C'era una volta ...
di Luigi Negri
E’ notte, dolce tempo nero.
Una notte profumata di caprifoglio e di melone.
Lontane, le auto, in una collana di luci.
L’odore dei carburanti catturato dai tigli.
A volte, quando chiudo gli occhi, la prima cosa che vedo è il giardino
dietro una casa sui monti, ai margini del bosco.
In casa, un ragazzino seduto al pianoforte.
Sul leggio c’è uno spartito, ma la tastiera tace, invece di suonare.
Guarda incantato, fuori dalla finestra, il prato e, più in alto, i
pascoli in una nebbia azzurrina.
E poi le guglie, sui corpi rocciosi dei monti.
Su una poltrona vicina, l’amico fraterno lo aspetta, sfogliando un
giornaletto.
C’era una volta
un
tempo in cui quei due ragazzini divennero amici inseparabili, e
crescendo, condivisero la comune passione per la montagna.
Una passione che crebbe col tempo.
Assieme peregrinarono sui monti per anni e anni.
Nell’inverno della neve lenta e nell’estate infeconda che arde la
roccia.
Divennero adulti portandosi appresso un comune bagaglio di ricordi ed
esperienze condivise sugli amati monti. Esperienze di forza e di letizia
su tutte le crode delle Dolomiti.
Difficilmente andavano l’uno senza l’altro.
Appena potevano, correvano tra valichi e valli ad inerpicarsi sui pendii
rocciosi come pellegrini silenziosi.
Poi, un giorno, la malasorte pensò di farsi la tana nei nervi di uno dei
due.
E se lo portò via, in un dicembre freddo come un
dolore.
Da tempo riposa in un
camposanto in cima al mondo.
Passarono molte stagioni durante le quali l’altro non smise mai di
andarlo a trovare.
Qualche fiore, due chiacchiere, un sorriso.
Il tempo è certamente un signore distratto.
Però non dimentica di avvolgere i ricordi nelle ragnatele dell’oblio.
Così le visite cominciarono ad abbreviarsi e poi a diradarsi.
Fino a quando, un bel giorno, l’uomo notò che una gattina aveva messo su
casa vicino alla tomba dell’amico.
Una gattina molto graziosa, dal pelo lungo colore del fumo, non meno
regale e signorile di una regina di Francia. Qualche anima gentile le
aveva approntato un piccolo ricovero nel quale trovare riparo e conforto
all’occorrenza. Cominciò così un lungo e paziente corteggiamento verso
quel gentile animaletto che poco alla volta venne considerato una sorta
di vicino di casa dell’amico scomparso.
Come un inquilino discreto col quale discorrere di quello che, ora, era
diventato un amico comune.
Il tempo e la
pazienza li fecero avvicinare, rispettosi l’uno dell’altro, fino a
concedersi l’uno, qualche carezza e l’altra ad accettare dignitosamente
qualche alimento che l’uomo non dimenticava mai di offrirle.
Le visite all’amico fraterno ripresero con una cadenza regolare, quali
che fossero le condizioni del tempo e gli umori delle divinità. Lui si
sedeva sulla pietra dell’amico e lei di fianco a lui.
Passavano così, vicini, momenti durante i quali il tempo si fermava in
una pausa serena e le fusa della piccola amica, come una nenia dolce e
solitaria, evocavano immagini lontane, dei due amici nelle loro
montagne.
Piano, le immagini uscivano come da un velo di bruma grigia, da un banco
di ghiaia umida…
L’uomo rivedeva le
notti passate all’aperto sotto la luce di carbonio della luna
opalescente… le luci dei villaggi di fondovalle e il rumore dei grilli a
dar voce alle stelle.
Cieli neri come le cantine dell’inferno e l’odore della pioggia che poi
arrivava violenta e obliqua sulle loro facce.
E poi, una volta cessata, soltanto il rumore dello sgocciolio nei
boschi…
Le pietraie striate di neve fresca, il vento di tramontana e la prima
salita: la via Kostner sulla Torre Exner, con il timore, l’attenzione e
la sicurezza benedetti da un cielo che il tramonto imminente colorava di
rame.
E poi il sonno pesante e nero al Pisciadù…
Il suono delle campane dei villaggi e quello delle acque che scendono
dai nevai.
L’inverno dell’alta montagna, neve e rocce, abeti e rifugi sovrastati
dal blu del cielo.
Stretti camini ed
esposti diedri, pareti di rocce gialle e salde placche appoggiate.
Minuscole cenge e ampi terrazzini sul vuoto...
E due caprioli, che danzavano alla luna, con sublime e timida eleganza.
E una sera al roccolo, unico focolaio di rumore nello sterminato
silenzio del bosco, un musicista che spremeva musica dalla sua
fisarmonica seduto su un muretto tra ragazze dalle labbra di fragola,
mentre il fresco della sera avvolgeva ogni cosa.
Ogni volta un ricordo rivisitato, un’immagine riapparsa, un suono
riascoltato.
In quegli istanti i ricordi si facevano nitidi, e forte e chiara
avvertiva la presenza dell’amico, quasi che lentamente prendesse forma e
vita, lì, nei ricordi, fioriti tra lui e la piccola gattina accoccolata
vicino.
Erano attimi di grande emozione.
Nell’incanto di quella tenera compagnia, caddero molti fogli dal
calendario.
Poi, in un pomeriggio di fiori e scirocco, venne a sapere che la gattina
che se n’era andata.
Come ritorna l’acqua al mare.
L’uomo, con i piedi legati dalla tristezza, misurò il dolore a lacrime,
tra le pietre dei chiostri.
Le gocce del suo pianto, furono i silenziosi tocchi di campana, che
scandirono l’ora del tramonto e del loro addio.
Poi venne la sera.
E la notte.
Una notte profumata di caprifoglio e di melone.
La gratitudine ha
corso più forte della malinconia e ora, in cuor mio, vorrei offrire un
ringraziamento affettuoso a quella piccola creatura, per la gentilezza e
la grazia con la quale mi ha donato, col ricordo, la speranza, questo
sogno fatto da svegli.
Ho sempre pensato che gli angeli volassero negli spazi celesti.
Ora penso che qualcuno abbia quattro zampe.
Non sempre dimorano nei cieli.
A volte anche all’altezza delle caviglie.
Ti sia lieve la terra
che ti ricopre, dolce amica.
Luigi Negri
Milano, dicembre 2008
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