Aggiornamento
istruttori: ne valeva proprio la ... Penna
testo di Gabriele Villa
fotografie di Matteo Malchiodi e Rita Cavaciuti
(e la preziosa collaborazione di Claudio Faimali “Faimol”)
Quando
uno fa l’istruttore di alpinismo da tanti anni sa bene cosa vuol dire la
convocazione per un “Aggiornamento istruttori”. Sono
quegli appuntamenti che si rinnovano periodicamente e che vedono gli
istruttori di una Scuola di alpinismo ritrovarsi per prendere visione di
novità tecniche e, molto più spesso, la verifica delle conoscenze
tecniche di ciascuno e delle procedure d’insegnamento per la messa a
punto di quella “uniformità didattica” che è uno dei fondamenti per
effettuare dei buoni ed efficaci corsi di alpinismo e roccia.
Sicchè c’è qualcuno esperto che illustra, poi su quello ci si
confronta, si fanno osservazioni, se necessario si eseguono prove,
dimostrazioni e simulazioni e, se l’aggiornamento si svolge su neve, sarà
certamente in un luogo all’ombra ed una mezza assiderata è di solito
certa, scontata e garantita.
Insomma, il tutto potrebbe essere sintetizzato molto concisamente e
semplicemente con due sole parole ed un punto esclamativo: “… dù
palle!”
Per
fortuna questa non è una regola fissa, tanto più che il ritrovo
dell’aggiornamento istruttori cui sono stato convocato si trova “di
fronte al Cheope” (ovvero a due passi dal centro di Piacenza ed a
198 chilometri
esatti da casa mia) e riguarda gli istruttori della Scuola di Alpinismo
“Bruno Dodi”, a cui ho aderito da oramai un anno e mezzo.
Arrivo pure puntuale, nonostante la nebbia che da giorni attanaglia la
pianura Padana e che mi ha tormentato per quasi tutto il viaggio, per
fortuna interamente autostradale.
Trasloco la mia roba su un’altra auto e so che fino a stasera non dovrò
più guidare, infine mi sprofondo nei sedili posteriori e mi godo le
tortuose strade dell’appennino piacentino che, prima di regalarti scorci
deliziosi e panorami inconsueti, sembrano volerti strizzare lo stomaco con
quelle curve continue e ripetute.
Quando arriviamo al cospetto del Monte Penna, che è il luogo prescelto
per il nostro aggiornamento, ci si ricorda di essere in inverno perché
qui gli ingredienti ci sono tutti, nonostante sia una giornata di sole
splendido.
Non essendoci io mai stato prima, ma avendone sentito parlare spesso,
avevo dato un’occhiata su internet trovando su Wikipedia la seguente
descrizione.
“Il Monte Penna è situato
nell'Appennino
ligure ed è compreso nel Parco naturale regionale dell'Aveto,
e con la sua altezza di
1735 metri
sul livello del mare ne costituisce la cima più alta.
Insieme al monte Pennino è parte della grafica del marchio
del Parco.
Il versante Nord mostra un andamento assai ripido di nuda roccia basaltica
mentre il lato Sud appare quasi morbido e lussureggiante per
la Foresta
demaniale del Penna.
L'escursionista che arriva alla sua cima può godere di un panorama
mozzafiato che spazia a 360° gradi dal mar
Ligure a tutta la corona delle Alpi
occidentali, passando dai dettagli delle valli che lo contornano. Per
questo motivo, gli antichi Liguri
lo ritenevano sede della divinità celtica Penn, dal quale prende il nome.
Degni di particolare rilievo sono alcuni scorci quasi liberi da segni di antropizzazione.
Il monte sovrasta
la Val di Taro, al confine tra le regioni della Liguria
e dell'Emilia Romagna.
Raggiungibile da Chiavari attraverso il Passo
del Bocco e l'alta val di Taro cui si arriva più facilmente da Parma. Da nord si può
arrivare passando da Piacenza-Val Trebbia-Val
d'Aveto, o dalla Val
Nure.”
Era una descrizione dall’approccio ambiental-escursionistico la cui
“fotina” a corredo però veniva in aiuto per consentire di conoscere
un po’ meglio la montagna anche dal punto di vista alpinistico
invernale, infatti, in attesa di vederla dal vivo, avrei solamente dovuto
immaginare la parete della “fotina” ricoperta da almeno mezzo metro di
neve e l’effetto di quel gioco di immaginazione avrebbe dato i risultati
desiderati.
