Boscaioli per amicizia
di
Gabriele Villa
Ci sono idee che
nascono nella testa di qualcuno e, una volta conosciute e condivise da
altri, si trasformano in occasioni d’incontro e in piacevoli giornate.
A volte è sufficiente un “richiamo” lanciato via internet per far sì
che trentacinque persone si ritrovino a pranzo in una tavolata imbandita a
quasi 200 chilometri dal luogo della loro abituale residenza. Il
“richiamo” può essere un misto di proposte diverse: dalla festa di
compleanno di chi ha lanciato l’invito, al festeggiamento della nuova
attività di gestione di una Malga da parte di una coppia di comuni amici,
al dare una mano a fare un po’ di legna in vista del prossimo inverno,
al consentire ai vari figlioli di trascorrere una giornata in piena libertà
giocando assieme.
E’ così che in tanti sono partiti per quell’appuntamento, ognuno con
le sue motivazioni, chi il sabato e chi la domenica mattina, ciascuno con
il suo diverso programma, ma con quel comune appuntamento nel quale tutti
si sono trovati seduti alla gran tavolata, proprio davanti a quella Malga
Sorgazza, luogo di celebrazione dell’amichevole rito.
Sembra di scrivere considerazioni retoriche, forse banali o anche
scontate, eppure ognuno è tornato a casa propria, quella domenica sera,
contento e soddisfatto pur non avendo fatto nulla di eclatante. Sono
successe solo tante piccole cose, però erano proprio quelle che ognuno si
aspettava che succedessero, in quel luogo e in quel modo. Potenza delle
cose semplici!
Così si è visto qualcuno presentarsi il sabato mattina per andare nel
bosco armato di motosega a tagliare a pezzi una pianta caduta,
improvvisandosi boscaiolo; altri arrivare la domenica mattina di corsa dal
campeggio, a qualche chilometro di distanza, nel quale avevano trascorso
la notte con le famiglie. Un saluto rapido per ridiscendere a fare la
doccia e ritornare più tardi con le appendici familiari al seguito,
proprio mentre altri stavano contemporaneamente arrivando direttamente da
Ferrara, alla spicciolata.
Qualcuno nemmeno si conosceva, altri appena di vista, ma il
“denominatore comune” era presente in tutti; un po’ come succede ai
matrimoni dove gli amici dello sposo fraternizzano subito con quelli della
sposa e viceversa.
E’ arrivato perfino il nostro amico trentino, quel Roberto che più
volte ha inviato racconti e considerazioni ad Intraigiarùn. Nel suo primo
racconto aveva scritto di noi alpinisti di pianura in modo ironico,
concludendo con un “…sotto sotto li vorrei conoscere, fare due
chiacchiere, bere una birra al rifugio …” ed ecco l’occasione
giusta perché anche questo potesse succedere. E che fosse la giornata
giusta lo aveva deciso anche il meteo con quelle nuvolette che si
alternavano al sole e quella brezzolina mai troppo fredda, anzi piacevole.
La già rinomata cucina di Carla ha fatto il resto, fino alla corposa
torta del compleanno di Franz che ha chiuso degnamente il pranzo. Ma,
mentre ancora si percepiva nell’aria l’odore del caffè appena bevuto,
ecco risuonare il richiamo fatidico: “c’è da andare nel bosco a
recuperare la pianta che abbiamo tagliato ieri …”.
Qualcuno che non si era risparmiato a tavola ha fatto finta di non avere
sentito e, scavalcata la staccionata, si è andato a coricare
sull’erbetta del prato per un sonnellino ristoratore, quasi tutte le
signore si sono rivolte ad attività a loro più consone, i rampolli si
sono dedicati ai loro diversi giochi, mentre i rudi “aspiranti
boscaioli” hanno imboccato la strada verso il bosco.
Fortunatamente la pianta non era caduta lontana e quindi la missione non
è risultata troppo impegnativa; si trattava di trasferire i “pezzi”
sulla strada per poterli caricare sullo “Scudiello” e portarli alla
Malga. Ognuno ha fatto quello che ha potuto, seguendo istinto e inventiva:
chi ha fatto rotolare i pezzi rotondi, chi ha trasportato in braccio i più
leggeri, chi se li è caricati sulle spalle, chi li ha messi sullo “Scudiello”,
chi ha fatto l’autista.
Anche Jena, forte di fisico e generoso di carattere, si è presentato e,
visti i pezzi di tronco, in dialetto
bolognese e con la sua cadenza caratteristica ha digrignato un
“… adess, at fag vèdar mè…”, caricandosi sulla spalla uno
dei più grossi (forse un quintale di peso a occhio e croce…).
Dopo cinque minuti lo aveva trasportato sulla strada e, una volta
scaricatolo, eccolo iniziare a brontolare ad alta voce, guardando il suo
gilet impregnato d’odorosa resina: “…at vègna un azzidènt …
al mì gilet da 170 euro …”.
Più tardi, completato il trasporto alla Malga, è cominciato un
lavoro a catena per trasformare l’ex pianta in pezzi a misura di camino.
Il nostro amico trentino ha imbracciato la motosega, Jena aiutato da Gabri
si è dedicato a spaccare i pezzi più grossi con i cunei di ferro e la
mazza, Luca, Chicco e Michele ci davano dentro d’accetta, altri
impilavano i “tocchi” nella catasta dietro la Malga.
Aveva un bel daffare un vecchietto del posto, venuto per bersi un’ombra
di vino, nel dare consigli pratici ora a questo ora a quell’altro di
quei maldestri scalmanati. I suoi “… no se fa così …” cadevano
nel vuoto inascoltati, mescolandosi al turbinio di segatura che svolazzava
nell’aria.
Nonostante tutto, dopo quasi due ore di “operoso casino” il frutto del
lavoro era ben visibile nella catasta di legna ordinatamente riposta e nel
diminuito volume dei pezzi di tronco arrivati dal bosco.
Poi la motosega è stata spenta, gli attrezzi sono stati riposti e sono
iniziati i saluti ed i rientri verso le rispettive case.
Pian piano su Malga Sorgazza è tornato l’abituale silenzio e Carla e
Mauri si sono ritrovati nuovamente soli con la loro avventura, certamente
invidiati da molti di noi per la loro audace e coraggiosa scelta di vita.
Gabriele Villa
Ferrara, 03 giugno 2004
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