Ho un amico che è un grande appassionato
di montagna; da che lo conosco gliene ho sempre sentito parlare.
L’altra
sera è venuto a cena a casa mia, cosa che, del resto, fa molto spesso.
Dopo aver mangiato, come tante altre volte, ci siamo seduti sul divano a
chiacchierare del più e del meno, più per avere la scusa di berci una
grappa che non perché si avesse qualcosa di nuovo da dire.
Siamo così in
confidenza che, credo, siano oramai rimaste ben poche le cose che uno non
sappia dell’altro, anche se, ad onore del vero, non si è mai finito di
conoscere a fondo una persona.
Ad un certo punto si è fatto serio e mi ha detto a bruciapelo, quasi
avesse da togliersi un peso:
"A volte mi chiedo, come sarebbe stata
la mia vita se non avessi fatto alpinismo?"
"Sarebbe stata come quella di tanti altri – gli ho risposto –
come la mia, ad esempio. Alla domenica te ne saresti andato allo stadio, o
a pescare, a visitare musei con la famiglia. Magari ti saresti preso un
cane da portare a spasso e con cui giocare".
"Non hai capito la domanda. – mi ha detto serio – Che tu faccia
alpinismo, anziché motociclismo o vada a giocare a bocce il tempo passa
in uguale misura per tutti. Quello che cambia è ciò che ti rimane dentro
dopo tanti anni che fai quello che fai.
Che tu abbia fatto mille cose piuttosto di cento non fa gran differenza se
dentro ti è rimasto poco perché le hai fatte soltanto per te
stesso".
"Ti vuoi spiegare chiaramente invece di parlare per enigmi?" Gli
ho risposto con pazienza.
"Ti faccio un esempio con i numeri. – ha detto appoggiando sul
tavolino il bicchiere di grappa che, nella foga del discorso, rischiava di
rovesciare il prezioso contenuto – Dopo quasi trent’anni che mi
arrampico ho percorso più di 800 vie, ho salito otto cime oltre i 4000
metri, ne ho salite quasi trenta oltre i 3000 metri…"
"Beh, non sei contento?" l’ho interrotto.
"Certo che lo sono, ma non è questo il punto. Lasciami finire il
ragionamento. – ha continuato con foga – Se guardo bene cosa vedo?
Numeri e nomi ben ordinati in un lungo elenco di cime e pareti con al
fianco delle date. Ma non è quest’elenco, o almeno non solo questo, che
fa massa critica".
"O non sai neanche tu quello che vuoi, oppure provi a spiegarti
meglio, perché io continuo…"
"….a non capire. Certo. Io stesso ho capito tanto tempo dopo che
arrampicavo.
I primi anni saltabeccavo da una palestra all’altra per allenarmi e
appena potevo andavo in Dolomiti nei fine settimana e sulle Alpi durante
le ferie.
Avevo un elenco di vie da fare, progressivamente più impegnative ed ero
contento solo quando ne spuntavo una.
Di solito, a fine stagione, non ero
mai soddisfatto del tutto: o ne avevo spuntate poche, o me ne mancava
qualcuna di quelle a cui tenevo maggiormente, insomma, c’era sempre
qualcosa che sembrava mancare".
"Ma è normale. Vorresti sempre fare di più o di meglio. Ci
succedeva anche quando giocavamo insieme a calcio, non ricordi? Guardavamo
la classifica e ci sarebbe piaciuto che la squadra avesse avuto più
punti. Adesso che faccio il pescatore quando gareggio e mi misurano i
chili di pescato vorrei sempre avere preso più di quanto segna la
bilancia".
"Ma è proprio qui l’errore. Ci riferiamo sempre ai numeri fino ad
esserne ossessionati. Se guardi solo alla classifica vuol dire che non hai
ancora capito nulla". Disse con tono incalzante.
"Allora senti, facciamo una cosa – gli ho detto con quanta più
delicatezza mi fosse possibile – tu la smetti di elucubrare e mi dici
cosa ti gira per la testa così io finalmente capisco ed entrambi siamo più
contenti".
Riprese a parlare con pacatezza, quasi sottovoce.
"Dopo pochi anni da che avevo cominciato ad arrampicare quelli della
sezione mi proposero di partecipare ad un corso per diventare istruttore.
Accettai forse più per curiosità che per reale interesse. Vissi
un’esperienza molto formativa, a contatto con un gruppo docente
variegato, ma molto valido. Soprattutto il responsabile era una persona in
gamba, quello che si può definire un "maestro" nel senso pieno
e completo del termine.
