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"L’orso in ( e il ) Trentino
di Rita Vassalli
L’orso, bestione voluto, atteso e protetto per evitare la scomparsa di una popolazione “biologicamente estinta”. Provenienti dalle Alpi Dinariche gli orsi si spostano tra Italia,
Austria ed ex Jugoslavia. Così stralcio da una rivista CAI del 2003. Nel gruppo del Brenta resisteva l’ultima popolazione di orso bruno delle Alpi Centrali. Troppo vecchia per allontanarsi da quel luogo? Certo non si parla di migrazioni per fattori climatici o ambientali come più volte si è assistito nel corso della storia, ma di una naturale estinzione. Forse col tempo
l’orso bruno sarebbe tornato sulle sue zampe a ripopolare anche le Alpi
Centrali? Lo ha anticipato, o deciso per lui ante tempore, il Progetto Life Ursus che ebbe il via libera nel ’99, importandolo dalla Slovenia meridionale e rilasciandolo in Trentino all’interno del Parco Naturale Adamello Brenta. Il grosso plantigrado, che nonostante la grande mole e forza fisica sembra essere timido e relativamente pacioso, è così diventato il logo dell’oasi protetta più estesa del Trentino. Ammicca l’orso che tanto mi ricorda l’amato Winnie Pooh, ignaro di essere stato sfruttato come marchio di garanzia per una speculazione edilizia che sta penetrando in parchi e riserve. “Dietro
il marketing dell’orso – dice il sociologo dell’ambiente Lauro
Struffi – c’è una gabbia: vasta, con impalpabili sbarre elettroniche,
ma gabbia. E mentre noi sogniamo un cucciolo, il suo territorio finisce di
essere distrutto nell’indifferenza”. * Intanto l’orso continua l’adattamento ambientale e a volte riprende l’interazione con l’uomo, non sempre accettata da quest’ultimo che pensa bene di sparpagliare “specchietti” alquanto pericolosi per l’incolumità dell’animale. Povero orso, del resto cosa pretende da lui l’uomo? Che resti schivo signore dei boschi, che lasci impronte, peli ed altri segni della sua presenza, ma che rimanga al suo posto. Che la smetta di avvicinarsi alle zone abitate e danneggiare apiari o altre attività zootecniche o, da ultimo, rovistare nei rifiuti. Forse si confà tale comportamento ad un testimonial? Magari potesse starsene solo là dove l’uomo ha deciso e relegare la sua immagine ai soli depliant turistici! Se ne parla dell’orso a volte per riempire i fatti di cronaca, altre per mettere a posto una coscienza di mercato. Voglio concludere questa riflessione senza pretese con una richiesta che è anche la speranza di quell’autonomia riformista decisa a combattere l’ultimo assalto della natura meglio conservata d’Italia. Autonomia rappresentata da quei pochi giovani che con sacrificio, coraggio e passione tornano a coltivare la terra in Trentino per strapparla all’asfalto e che iniziano a battersi per guarire ambiente e paesaggio. Chiede
che dell’orso non si parli, e non si rida più. Che si accetti di
incontrarlo, piuttosto, ascoltando ciò che ha da dire la paura. Un
animale di carne finalmente libero in una foresta vera.*
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