Le montagne dimenticate
di Marco Pedretti
Si percorrono in punta di piedi i sentieri delle
“montagne dimenticate” che dalla Baita Folega vanno verso la
Forcella Moschesin. Ci vuole rispetto nel passeggiare in questi
luoghi.
Quando li percorri pensi alla fatica che hanno fatto centinaia di
soldati della Grande Guerra nell’allargare le tracce che cacciatori
e pastori, prima di loro, avevano percorso nei secoli precedenti.


Così i militari hanno realizzato una bella mulattiera, in certi
tratti vertiginosamente aerea e costantemente ripida sui costoni
degli orridi che si affacciano sul Cordevole.
Ci vuole rispetto anche perché nei secoli i pastori salivano fin
quassù a fare fieno, su questi pendii talmente ripidi da far
rabbrividire anche il più ardito amante dello sport estremo.
Purtroppo non c’è gloria nel tagliare il fieno e non c’è sponsor che
finanzierebbe una “passeggiata” su prati talmente ripidi da sfidare
la forza di gravità ed allora l’oblio si impadronisce della montagna
meno nota e i sentieri e i luoghi si “dimenticano”.
Così alla fine i sentieri diventano tracce labili che
solo pochi cacciatori percorrono inseguendo le loro prede.


Il silenzio la fa da padrone e solo il grido del
falco, che nidifica sulla parete scoscesa dell’orrido della Val
Clusa, rompe l’incantesimo. I fiori non recisi da decenni si
moltiplicano e i loro colori si mescolano a quelli delle erbe
profumate e del pino mugo che cresce sul versante nord.
Il panorama è a 360° e non te lo aspetti arrivando dal bosco fitto
che attraversi salendo da La Valle verso il Monte Zelo o Celo come
risulta scritto in alcune carte.
Il San Sebastiano e il Tàmer biancheggiano ad est illuminati dal
sole meridiano, la Moiazza troneggia a nord e l’Agner e le Pale di
San Martino e San Lucano si stagliano ormai controluce ad Ovest,
mentre a Sud gole profondissime solcate da torrenti spumeggianti ci
separano dalla Schiara, dal Talvena e dai Monti del Sole.
Orridi scavati da antichi ghiacciai, lavoro della natura che
continua implacabile, mentre il lavoro dell’uomo si è fermato e il
bosco avanza nelle radure vicino alle malghe.
Pochi cacciatori a turno sfalciano l’erba attorno alle baite e
puliscono il bosco dai tronchi caduti durante un inverno
particolarmente nevoso.
Lo fanno per i cervi ed i caprioli perché senza radure questi
animali non vivono e si sposterebbero altrove.
Sono animali timidi, escono solo all’imbrunire e hanno bisogno di
erba, di prati e radure per nutrirsi, mentre il bosco gli serve solo
come rifugio per riposarsi durante il giorno.
I cacciatori lo sanno e gli preparano il terreno.
Cacciatori e prede gli uni non vivono senza gli altri
e viceversa in queste “montagne dimenticate”.
Marco Pedretti
Ferrara, agosto 2009