Echi di bombe nel bosco
di Gabriele Villa
Dovrebbe essere
l’una, oramai.
Ho appena completato due pile di legna: rami grossi e pezzi di tronco di
varie lunghezze e dimensioni; è incredibile quanto cascame rimanga nel
sottobosco dopo il passaggio dei boscaioli della Forestale per abbattere
le piante da legname. Basta avere la pazienza di sramare le cime
rimaste e i tronchetti più sottili, ugualmente irti di rami troncati,
tutti da tagliare se si vuole far prendere al pezzo la sua forma
cilindrica. Mauri è rientrato a mezzogiorno perché c’erano clienti a
pranzo; io mi sono trattenuto ed ora che ho finito il lavoro m’incammino
a piedi verso la malga, due pezzi di ramo nella mano sinistra, il falcetto
in quella destra.
Sento le prime gocce di pioggia cadere, ma non me ne preoccupo, anzi,
ascolto piacevolmente il fresco picchiettare sulle mie spalle. Quando
passo a fianco del laghetto dell’Enel noto quanto le gocce facciano
increspare la superficie dell’acqua; piove più forte di quanto pensassi
e sta ancora aumentando d’intensità.
Vedo il fuoristrada blu nel piazzale della malga che si muove, scende la
rampa per dirigersi veloce nella mia direzione; è Mauri, premuroso, che
viene a prendermi.
Salgo a bordo, deposito a terra il falcetto, togliendomi i guanti da
lavoro.
“E’ successo un casino a Londra
– dice Maurizio con tono grave – bombe nella metropolitana”.
Lo guardo interdetto, senza profferire parola.
“Le cattive notizie arrivano anche qui, come vedi”
– soggiunge con tono amaro.
Mentre mangiamo in malga, alla televisione scorrono le immagini, arrivano
le prime informazioni frammentarie su vittime e feriti, appaiono i volti
dei “potenti” per le scontate dichiarazioni, le testimonianze dei
sopravvissuti.
Noi restiamo senza parole.
Ripenso agli attentati alla stazione di Madrid, alle immagini surreali
delle Torri Gemelle con i pennacchi di fumo nero e denso che escono dai
piani alti, a quelle, purtroppo oramai quotidiane, degli interminabili
attentati a Bagdad e nelle altre città irachene, con gli operatori che
riprendono con insistenza macchie di sangue che arrossano il terreno.
Senza contare gli efferati delitti della quotidianità malata che la
televisione porta nelle nostre case e a cui, nostro malgrado, stiamo
facendo l’abitudine; noi cittadini del villaggio globale, informati di
tutti i problemi, senza farcene carico di alcuno, concentrati come siamo
sui nostri egoismi.
“Fermate il mondo, voglio scendere”
– era in uso dire, tempo fa.
Io non vorrei scendere, piuttosto vorrei cambiarlo questo mondo, se solo
sapessi come fare.
Intanto, fuori, il cielo è diventato un unico denso strato plumbeo e la
pioggia ora batte fitta sul tetto della malga e sulla copertura della
tettoia; sotto, una comitiva di otto tedeschi vi ha trovato riparo.
“Val Malene, la valle delle lacrime”.
Ricordo di averlo sentito dire l’anno scorso da Claudio, il guardiano
delle mucche al pascolo, qui in valle. Sì, visti i fatti, potrebbero
proprio essere le lacrime del cielo che piange sulle disgrazie provocate
dall’uomo e dalle sue follie.
Gioco con il Bepi, il cagnone di Mauri, mentre lui prepara cappuccini e
bicchieri di latte ai tedeschi che, vista la pioggia insistente, hanno
deciso di rimandare la partenza per il rifugio Brentari.
Alla fine, smette di lacrimare, i tedeschi prontamente partono avvolti
nelle mantelline e, subito dopo, io e Mauri torniamo nel bosco per
completare l’ultimo carico, il terzo della giornata.
Nel bosco, falcetto alla mano, colpo dopo colpo, cerco di allontanare i
pensieri tristi.
Mi piace pensare che la legna che stiamo raccogliendo servirà fra alcuni
mesi a scaldare qualche escursionista infreddolito o bagnato, entrato in
malga a scaldarsi e a rifocillarsi.
Sì, voglio credere che questa fatica si trasformerà in qualche momento
piacevole e sereno per qualcuno; una specie di buona azione con effetto
ritardato.
Il pensiero mi riporta un po’ della tranquillità perduta davanti alla
televisione.
Tornati in malga, impiliamo ordinatamente tutta la legna, poi mi cambio e
mi appresto a partire per il ritorno in città.
Poco più tardi, mentre la macchina corre veloce sull’asfalto della Val
Sugana, pensieri acri girano con insistenza nella mia mente e, come
fastidiosi tafani, pungono dolorosamente la mia coscienza di uomo.
Se potessi, questa notte, vorrei trasformarmi in un abete della Val
Malene, per rimanere sotto la pioggia battente che lavasse via i miei
pensieri e sciogliesse le mie ansie.
Quando, infine, con una mano mi gratto casualmente il naso, sento
l’odore della resina entrarmi nelle narici.
Penso che ho fatto bene a lavarmi le mani senza usare il sapone, così che
quell’odore intenso è rimasto appiccicato a ricordarmi quel bosco in
cui ero andato a cercare serenità, ma che, oggi, purtroppo, è stato
raggiunto dall’eco di bombe esplose lontano, testimonianza delle follie
umane, a cui, pur sentendomi estraneo, non riesco a rimanere indifferente.
Gabriele Villa
Ferrara, 7 luglio 2005 |