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Diario Fotografico | ||||||
Quatar pass fin in zìma al Set Sas
Questo significa per me stare a scrivere al computer durante la giornata con una temperatura che arriva a 35°C e non scende mai sotto i 31°C. S'imponeva un imperativo: fuggire verso i monti dolomitici per poter inalare un po' di aria fresca, ovviamente prestando attenzione ai temporali pomeridiani perchè quando in pianura c'è bello e caldo stabili, in montagna è un ribollire di umidità che condensa in temporali e le previsioni del tempo lo confermavano inesorabilmente. Uscire di casa a Ferrara alle sei del mattino con il termometro che segna 33°C e ritrovarsi quattro ore più tardi seduti davanti alla Baita, ad Andraz, dopo essersi infilati un "pailino" sopra la maglietta è una sensazione che dà un leggero brivido di voluttuoso piacere. Viene da sorridere bonariamente quando senti dire "fa caldo anche qui" anche se, in fondo e a ben pensarci, non hanno tutti i torti, il fatto è che non c'è paragone con il "torrido" che abbiamo lasciato nelle pianure afro-ferraresi. Anche
se il desiderio sarebbe quello di stendersi da qualche parte, avvolti in
un plaid, e schiacciare un pisolino per recuperare il tanto sonno
perduto nelle notti precedenti, ci si cambia, si prende il materiale da
arrampicata e si sale al Passo Falzarego con un occhio al cielo per
capire se ci sarà il tempo per un'arrampicata prima del temporale che è
dato per certo nel pomeriggio (40%-70% di probabilità).
Si sale lentamente verso le pareti grigie con le strisciate nere qua e là dove ci sono gli scorrimenti dell'acqua, si respira regolarmente e quasi sembra sentire girare la testa per quell'aria "sottile" e fresca che ti entra nei polmoni. Si prepara tutto l'occorrente per l'arrampicata e poi si alzano gli occhi al cielo per l'ultima valutazione al fine di capire quanto tempo si ha a disposizione prima che arrivi il temporale. La situazione sembra contraddire la previsione e così si decide per la via Ardizzon, al momento fino in cima al pilastro (che sono 200 metri), poi se il tempo tiene, magari ci aggiungiamo anche gli altri due tiri di corda fino alla cengia superiore per arrivare così a 280 metri. Naturalmente c'è gente in parete, ma sono avanti almeno tre tiri e non dovremmo avere problemi di interferenze. Oramai ho superato le trenta ripetizioni, ma l'arrampicata è talmente piacevole, mai impegnativa e mai banale, che ogni volta mi sorprendo del divertimento che provo e penso che quello sia il più bel modo di fare ginnastica all'aperto.
Solo all'ultima sosta si alza un po' di vento e allora acceleriamo tutte le operazioni, ma è un falso allarme e possiamo rientrare con calma all'auto, giù al passo Valparola. Solo a notte si sentirà tuonare e la pioggia cominciare a cadere, ed è con un piccolo brivido di soddisfazione che ci si tira la coperta sul corpo, prendendosi una rivincita sul caldo appicicaticcio patito nelle notti afro-ferraresi.
Anche lui è scappato alla calura, ma ha trovato la sorpresa della pioggia e ora attende l'evolvere del tempo per portare a termine il suo programma: un giro in bici sul tracciato della maratona ciclistica delle Dolomiti. E' un piacere fare colazione assieme, raccontarsela un po', poi assistere ai preparativi e, infine, via da solo su per il Falzarego, unica compagnia la fatica e, con certezza, pure un indesiderato freddo. Eh, sì, la temperatura si è abbassata notevolmente e la verità più semplice la dice Walter: "Ha piovuto tutta notte e c'è una temperatura come se avesse piovuto una settimana". Osservazioni pertinenti di chi conosce luoghi e situazioni che il meteorologo tradurrebbe con un sintetico e formale "presenza di correnti fredde in discesa da nord". Le previsioni danno le nuvole in dissolvimento nel corso della mattinata, ma non ci vuole un grande esperto per capire che anche oggi le cose andranno diversamente da quanto previsto perchè la copertura sembra proprio voler resistere. Se
cambiano le condizioni, cambiano anche i programmi, perchè non è proprio
il caso di arrampicare con la roccia umida e senza sole, molto meglio
un'escursione di ampio respiro e... la giacca nello zaino. Mi piace camminare senza fretta, con uno zaino leggero sulla schiena e avere davanti l'intera giornata a disposizione. Mi piace e, a volte, mi do dello stupido perchè di solito scelgo di andare ad arrampicare e poi, quando mi ritrovo nella dimensione escursionistica mi rimprovero di non farlo più spesso per scelta primaria, e non come ripiego o come diversivo di una giornata nella quale ad arrampicare non si riesce ad andare. A
parte questa mia incongruenza comportamentale, fare escursioni mi piace
veramente tanto perchè è così che la montagna te la godi in tutti i suoi
aspetti, nelle innumerevoli sfumature ambientali, in ogni suo
particolare. Incontriamo i primi escursionisti che arrivano in direzione opposta alla nostra, poi un gruppo che è attratto dalle marmotte che girano fuori e attorno alle loro tane, infine saliamo verso una forcella oltre la quale il sentiero s'inoltrerà sul fianco della dorsale del Set Sas fino ad arrivare in vista del grande tavolato del Pralongià. Guardando indietro, verso il Sas de Stria, lo si vede che ha un profilo molto curioso, sembra una grossa tartaruga spiaggiata e dalle squame verdi, che alza il capo verso il cielo. Superato in cancello di un recinto con il filo elettrificato per tenere le mucche sui prati al di là della forcella, il sentiero diventa in parte roccioso, ma rimane agevole e divertente per la sua varietà di saliscendi. Sembra
quasi che il filo elettrico oltre a tenere al di qua le mucche, serva a
tenere al di là i turisti, perchè da qui in avanti non incontreremo più
nessuno, cosa abbastanza inusuale in una domenica di metà luglio.
