Una "corda speciale"
di Maurizio Caleffi
Spesso per chi ama la solitudine della montagna, una gita collettiva significa il peggio che uno possa aspettarsi. Arrivare su una cima affollata, dove non riesci nemmeno a sederti per riposare un attimo e per goderti in santa pace il panorama, giusta ricompensa per le fatiche fatte in salita, e non riuscire ad ascoltare il vento a causa del gran baccano che tutti quella gente provoca, sono cose che infastidiscono gli alpinisti più incalliti. Forse è anche un sentimento di gelosia: si vorrebbe che quei pochi metri quadrati di roccia e neve fossero solo tuoi e non vorresti dividerli con nessun estraneo. Quello che invece è successo a me personalmente quella domenica di Luglio sulla cima del Picco dei Tre Signori è stato un sentimento strano, che non conoscevo, e che credo derivi da un insieme d'innumerevoli motivi, tutti amalgamati insieme da quel bellissimo panorama. In questa piccola storia non farò nemmeno un nome: chi era con me forse si riconoscerà nei fatti qui narrati. Tutti gli altri lettori vorrei che riuscissero a sentirsi per un attimo legati ad una delle otto corde che ci assicuravano lungo questa salita.
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Forse il seme della
storia è annidato in una interminabile salita che due amici del C.A.I. di
Ferrara fecero su questa cima. Per chi volesse togliersi la curiosità di
saper di più può leggere il resoconto di questa loro avventura
intitolato "La
cresta infinita". Per i più pigri invece riassumo
brevemente dicendo che, circa un anno fa, quattro soci vennero in alta
Valle Aurina per salire la superba cima del Picco dei Tre Signori.
Due di loro si accontentarono della via normale, ma gli altri due decisero
di raggiungere lo stesso obiettivo per una lunghissima cresta quasi mai
percorsa da nessuno. Il risultato finale furono 25 ore di cammino e un
bivacco sul ghiacciaio, nell'attesa che le tenebre della notte lasciassero
il posto ai primi raggi di sole del giorno dopo.
Un avventura di questo tipo lascia il segno e, siccome "l'assassino
torna sempre sul luogo del delitto", i nostri quattro amici decisero
di tornare al rifugio Tridentina ma questa volta con un gruppo di 52
persone: praticamente organizzarono la gita sociale della sezione C.A.I.
di Ferrara.
Dopo le dovute verifiche, valutazioni e qualche perplessità, avuto l'ok
del consiglio direttivo, si fissò la data per la gita: 20 e 21 Luglio.
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I preparativi come al
solito, sono concitati e precisi. Corde, radio, materiali vari e
suddivisione dei gitanti in tre gruppi distinti: il primo destinato a
salire la "normale al Picco", il secondo per la "Vetta
d'Italia" e il terzo impegnato in una escursione alla "Forcella
del Picco", sopra il rifugio.
Nonostante una grossa perturbazione che aveva interessato tutta Italia, le
previsioni meteo per il week-end sono buone e tutti noi siamo carichi a
mille! Il lungo viaggio in pullman verso la Valle Aurina è la cosa più
dura da digerire, ma diventa una specie di tassa da pagare!
A mezzogiorno circa stiamo pagando il pedaggio del parcheggio e dopo aver
divelto la spranga d'accesso a causa di una errata manovra dell'autista,
finalmente si scende per incominciare la nostra gita.
Nessuno ha fretta di raggiungere il rifugio: abbiamo tutto il pomeriggio
per percorrere il lungo sentiero che sale la bellissima vallata. Alcuni
pensano di rifocillarsi prima di partire e altri invece decidono di
puntare ad una malga ad un paio di chilometri dal parcheggio. In ogni caso
alle 14,30 circa tutto il gruppo si ricompone sotto la "stretta
sorveglianza" dei capi gita.
L'itinerario è molto piacevole e, fra una chiacchiera e l'altra, si
supera la prima erta salita che sbuca su una piana da sogno dove una malga
è l'unico segno di presenza umana.
Parecchie centinaia di metri più in alto, su un costone roccioso
imbiancato dalla nevicata del giorno prima, s'intravede il nostro rifugio.
I numerosissimi zig-zag che segnano il fianco di quel pendio significano
che l'ultima parte della salita è veramente dura e inevitabilmente il
gruppo, che fino a quel momento è stato compatto, si allunga di
parecchio.
