Premessa
introduttiva.
Internet: la grande
rete interconnessa che trasporta un mare di notizie d’ogni tipo e da
ogni parte del mondo. Districarsi è complesso e complicato; forse proprio
per questo è stato coniato il detto “navigare in internet”.
Io non sono mai stato, né, credo, mai diventerò un buon navigatore.
Anzi, usando internet non mi sono mai identificato tale perché penso alla
“grande rete” come ai tubi dell’acquedotto che servono a portare in
casa l’acqua da bere.
Quando ho sete di notizie apro i rubinetti di internet collegandomi ed è
per questo che i miei siti di riferimento sono pochi e molto selezionati.
Uno dei miei preferiti è intraisass, con le sue news, sempre aggiornate,
puntuali e “fresche”, proprio come dev’essere l’acqua da bere.
Sono notizie delle spedizioni himalayane, di qualche nuova salita di casa
nostra, di eventi culturali e, a volte, di disgrazie o incidenti legati
alla montagna.
Queste ultime sono le meno piacevoli da leggere; è un po’ come se dal
rubinetto di internet non uscisse la solita acqua fresca, bensì una
spremuta di limone, di quelle senza zucchero che si bevono quando si hanno
problemi di stomaco. Le trangugi in un fiato e poi rimani con la bocca
amara e le papille tormentate dall’aspro del limone.
Proprio come mi è successo il 31 luglio, prima della chiusura estiva
della redazione.
La tragica notizia.
PIANI RESINELLI –
Una tragica presa in giro da parte del destino. Marco Della Santa, 43
anni, guida alpina tra le più note, ha perso la vita ieri pomeriggio alla
base dello spigolo del Nibbio, uno spuntone di roccia del gruppo delle
Grigne usato da tutti gli alpinisti anche principianti per allenamento.
Erano da poco passate le 17, ai Piani Resinelli, ove Marco Della Santa
abita, quando una persona che aveva visto l’uomo volare dallo spigolo
del Nibbio lancia l’allarme…
La notizia prosegue con i dettagli dell’operazione di soccorso, il
rammarico di chi lo conosceva e si conclude con il ricordo del presidente
dei famosi Ragni di Lecco: “Marco era un grande personaggio, una guida
professionistica molto preparata. Era molto disponibile quando lo cercavi.
Aveva un carattere istintivo, ma ricco di amicizia e solidarietà”.
Parole accorate che
tracciano un profilo che corrisponde perfettamente al ricordo che mi è
rimasto di un ragazzo di vent’anni, conosciuto giusti 23 anni fa. E 20
più 23 fa 43: tutto coincide, non ci possono essere dubbi: quel giovane
era proprio Marco Della Santa.
Il lontano ricordo
Un oramai lontano fine
aprile del 1980, due giorni consecutivi di festa e la solita voglia di
arrampicare.
Avevo allora per compagno di cordata Giancarlo, un giovane medico che
aveva appena terminato il servizio militare presso la Scuola Militare
Alpina di Aosta, ove aveva conosciuto giovani valenti arrampicatori. Uno
di questi, con il quale aveva stretto amicizia, abitava proprio ai Piani
Resinelli: andarlo a trovare ci era sembrata una scusa sufficiente per
puntare il cofano dell’auto verso le Grigne. Lo trovammo indaffarato,
poiché la famiglia gestiva un negozio con annesso panificio: la doppia
festività e il conseguente giorno di chiusura richiedeva una doppia
produzione di pane e quindi di lavoro. Fummo ospiti a pranzo, ma presto ci
congedammo: Marco doveva tornare a far pane, noi andare al Corno del
Nibbio, la famosa palestra dei Ragni di Lecco. “Appena finisco con il
lavoro vengo anch’io così vi accompagno a fare una via”.
Lo disse con convinzione, ma noi non ci sperammo molto e ci incamminammo
con i nostri zaini e un po’ di timore reverenziale. Sulle pareti c’era
un gran daffare di arrampicatori, tutti rigorosamente con le scarpette a
suola liscia, come del resto anche il mio amico Giancarlo. Io invece
arrampicavo ancora abitualmente con gli scarponcini (gli indimenticati
Colorado I, della Asolo). Ostentando indifferenza demmo un’occhiata alle
varie vie della parete, guardandoci bene dal far uscire le corde dagli
zaini.
Dopo un’oretta di noncurante girovagare sentimmo il rumore di una
motoretta e vedemmo avvicinarsi il nostro amico. Tutti lo salutarono
cordialmente e lui rivolto al nostro indirizzo disse: “Dai
preparatevi che facciamo la Comici”. L’atteggiamento degli astanti
nei nostri confronti sembrò cambiare, o almeno quella fu la nostra
precisa impressione: da “foresti” eravamo diventati gli “amici un
po’ strani di Marco”. Le corde uscirono dagli zaini e ben presto
cominciarono a salire velocemente legate all’imbrago del nostro amico.
Arrivato alla sosta, chiese quale delle due corde dovesse recuperare per
prima.
“Tira la arlecchino” disse il mio amico Giancarlo. Ci fu una
risata generale di quanti stavano intorno anche se, invero, la corda era
effettivamente formata da tanti fili di svariati colori.
La via Comici presenta un passaggio di VI- proprio all’inizio e
Giancarlo, pur guidato dai consigli di un ragazzo che conosceva la salita,
non riuscì a superarlo e rinunciò.
Allora mi avvicinai alla parete per provare a mia volta e, non vedendomi
togliere gli scarponi, mi chiesero:
“Ma che fai? Non arrampicherai mica con quelli?”
“Certo – risposi – io non possiedo scarpette”. (*)
Mi resi conto di essere “out”, ma che altro avrei potuto fare?
Affrontai il passaggio deciso, senza tentennare e lo superai velocemente,
allontanandomi verso l’alto, riscattando così le calzature fuori moda.
Completammo rapidamente la via, molto aerea, bella ed atletica e
ritornammo alla base.
“Adesso vado a casa – disse Marco – perché non mi sento
tanto bene”.
Noi rimanemmo per salire la più facile via Cassin sullo spigolo e, verso
sera, andammo a far visita all’amico, ma non potemmo salutarlo perché
riposava.
“E’ venuto a casa con 38 di febbre – ci disse la madre – ed
è pure andato ad arrampicare”.
Lo sapevamo bene, perché era venuto proprio per un riguardo a noi e
spirito di amicizia.
Mi ricordo che pensai: se ha fatto la Comici in un lampo con 38 di febbre,
chissà come arrampica quando è in piena forma? La risposta sta nella sua
brillante carriera da guida alpina, interrotta da quel tragico, quanto
banale incidente.
Una breve riflessione
Nella vita succede di
incontrare persone e di frequentarle per anni, senza che queste ci lascino
particolari sensazioni o arricchimenti. “Dsèvad” si dice dalle
mie parti: insipido.
Non lasciano tracce, come una secchiata d’acqua lanciata su di uno
specchio.
Ce ne sono altre che incontri una sola volta e ti lasciano un segno
duraturo, perché hanno qualità grandi, come quel ragazzo esuberante,
disponibile e generoso. Marco Della Santa, il mio amico di un giorno,
faceva parte di questa seconda categoria.
Gabriele Villa
Ferrara, 03 ottobre 2003