Ogni tanto si attraversa un rivolo d'acqua che scende dall'alto e taglia ortogonalmente il pendio, più avanti il sentiero perde un po' di quota e a volte si individuano tracce di valanghe invernali che hanno lasciato evidenti segni, come piante sradicate, altre volte spezzate.
Intanto il vento ha consigliato di infilare un'altra maglia sopra la
prima e tenere le mani in tasca aiuta a non perdere calore alle
estremità, visto che i guanti (chissà perchè?) sono rimasti a casa.
La raggiungiamo velocemente con la curiosità di vedere oltre, compresa la prosecuzione del nostro sentiero, ma la cima del Set Sas sembra lì a portata di... gamba, ne abbiamo visto la segnaletica un centinaio di metri prima ed è troppo invitante per resistere, per cui ritorniamo sui nostri passi scendendo al bivio e prendiamo il sentiero verso la cima che sale guadagnando regolarmente quota su pendii verdi per raggiungere la dorsale. E' un ambiente che mi suggestiona perchè ricorda le mie prime escursioni giovanili con mio cugino Giulio sulle pendici del Sasso Bianco e del Piz Zorlèt. In lontananza si vede la Marmolada e, subito di fronte il Padòn e il Sasso Cappello, così il pensiero corre alla gita del CAI Ferrara che, proprio quello stesso giorno, ha in programma il percorso della ferrata delle Trincee. L'ambiente continua a suggestionare e qui, nel verde dei prati, si nota la miriade di punti scuri delle Nigritelle. Un
ometto di sassi di forma assai strana attira l'attenzione e pure una
nigritella di colore più chiaro delle altre.
Tra un po' cominceremo a traversare su terreno roccioso e ghiaie, non appena terminerà la dorsale erbosa sulla quale un ultimo ometto indica il percorso e pare che il vento insistente ne abbia addirittura piegato una pietra sulla quale è dipinto il segnavia bianco e rosso del CAI. Il passaggio dalla dorsale erbosa al terreno roccioso e spoglio sembra segnare un confine ideale che separa la parte escursionistica da quella alpinistica, anche se le difficoltà apparentemente non cambiano. Sono solamente gli occhi che percepiscono la differenza di terreno, nel senso che la traccia sull'erba era perfettamente visibile e qui invece, almeno in certi punti, va cercata perchè non è così evidente. Così scatta subito un livello superiore di attenzione, si cercano punti di riferimento, ci si gira indietro ogni tanto per familiarizzare con il panorama che si vedrà al ritorno e su quello si cercano i riferimenti per orientarsi. Precauzioni inutili in situazioni di bel tempo, ma molto consigliate in una giornata che rimane sostanzialmente nuvolosa e potrebbe portare le caligini (quelli che quassù chiamano i calighi) a ridurre la visibilità. Traversati un paio di ampi valloni ecco iniziare la calotta sommitale di rocce e sassi e ancora si traversa lungamente verso sinistra, superando anche qualche passaggio in cui serve piede fermo, mentre il vento sferza risalendo a sua volta il versante per gettarsi oltre la cima, nel vallone di Andraz. Infine, si vede la croce di vetta e così si capisce che la cima non era la prima che si vedeva a destra, ma era più in là verso est e si comprende il perchè della lunga traversata obliqua.
La vetta è inaspettatamente panoramica, ma è pur verso che il Set Sas, anche se arriva poco oltre i 2.500 metri, sorge un po' isolato e al centro di una cerchia di montagne tra le più belle delle Dolomiti. Cerchiamo riparo in un avvallamento e infiliamo la giacca, scriviamo i nostri nomi sul libro di vetta, beviamo un sorso d'acqua e siamo pronti ad invertire la marcia per scendere. Peccato perchè la visuale avrebbe meritato altra giornata e meno freddo a gelare le idee e le estremità. Riguadagnata la dorsale erbosa, quando riusciamo a trovare riparo dal vento, telefoniamo agli amici in gita con il CAI e riusciamo a stabilire il contatto, venendo a sapere che la ferrata delle Trincee è stata percorsa regolarmente come da programma, nonostante il freddo e la pioggia caduta durante la notte e fino a mattina. Poi
scendiamo velocemente nella conca erbosa e ripercorriamo il sentiero a
ritroso, senza fretta.
Il pensiero va alle pianure afro-ferraresi lasciate solamente due giorni prima, ai 38°C segnati dal termometro, a quel 46°C rilevato dal termometro in pieno sole, mentre oggi siamo stati costantemente al vento e ad una temperatura sui 7°C, massimo 8°C. Mi è perfino tornato alla mente il periodo in cui lavoravo alla Carpigiani di Bologna ed effettuavo i collaudi delle macchine da gelato destinate al mercato Medio Orientale: le si facevano lavorare in una camera chiusa e riscaldata da stufette elettriche fino a raggiungere i 40°C, la chiamavano "camera calda" ed era calda soprattutto per l'operatore che doveva stare dentro a controllare manometri e termometri che monitoravano la macchina. Poi
c'era la prova di choc termico nella quale si lavavano, con acqua quasi
bollente, le vasche nelle quali erano state conservate le miscele a
temperature di poco sopra lo zero per verificare che non avesse ceduto
qualche saldatura.
Gabriele Villa Quatar pass fin in zìma al Set Sas
Lunghezza del percorso fino alla cima: circa 6 chilometri lineari Dislivello: 560 metri (tenendo conto dei saliscendi del sentiero)
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