Così, ritornati a casa, assieme a Paolo il ragazzo che con me aveva
frequentato il corso di formazione, cominciammo a riorganizzare i corsi
roccia della sezione, applicando le idee, i metodi e la filosofia che ci
erano stati insegnati.
All’inizio fu dura perché si partiva a costruire
qualcosa che nemmeno noi sapevamo bene cosa fosse, ci avevano solamente
insegnato in maniera esauriente come realizzarla e noi avevamo condiviso
idee e metodi. Qualcuno mostrò diffidenza, ma noi andammo avanti decisi
ugualmente".
"Siete stati dei pionieri …"
"No, non credo. Forse i nostri predecessori lo erano stati. Infatti,
c’era già un gruppo di arrampicatori abbastanza consolidato ed i corsi
si facevano da alcuni anni. Non erano ben strutturati come noi li
intendiamo oggi, tuttavia noi proprio da quelli eravamo usciti. Gli altri,
i veri pionieri, si erano mossi d’istinto esclusivamente sulla base
della loro passione per l’arrampicata, noi a quella passione avevamo
aggiunto l’esperienza derivata dalla formazione teorica e didattica
ricevuta".
"Sarà stato un periodo esaltante per voi. Ve ne rendevate
conto?"
"Non avevamo il tempo per pensarci – mi ha detto sorridendo –
organizzavamo corsi e arrampicavamo più che si poteva. Quello che c’era
da capire, almeno per quanto mi riguarda, l’ho capito a distanza di
alcuni anni".
"Che fai? – gli ho detto diffidente – Riprendi con gli
enigmi?"
"No, no. Ti spiego cosa intendo dire. Nonostante siano passati 25
anni da quel corso di formazione io non ho ancora smesso di fare
l’istruttore. Ho continuato a compilare diligentemente il diario
segnando le vie fatte e le cime salite, ma ho scoperto che non era quello
il vero valore o, perlomeno, non era l’unico. Un valore altrettanto
importante era dato dalla gente che conoscevo, dagli allievi che si
susseguivano ogni anno, con le loro facce e i sorrisi di soddisfazione
dopo una salita o una difficoltà superata grazie agli insegnamenti
ricevuti, era anche la gratitudine che qualcuno ti manifestava perché
aveva imparato cose utili per andare in autonomia con sufficiente
sicurezza.
E’ così che ho via via stemperato il "furore alpinistico" dei
primi anni imparando a cogliere e a gustare l’aspetto del rapporto umano
e della condivisione. E’ stato un percorso di crescita, o almeno tale
l’ho avvertito io, e di equilibri ritrovati che mi ha fatto sentire più
appagato e più "positivo, come alpinista e come uomo. Alle volte mi
chiedo quanti allievi ho avuto in questi 25 anni di corsi, ma non lo so
con esattezza; invece so con precisione le vie di arrampicata che ho fatto
fino ad oggi: 827. Per fortuna mi sono accorto per tempo che questo dato
non era la cosa più importante, anche se ho continuato per antica
abitudine a tenere il conto."
"Come non era importante? I dati sono sempre importanti,
fondamentali.
Senza numeri non fai classifiche, non hai la misura delle prestazioni
sportive, non hai confronti, non puoi fare valutazioni …".
"Ma è altrettanto importante capire che non tutto si misura con i
numeri.
Come misureresti, ad esempio, i sentimenti, le sensazioni…?
Quando dopo cena abbiamo preso il caffè, ti sei chiesto quanti granelli
di zucchero ci fossero nel cucchiaino che ci hai messo dentro?"
"E perché mai avrei dovuto farlo, scusa?"
"Appunto. E’ la dimostrazione che in questo caso il dato non ha
alcun valore pratico: che i granelli siano 500 anziché 2000 non fa il
fatto, a te interessa che il caffè diventi dolce come tu lo
gradisci".
"Dai concludi che ancora non ho capito dove tu voglia arrivare".
"Ma oramai te l’ho detto, testone. E’ il rapporto umano con le
persone con le quali interagisci che aggiunge valore all’attività che
stai facendo, il rapporto di scambio che si instaura e che fa sì che tu
dia e riceva allo stesso tempo ed in uguale misura. L’attività che tu
fai è come il caffè, nel mio caso l’alpinismo, le persone con le quali
ho interagito sono i granelli dello zucchero che lo hanno reso dolce come
io lo gradivo. Sono convinto che se avessi continuato a cercare le
difficoltà tecniche e le vie sempre più impegnative avrei soltanto
aggiunto curriculum e lo avrei fatto solamente per gratificare me stesso e
appagare il mio amor proprio.
