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a "Una scelta lunga 25 metri" di Roberto Avanzini

 

di Gabriele Villa

 

Trovo sempre piacevole leggere i racconti di Roberto Avanzini.

La scrittura è molto scorrevole, la forma curata, la lettura ne risulta piacevolissima (del resto vorrei ben vedere che non fosse così, è un profe d'italiano ...) e c'è sempre un fondo di romanticismo che lui riesce a trasmettere perfino a luoghi che (almeno a mio parere) di aspetti romantici ne hanno ben pochi: nella fattispecie, le falesie di arrampicata.

Ma lui riesce a vedere "costellazioni metalliche luccicare in ordinate file..." là dove altri notano solamente monotone file di spit ai quali assicurarsi o su cui appendersi e/o trazionare.

Ma l'amore per l'arrampicata sportiva (oramai più volte da lui conclamato) non gli impedisce di parlare di alpinismo anche se con la velata malinconia di chi "non riesce ad essere tranquillo sul quarto grado con 7-8 metri di corda libera sotto ...".

Tuttavia, in questa velata malinconia c'è la valutazione delle proprie caratteristiche psico-fisiche e la percezione dei propri limiti e la conseguente serena accettazione di sè.

Ne risulta in lui (almeno questa è la mia impressione) una consapevolezza che ne fa un climber, nei fatti e un pò per necessità, ma con la capacità di conoscere e capire l'alpinismo e di poterne scrivere con cognizione di causa.

E non è da tutti.