Le operazioni per assegnare le stanze impegnano non poco l'organizzazione,
ma alla fine, chi meglio e chi peggio, tutti siamo sistemati.
Alcuni fra gli organizzatori decide di sfruttare il tempo che ci divide
dalla cena per fare una ricognizione su due dei tre itinerari in programma
per il giorno dopo: idea molto saggia in quanto la neve caduta
abbondantemente aveva in parte nascosto le tracce ed, infatti, in seguito
a questo sopralluogo saranno prese importanti decisioni per l'indomani.
Finito di mangiare i direttori di gita impartiscono le principali
informazioni sul percorso: sveglia alle 4,45, colazione tassativa alle
5,15 e partenza prevista alle 5,30.
Gli ultimi accordi fra i vari capo cordata e i loro secondi e poi tutti in
branda!
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Ovviamente con tutte
quelle persone da muovere la partenza reale slitta alle 6,00. Le tracce
fatte il giorno prima durante il sopralluogo ci sono di grosso aiuto e ci
permettono di raggiungere la base del ghiacciaio molto velocemente.
La neve, che il giorno prima con il caldo risultava pesante e bagnata, ora
è ghiacciata e dura: a volte è necessaria la massima attenzione per non
scivolare sui tratti di vetrato.
Qui ci dividiamo in cordate come disposto dai direttori di gita: otto capi
cordata legati a quindici compagni sapientemente suddivisi. La mia cordata
è composta da una cara amica e da un socio che ben conosco ma con il
quale non ho mai salito nulla. "Poco male": penso. La mia
esperienza di corsi con tanti allievi diversi avrebbe sicuramente ovviato
all'inconveniente.
Mentalmente mi prefiggo la prima tappa: è un intaglio lungo una cresta
che permette di collegare i due bacini glaciali di quel versante. Ho la
netta sensazione di arrivare in breve tempo a quella meta che, secondo le
mie considerazioni, deve trovarsi a circa metà salita.
Superato l'intaglio ci fermiamo per ricompattare il gruppo e ne
approfittiamo per bere e mangiare qualcosa: sono trascorse circa tre ora
dalla colazione al rifugio e un piccolo "rabbocco ai serbatoi"
è quanto mai necessario.
L'aria è frizzante ed il
cielo terso: sembra impossibile a luglio, quando solitamente in città non
si respira per l'afa! Addirittura molti di noi sono abbondantemente
vestiti con pile e giacche. Osservando in alto, verso la cresta che porta
dalla forcella alla cima, è evidente il forte vento. Nuvole di neve si
alzano in vortici luminosi grazie al sole che con i suoi raggi dona
effetti cromatici incredibili. Alcune rocce affioranti interrompono la
parte finale del pendio.
E' questo il tratto che preoccupa di più gli organizzatori: io non vedo
l'ora di affrontarlo e sono convinto che tutti passeremo senza problemi. I
capo cordata sono molto preparati e sicuramente risolveranno il problema!
La sosta ha infreddolito tutti noi e non appena il primo capo cordata ci
da il via ripartiamo senza esitare.
Il pendio di neve ghiacciata è uniforme e non presenta pericoli evidenti
di crepacci: alcune zone sospette sono sapientemente aggirate e affrontate
con le dovute precauzioni.
Proprio in questo punto decido di prendere il comando della mia cordata,
non tanto per scegliere la traccia giusta, (basta seguire il gruppo
davanti!) ma per tenere la corda sempre ben tesa e pronta ad ogni
evenienza.
I ramponi mordono ottimamente il ghiaccio e la progressione è sicura e
piacevole anche se faticosa.
Il pendio aumenta e prima di affrontarlo faccio una sosta in accordo con i
miei due compagni di cordata: una sorsata e, soprattutto, la giacca a
vento. Arrivati in cima a quel pendio, infatti, c'è la cresta tempestata
dal vento e sicuramente questo indumento sarebbe diventato molto utile!
La pendenza è intorno ai 40°: impartisco le ultime raccomandazioni ai
miei compagni e parto puntando leggermente a destra verso il primo masso
affiorante.
Al mio fianco un'altra cordata fa la stessa scelta e poco dopo ci troviamo
tutti e sei nel punto prefissato.
Piantata la picca nel ghiaccio per autoassicurazione, recupero a spalla i
miei compagni.
