di Belluno che
andavano ad arrampicare e così per curiosità cominciò la sua avventura e
da quel momento la montagna diventò la sua unica e più grande passione.
Non tardò a distinguersi per capacità e coraggio e nel giro di pochi
anni scalò quasi tutte le cime più importanti delle Pale di San Martino,
della Schiara e delle Dolomiti Friulane.
Ebbe poi l’occasione di conoscere e di scalare con alcuni grandi
alpinisti del momento.
Oramai cinquantenne conobbe una ragazza di Venezia, una giovane maestra
che veniva in vacanza in quelle zone.
L’incontro fu casuale e proprio al Rifugio 7° alpini, la ragazza era
assieme ad una piccola comitiva di giovani dell’Azione Cattolica in
vacanza e lui stava tornando da una scalata sulla Schiara.
Per farla breve cominciarono a frequentarsi.
La giovane era ansiosa di imparare, ammirava di Checco l’esperienza e il
carisma della sua forte personalità che trasmetteva sicurezza.
Ogni estate la giovane maestra ritornava durante le vacanze per
arrampicare con lui ed in breve si instaurò un rapporto molto speciale
fatto di un’amicizia molto forte, di complicità, di voglia di stare
insieme.
L’entusiasmo della ragazza era contagioso, e Checco, nonostante la
diversa estrazione sociale e culturale (lui sapeva appena leggere e
scrivere), quando era con lei si sentiva importante e vivo come non era
mai successo.

Solo la grande differenza di età e il timore di rovinare quel rapporto
così bello e pulito impedirono a Checco di manifestare i suoi sentimenti
alla ragazza.
Le cose andarono avanti per alcuni anni durante i quali Checco trascorse
le estati più belle della sua vita fino a quando successe l’incidente.
Durante una scalata furono sorpresi da un violento temporale, la pioggia
e la grandine rendevano impossibile proseguire.
Nel tentativo di scendere per un ripido canale la ragazza scivolò
trascinando Checco per diversi metri.
Lei riportò solo qualche escoriazione, ma Checco nel tentativo di
trattenerla si procurò una brutta frattura alla caviglia del piede
sinistro, ma anche con il piede rotto riuscì a recuperare la ragazza e a
trovare riparo in una piccola grotta naturale dove bivaccarono e
pernottarono.
Nonostante la frattura scomposta che gli procurava un dolore fortissimo
per Checco fu la notte più bella della sua vita, lui e lei soli su
quella montagna, isolati e irraggiungibili, fuori dal mondo.
Il giorno dopo con mille difficoltà a causa del piede rotto riuscirono a
scendere dalla parete e a cercare aiuto al più vicino rifugio.
Purtroppo la frattura scomposta e gli strapazzi della discesa gli
storpiarono per sempre il piede per cui praticamente non riuscì più ad
arrampicare.
Continuarono a vedersi ancora per qualche estate quando durante le
vacanze estive la ragazza lo andava a trovare ma a Checco non piaceva
farsi vedere in quelle condizioni, poi qualche lettera, un biglietto
d’auguri per Natale e per Pasqua e col tempo persero i contatti.
Da allora ogni anno nel mese di giugno saliva al 7° Alpini dove aveva
conosciuto la bella maestrina di Venezia.
Rimanemmo in silenzio per diversi minuti, forse per la prima volta il
vecchio Checco aveva “scaricato” il peso dei ricordi e si era confidato
con un estraneo.
Era una storia bellissima e commovente e io non sapevo cosa dire.
Il gestore del rifugio aveva già iniziato a spegnere le luci, segnale
inequivocabile che era ora di andare a dormire.
Non so perché feci quella domanda stupida senza riflettere ma mi venne
spontanea, gli chiesi se almeno ne era valsa la pena.
Il vecchio guardandomi ad occhi socchiusi dopo un lungo silenzio rispose...
“Si, io penso proprio di si”.
Gaetano Soriani
Cento (Ferrara). Giugno 2009
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