Avendo fatto l’istruttore ho potuto arricchire l’attività del
rapporto con le persone, sentirmi positivo e utile agli altri, insomma ho
messo lo zucchero nel caffè del mio alpinismo. Se sai trovare le dosi
giuste fra una cosa e l’altra ti realizzi e cresci dentro.
Hai capito adesso che cosa ti volevo dire?"
Tirò un sospiro, quasi si fosse tolto un peso dal cuore, trangugiò la
grappa rimasta nel bicchiere, lo appoggiò sul tavolo e si lasciò
scivolare, rilassato, sui cuscini del divano.
Guardai il mio amico con un senso di tenerezza e di affetto.
Mi vennero alla mente parole come … ingenuo … romantico … sognatore
…, ma non gliene dissi nessuna perché gli sono troppo amico per dirgli
qualcosa che possa dargli dispiacere. Io so bene che lui è fatto proprio
così.
Solo una piccola domanda, vagamente provocatoria, gli ho rivolto.
"Senti, non è che ti sei messo a guardare ai valori quando, con
l’avanzare dell’età, hai dovuto ridimensionare le prestazioni?"
Si mise a sorridere e chiuse gli occhi come si fa per ricercare una
maggiore concentrazione.
"E se ti parlassi di raggiunta maturità, sarebbe presuntuoso da
parte mia? Consideriamole entrambe ipotesi da approfondire: io non ho
certezze assolute.
Piuttosto, ti voglio raccontare come e quando ho cominciato veramente a
capire. – disse parlando quasi sottovoce – Una sera sento suonare alla
porta. E’ Beppe, una delle persone che collaboravano ai corsi come aiuto
istruttore e ti parlo di più di dieci anni fa, quando dirigevo i corsi di
alpinismo e roccia della sezione. Entra e mi allunga una cassettina
musicale da lui incisa con una dedica per me (…con stima e
riconoscenza… stà scritto).
E’ un piccolo regalo per dirti grazie di tutto quello che hai fatto,
dice.
E che ho mai fatto? Rispondo un poco sorpreso.
Sai, siamo riusciti ad andare in cima al Monte Bianco: senza quello che ci
hai insegnato tu non lo avremmo neanche pensato.
Mi sono schernito istintivamente: ma sul Bianco ci siete andati voi, io
non ho fatto proprio nulla.
Ma lui aveva continuato a ringraziarmi mentre mi raccontava i particolari
della salita e di come, sulla vetta, si fossero commossi fino alle
lacrime. Quella testimonianza mi fece riflettere e cominciai a considerare
in maniera diversa i rapporti che si instaurano con le persone ai corsi.
Mi resi conto che fino a quel momento avevo considerato il rapporto in
maniera univoca senza curarmi di cosa potesse pensare chi stava
"dall’altra parte". E’ così che ho cominciato a capire
veramente il valore del mio essere istruttore, un valore che integrava e
completava il mio essere alpinista."
Forse lo guardai un po’ stranito, io, pescatore abituato a rapportarsi
con interlocutori muti, lontano da quel tipo di esperienza, mi stavo
sforzando di seguire il suo ragionamento.
"Scusami, ma non riesco a spiegartelo meglio di così, – continuò
- posso solo farti un ultimo esempio. La scorsa settimana sono andato con
un amico, uno che la pensa come me, a fare una salita di VI grado e
artificiale, sai quelle di cui ti ho raccontato qualche volta, con le
scalette da attaccare ai chiodi per poi salirci sopra.
Niente di straordinario, però, insomma, una cosa di un certo impegno. Due
giorni dopo eravamo in parola per un’altra arrampicata, ma nessuno dei
due ne aveva voglia. Sai che abbiamo fatto?
Una telefonata a due amici alle prime armi invitandoli ad arrampicare con
noi. Siamo andati su una via di II e III grado, quasi una passeggiata per
noi, ma i loro sorrisi soddisfatti, durante e dopo la salita, sono stati
un’autentica gratificazione. Non è così per tutti, né ho la pretesa
che sia la regola universale: mi basta sapere che è buona per me. Quelle
due giornate di alpinismo, pur così diverse, per me hanno lo stesso
valore e non saprei rinunciare né all’una, né all’altra".
Gabriele Villa
Ferrara, 19 novembre 2002