Dunque la nostra fila di auto arriva al piazzale (in gran parte occupato
da altre auto e da un folto gruppo di persone già in assetto e pronto a
partire per non si sa dove) e parcheggia su di una bella e consistente
lastra di ghiaccio al fianco della strada.
Si intrecciano le chiacchiere mentre ci si prepara e, non appena tutti
sono pronti, si forma la più classica delle file indiane e ci si mette in
marcia per raggiungere uno scivolo innevato proprio sotto la parete nord
del Monte Penna.
Ora pare inutile parlare di quanto era oggetto dell’aggiornamento:
diciamo che tra “passi” di progressione individuale su neve e su
ghiaccio, punti di sosta realizzati con l’uso della piccozza, modi di
progressione in conserva su terreno innevato, tecniche di autoarresto
sempre con piccozza, sicurezze a spalla, con contrappeso, con asole
inglobate e quant’altro, dopo circa due ore eravamo tutti “belli
duri” dal freddo, tranne “lui”, il Lucio, che oltre tutto aveva
fatto tutte le dimostrazioni senza nemmeno mettersi i guanti di lana.
Per ovviare alla semi paresi che attanagliava praticamente tutto il
gruppo, qualcuno propose di salire un bel canalone, ma ciò ostava con una
riunione che era in programma in coda all’aggiornamento per discutere
alcune questioni organizzative relativamente all’organizzazione degli
imminenti corsi di alpinismo e roccia programmati dalla Scuola.
Un momento di panico serpeggiò improvviso: una riunione, ancora
all’ombra, in quelle condizioni, apparve come una prova
“insostenibile”.
Dicono che “la necessità aguzza l’ingegno”, ma forse a volte lo fa
anche il freddo.
Uno fra noi lancia all’improvviso una proposta:
“Saliamo un canalone ed andiamo a
fare la riunione in cima, al sole”.
Non sono necessarie altre parole perchè un fermento improvviso
attraversi l’intero gruppo.
Ognuno calza i propri ramponi, brandisce la propria piccozza, mette lo
zaino sulla schiena ed è pronto a partire verso l’alto con il miraggio
del sole che illumina la cima del Monte Penna.
All’inizio sembra un’orda vociante, mentre da una bocca all’altra
rimbalzano dei nomi a me sconosciuti: “canalone nord”, “canale del
larice”…
Dopo essermi “sparato” in gola un boero, inizio a salire con regolarità,
guardando un po’ la situazione per decidere dove salire secondo i miei
gusti.
Lucio mi suggerisce il “canale del larice” perché, dice, “è il più carino se vuoi venire a farlo con qualcuno dei tuoi amici di
Ferrara” e poi anche perché “così
non serve la corda”.
Bene. Niente corda vuol dire niente soste, niente pause al freddo ad
aspettare qualcuno.
Il gruppo intanto si è praticamente diviso in due e sfilacciato verso
l’alto.
Il percorso del “nostro” canale lo si intuisce (quasi disegnato
naturalmente dalla parete) ed appare, da subito, mica poi tanto
“stupido”, se non fosse che la neve è in buone condizioni e qualche
vecchia traccia rende il fondo ancora più consistente e compatto.
Lucio allunga il passo e sopravanza tutti noi ad indicare la strada.
Il pendio si assesta sui 65° di pendenza, collegando canalini
superficiali di bella neve, brevi traversate e crestine sempre ripide.
Ogni tanto si riconoscono i terrazzini di neve pestata da chi è salito in
cordata, ma non quello stesso giorno perché le peste sono più datate.
Radi arbusti e qualche alberetto si incaricano di attenuare la sensazione
del vuoto che si allunga sotto man mano che si sale.
In effetti, quando guardi in giù e vedi gli alberetti pensi che, se ti
dovesse capitare di scivolare inavvertitamente, “andrò
pure a sbattere contro un qualche alberetto che fermerà la scivolata?”.
Ogni tanto ci si ferma ad aspettare chi è rimasto un po’ indietro, si
chiacchiera guardando lontano il sole che illumina le valli appenniniche e
la sagoma del Pennino che oramai si trova più in basso rispetto
all’altezza a cui ci troviamo noi.
Poi la vegetazione scompare ed iniziano i pendii finali, si delineano le
creste che escono sulla cima, si intuiscono le cornici formate dal vento
che accarezza (ma il più delle volte sferza) la cima nelle giornate di
vento, che oggi non soffia per nulla, lasciandoci godere a pieno di quella
bella salita.