Dopo averli fatti rifiatare per pochi minuti riparto deciso sempre
leggermente a destra per evitare le piccole scariche di una cordata sopra
di noi. Lentamente la pendenza diminuisce e la salita si fa meno difficile
e faticosa.
Sono veramente carico: il tratto più difficile tecnicamente è stato
superato in modo brillante e tutte le cordate stanno raggiungendo la
cresta. Girandomi per controllare i miei compagni osservo che dietro di
noi non c'è nemmeno un impronta ma solo i segni lasciati dalle punte dei
ramponi.
Il tempo è bellissimo e lievi raffiche di vento hanno preso il posto
delle violente folate di poco prima.
"Che ghiaccio, …che neve, … e che salita!": questo era il
pensiero che mi gira in testa e che a volte si esprime anche con
esclamazioni a bassa voce, quasi sussurrate fra un passo e l'altro.
Un ultima sosta per poi
affrontare l'ultimo tratto: poche centinaia di metri ci dividono dalla
vetta che ormai è a portata di mano.
Chiedo il permesso al capo cordata del gruppo che ci precede di superarlo
per raggiungere senza ulteriori soste la cima: è uno dei capi gita e il
suo compito e preoccupazione maggiore è quello di tenere unito il gruppo
il più possibile, ma ormai manca veramente poco e mi acconsente il
sorpasso. Forse ha capito il mio stato d'animo: conoscendomi bene, sa che
per me ormai il richiamo della cima è toppo forte per attendere ancora.
Grazie ancora a lui, apprezzo tantissimo la sua concessione!
Con passo lentissimo
procedo verso una zona di neve accumulata dal vento dove è evidente che
la fatica si sarebbe fatta sentire a causa dello sprofondare dei nostri
passi: affronto quel tratto nel punto più breve possibile con un ultimo
sforzo saliamo su una specie di cornice che dopo una ventina di metri
porta dritto in vetta.
Durante questo brevissimo tratto, la cara amica a cui sono legato mi
chiede per due o tre volte di fermarmi: è molto stanca e nonostante la
sua perfetta forma fisica e il suo grande allenamento, avendo dormito
pochissimo durante la notte, accusa la salita. La accontento ben
volentieri.
Come se quelle ultime pause rendessero ancora più ambita la nostra vetta.
Già… la nostra vetta!! Mai come in questa salita la soddisfazione è
legata al fatto di essere insieme a tutti questi amici. La stretta cima è
decisamente troppo piccola per accoglierci tutti e per la prima volta,
credo, vorrei aver tutti qui intorno per vivere insieme questo magico
momento!
Non mi vergogno a dirlo:
la dovuta e consueta stretta di mano con il mio compagno e l'abbraccio con
la mia compagna mi emozionano a tal punto da versare qualche lacrima di
gioia. Ma per fortuna gli occhiali scuri da ghiacciaio nascondono le mie
emozioni: credo, comunque, che loro se ne siano accorti e altrettanto
credo che, conoscendomi, abbiano capito!
Il panorama è a dir poco fantastico. A sud sono riconoscibili molte delle
principali vette dolomitiche: Tre Cime di Lavaredo, Cristallo, Tofane,
Marmolada e tante altre. Sempre nella stessa direzione ma molto più
vicino, separata da noi da una lunga cresta c'è il Pizzo Rosso di Predoi
e dietro ancora seminascosto il Collalto. Leggermente più a destra e in
basso la verde Valle Aurina. Dietro di noi un'altra vallata in territorio
austriaco e incredibili ghiacciai e vette altissime. Peccato non conoscere
il nome di tutte queste montagne!
Dopo l'arrivo di altre due cordate mi rendo conto che lo spazio su quella
cima è ormai troppo piccolo: meglio scendere e lasciare il posto agli
altri. In pochi minuti siamo sotto la cima su un specie di ampio
falsopiano dove finalmente possiamo avere lo spazio per toglierci gli
zaini e mangiare qualcosa.
Qui tutti aspettiamo che le varie cordate raggiungano la cima. La lunga
pausa ci da l'occasione di decidere come affrontare la discesa ed in
particolare il ripido pendio con le roccette. La nostra preoccupazione è
che quel tratto di discesa possa creare dei problemi ai più stanchi ed
affaticati.
