a "I racconti di Rocca Pendice" di Gabriele Villa
di
Cristiano Pastorello
Anch'io
come gli amici di Ferrara sono figlio della nebbia, essendo originario
della bassa Veronese, anche se più fortunato perchè per arrivare a Rocca
Pendice impiegavo 30 minuti.
Io l'ho conosciuta già piena di spit luccicanti, o meglio fittoncini
resinati, con gente "fortissima" con magnesio e braghe
attillate.
Anch'io percorrendo certe vie come la Carugati, lo spigolo Barbiero e la
Bianchini ero dispiaciuto di non poterle trovare ancora alpinistiche, ma
posso dire che comunque Rocca Pendice rimarrà sempre il luogo della magia
e dell'introspezione, rimarrà il luogo dove ho passato ore a spaccarmi le
braccia al traverso di Messner, rimarrà il luogo delle prime solitarie
(di cui la prima e ultima slegato), rimarrà il luogo delle prime vie
lunghe dove tutto era avventura.
Leggendo il racconto di Gabriele posso capire il rammarico nel vedere la
Rocca Pendice “Montagna” divenire una grande falesia, ma dico che
forse se Rocca non fosse così, ora molti giovani della nebbiosa pianura
invece di avvicinarsi all’arrampicata avrebbero continuato a giocare a
calcio (non ho nulla contro il calcio….o quasi) o a bighellonare la
domenica pomeriggio al bar e che Rocca ha contribuito a realizzare con le
sue vie a spit i sogni dolomitici di tutti noi che ci trovavamo sulle sue
rocce dopo lavoro.
Beninteso, io sono un alpinista classico, ma figlio dei mie tempi, forse
non avrei spittato le vie classiche, ma ormai che importa?
Importa solo che ora, che abito sulle assolate sponde del Lago di Garda, a
mezz’ora da Arco e con falesie a cinque minuti di strada, ogni tanto
sento l’esigenza di tornare ad accarezzare quella roccia così…..
Rocca Pendice.
Gabriele, secondo me un luogo quando è magico lo rimarrà per sempre,
almeno dentro i nostri cuori.
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