Ognuno sceglie la sua uscita, chi va a sinistra a cercare il pieno della
parete, chi sale dritto su un costolone arrotondato, chi va a destra in un
canale che adduce ad una cresta…
Improvviso, sento un richiamo provenire da poco sotto, guardo in giù e
riconosco Matteo, quello che chiamano “
la Giovane
Marmotta
”: è in sosta su di uno spuntone e recupera i compagni con cui ha
salito il canale Roberto, uno dei percorsi più classici della nord del
Penna,
270 metri
di “misto” con difficoltà valutate D-.
“Niente affatto male – penso
– per uno che ha fatto l’allievo
al corso di alpinismo dello scorso anno
2007”
.
Alla fine siamo in cima, ci possiamo sedere al sole in attesa che arrivino
tutti.
Sono contento ed anche un po’ emozionato.
Sono un casuale e sporadico frequentatore dell’appennino ed ogni volta
che mi è capitato di arrivare su qualche cima mi fa un’emozione
particolare riconoscere quel mare di nuvole che s’intuisce coprire il
mare, quello vero, il Tirreno, che giace sotto quella coltre soffice.
Quando tutti sono arrivati ed il freddo incamerato alla base della parete
nord non è che un ricordo cancellato dall’azione della salita
effettuata e da quel tepore senza vento che si gode sulla cima, ecco
materializzarsi nelle mani di Lucio (il direttore della Scuola di
alpinismo “Bruno Dodi” e ”grande padre” di quel nostro gruppo di
istruttori) il famoso quadernetto con la copertina di plastica gialla, una
specie di breviario, contenitore di ogni promemoria e custode di ogni
decisione che sarà presa in quella riunione così fuori dalla
consuetudine.
Sulla cima della montagna vengono richieste disponibilità per i due corsi
di alpinismo e roccia, se ne formano gli organici (con gli istruttori
“effettivi” e le riserve in caso di necessità ed impedimenti di
qualcuno), si assegnano le lezioni teoriche rimaste ancora senza relatore
a questo o a quell’istruttore e quando tutto è stabilito e deciso la
riunione ha termine.
Ora si può pensare di scendere, ma non prima di avere scattato la foto di
gruppo, la prima in assoluto (dopo un anno e mezzo di tempo) che scatto
assieme a questi miei nuovi amici e colleghi di avventura.
Poi via, tutti in fila e chiacchierando allegramente, perdendo leggermente
quota sul fianco della montagna in direzione ovest per andare ad infilare
un altro canale che via via diviene più ripido fino a consigliare di
farne un paio di tratti faccia a monte per evitare il pericoloso formarsi
dello zoccolo di neve sotto ai ramponi.
In breve siamo sui pendii basali, ora molto dolci e ci infiliamo nel bosco
fino a fermarci al sole, poco dopo, per togliere i ramponi, le imbragature
inutilizzate e il resto del materiale.
Guardiamo verso la parete nord del Monte Penna, qualcuno mi indica le
varie vie che sono state tracciate seguendo i vari canali ed i tratti di
roccia meno ostici, mentre sulla destra si vede la traccia che solca il
canale “delle donne” appena percorso in discesa dal nostro gruppo.

Poco dopo ripartiamo ed in breve siamo al piazzale dove ritroviamo le
auto.
Come da consolidata consuetudine, in una mezz’oretta, raggiungiamo un
alberghetto ristorante presso cui ogni anno soggiornano i corsi ed una
tavola imbandita offre l’ultimo scampolo piacevole di questa giornata di
aggiornamento istruttori, molto meno monotona di quanto non avrei potuto
immaginare alla vigilia.
Quando saluto il gruppo sento qualcuno che dice al mio indirizzo:
“Beh … se non è passione la
tua…”
Rimane la formalità del rientro a Piacenza e, una volta al Cheope, e
trasbordato la mia roba sulla “piccola Punto”, la corsa autostradale
verso Ferrara.
Un viaggio “veloce” mentre ripenso all’intensità di quella
giornata, soprattutto a quella salita con ramponi e piccozza che mi ha
portato in cima ad una montagna che non avevo mai visto prima e che mi ha
regalato belle sensazioni, grandi scenari dalla vetta ed il piacere di
essere in un gruppo in cui ho ritrovato senso di amicizia, rispetto e
considerazione, entusiasmi che sembravano andati perduti.
Le fatiche del viaggio e della giornata saranno presto dimenticate, mentre
si consolida in me la convinzione che, come avevo sperato e pensato, ne è
valsa proprio la … Penna.
Gabriele
Villa
Monte
Penna, domenica 24 febbraio 2008
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