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Fenomenologia dei miei compagni di cordata

 di Mauro Mazzetti

Come tanti che girano per i monti, non mi piace andare da solo. A volte per scelta, più spesso per necessità, mi è capitato di scalare senza compagni; sempre cose facili, ben al di sotto dei miei già bassi limiti tecnici; preferisco però ricordare le ascensioni che ho condiviso con altre persone, legate alla stessa mia corda.
Ecco quindi che è nato il desiderio di fare il punto sulle tipologie dei compagni di cordata, o meglio sulle “fenomenologie”, con stretto significato etimologico di come appaiono e si mostrano.   
I miei compagni di cordata li posso così dividere in tante categorie. Provo ad indicarne alcune, senza pretesa di completezza, giusto per passare in rassegna quelle che mi sembrano maggiormente significative o che mi hanno particolarmente colpito. 

Cominciamo. 

Quelli più bravi di me e quelli meno capaci, quelli simpatici e quelli meno d’incontro, quelli forzuti e quelli mezze s…, quelli educati e quelli incazzosi, quelli magri e quelli grassi; ci sono anche i fantini (cioè che corrono la cavallina, ossia scapoli, alla genovese), con le sottocategorie “fidanzati” e “liberi-ma-pronti-a-tutto-basta-che-respirino”, gli sposati, con la sottocategoria degli “ammogliati-con-prole-in-ritardo-per-la-cena”, gli approssimativi ed i tennici – ossia la versione un po’ pallosa dei “tecnici”, che sanno tutto su arzigogolate manovre di corda, ostici fattori di caduta eccetera eccetera e che non perdono occasione per spiegartelo con non richiesta dovizia di particolari; ed ancora gli alti e i bassi (a questi ultimi appartengo anch’io, libero docente  della ipocrita scuola di pensiero “non riesco a salire perché il passo é morfologico, ma vado bene su strapiombo per via del baricentro…”); i comodi e i sado-masochisti (nel senso di ascensioni non stop, senza soluzione di continuità tra avvicinamento, salita, discesa, rientro), i poveri in ispirito e gli intellettuali.
In più i miei compagni di cordata possono essere specializzati in un preciso settore - solo montagna, solo falesia, solo cascate, solo neve - oppure polivalenti (beati loro!); possono essere genovesi, liguri, “foresti”, a seconda delle occasioni e delle possibilità, quelli che ti cercano per andare in montagna (sottocategorie “mi-piace-scalare-con-te” e “non-ho-trovato-nessun-altro”) o quelli che devi corteggiare insistentemente per giorni e giorni prima di strappare loro un sussiegoso “vedremo” (per la serie: “se voglio pregare vado in chiesa”).
Ma non è finita. Ci sono ancora i giovani ed i meno giovani (falso eufemismo per timore irrefrenabile del tempo che scorre inesorabile), gli entusiasti ed i depressi, con la sottocategoria “qui-non-ne-veniamo-fuori-meglio-chiamare-l’elicottero”, quelli che vanno solo da secondi e quelli che ti lasciano fare un tiro da primo esclusivamente a pagamento, i cani sciolti ed i titolati (istruttori nazionali e regionali di alpinismo e di scialpinismo), gli esperti e quelli che devono ancora macinare della bella montagna prima di chiamarsi alpinisti (a rampignase in sci-i scheuggi u l’è bravu, ma veuggiu veddilo in sciu giassu… come si dice con invidia dei giovani virgulti già capaci di prestazioni arrampicatorie a noi tristemente precluse per lontananza siderale da misteriosi universi alfanumerici, quali 6c, 7b o peggio). 
E infine ci sono i compagni per una volta e gli abitués, le vittime e gli artefici/carnefici di scherzi feroci e di battute al vetriolo, magari a metà di un tiro difficile e poco protetto, quelli che incontro spesso e quelli che non ho mai più rivisto, quelli che continuano ad andare in montagna e quelli che hanno smesso, gli uomini e le donne (sempre poche, in verità).

Non è che i miei compagni di cordata si ripartiscano equamente nelle categorie di cui sopra. Al contrario, il furore di catalogare mi ha fatto inserire tipologie assai rare, irrilevanti dal punto di vista statistico anche se significative a livello personale; inoltre essi compagni possono appartenere a due od anche più categorie contemporaneamente, od essere inseriti una volta in una categoria (o più) e la volta dopo in un’altra (o più). Non c’è una regola fissa ed immutabile; trattasi di numerica anarchia, di montana deregulation.

Per tutti c’è stato almeno un episodio che me li fa ricordare, nel bene come nel male: da tutti ho preso, e ad alcuni ho la presunzione di aver dato. Non introspezioni psicologiche, né tormenti storico-concettuali; piuttosto, e per fortuna, solo la voglia di andare in montagna.

Mauro Mazzetti

settembre 2003