La decisione è presa: due cordate, fra le quali la mia, avrebbe preceduto
tutto il gruppo per attrezzare la discesa con un paio di corde. Presto
fatto! Giunti all'inizio del pendio attrezzo una robusta sosta su neve
alla quale collego due corde da cinquanta metri unite una di seguito
all'altra. Così facendo abbiamo creato una specie di lungo corrimano al
quale tutti i gitanti possono afferrarsi in fase di discesa.
La manovra si conferma subito come molto azzeccata: in breve tempo tutti i
ventidue alpinisti scendono il pendio per una centinaio di metri fino a
dove la pendenza è più accettabile.
Il ventitreesimo, vale a dire il sottoscritto, ha il compito di liberare
la corda a fine operazioni, recuperare tutto il materiale della sosta e
scendere in modo autonomo il pendio.
In pochi minuti mi ricongiungo con i miei compagni di cordata e dopo
esserci legati di nuovo alla corda, ricominciamo il lungo cammino verso
l'intaglio della cresta.
Il caldo è ormai molto forte e la neve che ha "tenuto" fino a
questo momento, incomincia rapidamente a "mollare" rendendo
faticosa la discesa e difficile l'equilibrio.
Raggiunto l'intaglio e il
resto del gruppo siamo costretti ad una lunga attesa: la discesa sugli
sfasciumi di roccia della forcella impegna tutti e i tempi si allungano.
Il sole picchia forte e dall'alto della parete alla nostra destra si
staccano, con il disgelo, piccoli pezzi di ghiaccio fortunatamente
innocui!
Sono l'ultimo di tutto il gruppo a valicare la forcella ed à per me come
uscire dal ventre di quella bellissima montagna: la strada che ci separa
dal rifugio è ancora lunga ma per me, come era successo durante la
salita, quello è l'accesso e quindi l'uscita del "Picco"
Con la radio il gruppo che era diretto alla Vetta d'Italia ci comunica che
purtroppo per loro la cima non era stata raggiunta a causa di pericolose
cornici di neve: in ogni caso la loro escursione proseguiva come da
programma con la discesa a fianco della vallata fino a pochi chilometri
dal parcheggio.
Per noi invece è necessario il ritorno al rifugio e la discesa per lo
stesso itinerario fatto in salita il giorno prima.
Il ritorno al "Tridentina" ci permette una sosta dove, oltre che
a preparare gli zaini per il rientro, ci riposiamo un attimo e per non
perdere l'abitudine alcuni di noi (me compreso!!) si concedono una
dissetante birra fresca!
Le ginocchia sono doloranti e sicuramente affaticate da tutto quel
dislivello: dopo un primo tratto in cui cerco di andare più piano
possibile per alleviare il dolore, decido di rompere gli indugi. Aumento
decisamente l'andatura e, come già più volte capitato, il dolore
diminuisce fino a sparire. Evidentemente il continuo frenare in discesa
non fa altro che sollecitare maggiormente i miei menischi!
Ad un certo punto della discesa ci ricongiungiamo con il gruppo della
"Vetta" e subito dopo con la complicità di alcuni amici non
resistendo alla tentazione ci consentiamo una sosta rinfrescante sulle
rive del torrente, con relativo pediluvio. Il sollievo è grandissimo e
questo ci permette di affrontare in scioltezza l'ultimo tratto di strada
fino al pullman.
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Siamo orami da ore sul
pullman che ci sta portando a casa: dopo una giornata ricca di emozioni
come quella appena trascorsa, lo stare seduto su quel seggiolino è una
dura condanna!
Da casa mi sono preso un libro e alcuni cd da ascoltare durante il
viaggio. Per me la musica è un elemento importantissimo di compagnia,
rilassamento e meditazione. Spesso alcuni pezzi musicali sono legati ad
emozioni particolari ed allora la scelta di ascoltare un brano degli U2 in
quel momento è d'obbligo. Mezzo assonnato, stanco e rincoglionito dal
viaggio la mia mente è come se attingesse dalle note di quella canzone la
forza per pensare al "Picco".
Della salita avete già letto, del panorama forse lo immaginate, delle
emozioni provate in vetta e dell'abbraccio con la mia compagna di cordata
già sapete: un particolare voglio svelarvi… la corda con la quale ero
legato ai miei amici era speciale. Apparteneva a Sandro. Questo è l'unico
nome di questa storia.
MaurICE
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